Il processo contro il possibile editore più grande del mondo
Il governo degli Stati Uniti vuole impedire la fusione tra Penguin Random House e Simon & Schuster per difendere gli autori di bestseller
Il primo agosto a Washington è cominciato un processo contro l’acquisizione del grande gruppo editoriale Simon & Schuster da parte dell’ancora più grande Penguin Random House. Entrambi fanno parte dei cosiddetti “Big Five” dell’editoria mondiale, i gruppi più importanti per il mercato dei libri di intrattenimento, e insieme pubblicano il 31 per cento di tutti i libri di questo genere (esclusi testi scolastici e tecnici, dunque) venduti negli Stati Uniti. L’amministrazione del presidente Joe Biden sta cercando di bloccare la fusione in tribunale perché ritiene che creerebbe un monopsonio, cioè una situazione in cui un’azienda ha troppo potere di fronte ai propri fornitori, in questo caso gli autori di libri, e quindi può costringerli ad accettare compensi più bassi.
Se verrà conclusa, la fusione tra Simon & Schuster e Penguin Random House cambierà il mondo dell’editoria americana, con ripercussioni anche a livello internazionale vista l’influenza del mercato dei libri in inglese anche in altri paesi e la multinazionalità dei più grossi gruppi editoriali. A quel punto si parlerebbe di “Big Four”, “I quattro grandi”, o addirittura “Big One and the other three”, “Quello grande e gli altri tre”, come ha detto un esperto del settore citato dal New York Times (gli altri tre sono Hachette, Macmillan e HarperCollins).
Tra gli addetti ai lavori la prospettiva ha creato varie preoccupazioni fin da quando l’accordo tra i due gruppi editoriali fu annunciato, a fine 2020. I timori principali erano due: il livellamento della competitività tra gli editori, che potrebbe portare a una diminuzione dei ricavi degli autori, e l’impoverimento dell’offerta editoriale. Il primo è quello che il governo americano sta cercando di evitare e riguarderebbe principalmente gli scrittori di grande successo, quelli che vendono milioni di copie e ottengono più di 250mila dollari per un libro.
I diritti di pubblicazione di un libro che si prevede venderà molto sono comprati attraverso le cosiddette aste editoriali: ogni editore interessato fa un’offerta all’agente letterario, cioè il rappresentante dell’autore. Se ci sono più editori interessati, il costo di vendita salirà, se sono di meno si ridurranno i ricavi dello scrittore. Per questo molti agenti e scrittori e il dipartimento di Giustizia americano temono che la riduzione del numero dei grandi editori, quelli con i mezzi finanziari per comprare i diritti per libri ambiti, diminuirà la competizione alle aste e farà abbassare gli anticipi, cioè i compensi per gli scrittori che sono concordati in fase di contratto – e a cui vengono eventualmente aggiunti ulteriori ricavi nel caso in cui il libro venda talmente tanto da superare le previsioni di chi lo pubblica. «Meno autori potranno guadagnarsi da vivere con la scrittura», dice il dipartimento di Giustizia.
Attualmente Penguin Random House consente ai suoi imprint, cioè ai diversi marchi editoriali che fanno parte del gruppo, di competere per i diritti di uno stesso libro, a patto che partecipi alla gara anche un editore terzo; se viene a mancare, lo scrittore può scegliere di uscire con il suo marchio preferito del gruppo. La società ha promesso agli agenti letterari che la competizione sarà valida anche per Simon & Schuster.
Giovedì, durante il processo, l’avvocato del dipartimento di Giustizia John Read ha chiesto a Markus Dohle, amministratore delegato di Penguin Random House, se questa promessa ha un qualche valore legale: Dohle ha risposto di no, ma ha anche detto che il gruppo la rispetterà perché altrimenti danneggerebbe la propria reputazione.
Secondo la difesa di Penguin Random House, l’acquisizione aumenterà la competizione nel settore editoriale e le forme di efficienza che permetterà consentiranno di pagare gli autori di più, cosa che spingerà i concorrenti a fare lo stesso.
L’altra preoccupazione riguardo alla fusione è che i grandi editori cerchino sempre di più di accaparrarsi prevalentemente i potenziali bestseller a svantaggio degli autori medi e minori, una tendenza in realtà in atto da tempo. Nel 2021, secondo i dati di NPD BookScan, che tiene traccia delle copie di libri di carta vendute dalla maggior parte dei rivenditori, il 38 per cento dei libri che hanno venduto di più sono stati pubblicati da Penguin Random House; l’11 per cento da Simon & Schuster.
Tra chi si preoccupa per i cosiddetti editori indipendenti, quelli più piccoli, c’è anche Stephen King, il celebre autore di romanzi horror. Pur essendo un autore di Simon & Schuster King ha parlato al processo come testimone del dipartimento di Giustizia: ritiene che una maggiore consolidamento dei grandi gruppi editoriali danneggi gli altri editori, quelli che storicamente hanno scoperto e pubblicato nuovi talenti letterari.
Al tempo stesso parte della difesa della fusione si basa – implicitamente – sull’idea che un più grosso gruppo editoriale possa contrastare maggiormente Amazon, negli ultimi decenni vista come il principale pericolo per l’ecosistema della produzione di libri.
Il grande sito di e-commerce è il principale rivenditore di libri negli Stati Uniti (in Italia le librerie online vendono poco più del 40 per cento dei libri e Amazon è quella che ha la quota maggiore) e per questo ha avuto e ha una posizione dominante da cui trattare sui prezzi dei libri e sull’ampiezza degli ordini. Da anni tra le grandi case editrici circola l’idea che il rapporto di forze si possa invertire con un gruppo editoriale di dimensioni maggiori.
Il processo sulla possibile fusione durerà fino al 19 agosto e la sentenza è attesa per novembre. Se l’acquisizione sarà bloccata, Penguin Random House dovrà pagare una penale di circa 200 milioni di dollari (più di 195 milioni di euro) a Paramount Global, il gruppo che possiede Simon & Schuster.
I veri problemi però saranno quelli che dovrà affrontare la stessa Simon & Schuster: Paramount Global, che possiede una serie di reti televisive come CBS, non è interessata a continuare a investire nel mercato dell’editoria e si sta concentrando soprattutto nel campo dello streaming di contenuti video. Quindi continuerà a cercare qualcuno che compri Simon & Schuster.
Tuttavia in caso di blocco dell’acquisizione è difficile che gli altri grandi gruppi editoriali – come HaperCollins, che fa parte della News Corp di Rupert Murdoch e aveva fatto un’offerta per Simon & Schuster battuta da Penguin Random House – si facciano avanti. Potrebbe dunque proporsi come acquirente una società di investimenti, ipotesi che spaventa chi lavora per Simon & Schuster perché potrebbe comportare tagli al personale e una riduzione delle attività editoriali del gruppo.
Per questo tra gli addetti ai lavori c’è chi commenta, scherzando fino a un certo punto, che forse il miglior compratore sarebbe Amazon.