Il mais si dovrà adattare
La siccità potrebbe dimezzare la produzione di quest'anno e col cambiamento climatico non sarà facile coltivarlo nemmeno in futuro
di Ludovica Lugli
La produzione italiana di mais, un cereale che generalmente cresce tutta l’estate e si raccoglie a settembre, sta risentendo moltissimo della siccità: secondo le ultime stime di Coldiretti è calata del 45 per cento. Sia in Lombardia che in Veneto si è deciso di “trinciare”, cioè di tagliare alcune delle piante destinate a diventare mangime o materia prima per il biogas, con circa un mese di anticipo. Non erano ancora maturate del tutto, ma c’era il rischio che senz’acqua arrivassero a metà agosto troppo danneggiate per poter essere usate come foraggio.
La diminuzione della produzione, quest’estate particolarmente significativa, è in corso da anni.
Sebbene in Italia il mais sia il primo cereale per produzione, tra il 2010 e il 2020 i terreni dedicati a questa coltura sono diminuiti del 35 per cento perché i rischi imprenditoriali sono aumentati, in parte per il cambiamento climatico. Questo ha avuto un impatto anche sulle importazioni di mais dall’estero: in un decennio sono passate dal 15 al 50 per cento del totale del consumo.
«Il settore del mais sta affrontando una crisi strutturale dai primi anni Duemila», spiega Cesare Soldi, presidente dell’Associazione Maiscoltori Italiani (AMI), «quindi indipendente sia dall’attuale siccità che dalla guerra in Ucraina». È una crisi esclusivamente nazionale, che non riguarda altri paesi europei. Al contrario, nel mondo la produzione di mais è in aumento.
La crisi è dovuta a varie concause che hanno ridotto la redditività delle coltivazioni di mais. «Per anni il prezzo del mais è rimasto sostanzialmente fermo a circa 175 euro alla tonnellata, contro costi di produzione nettamente superiori a 185», riassume Soldi, «quindi abbiamo prodotto sottocosto». Ora il prezzo del mais è aumentato a causa della guerra in Ucraina, che però ha anche fatto aumentare il prezzo dei fertilizzanti; e poi è arrivata la siccità a ridurre la produzione.
In ogni caso, nel contesto internazionale degli anni passati, in cui i prezzi di molti prodotti agricoli non crescevano, la redditività del mais era sostenuta dalla Politica Agricola Comune (PAC), il principale strumento dell’Unione Europea che regola i sussidi per le aziende agricole, che però nel tempo sono diminuiti per i maiscoltori: «Dagli anni Duemila i pagamenti diretti si sono dimezzati: da 720 euro annuali all’ettaro a 360. E dal primo gennaio 2023 saranno ulteriormente dimezzati, diventeranno 180. È una mannaia che ci aspetta».
Al contempo coltivare bene il mais è diventato più difficile e più costoso a causa del cambiamento climatico. In caso di siccità e carenza d’acqua le piante non crescono bene: a causa di gelate tardive (diventate più frequenti) cominciano a crescere tardi, e possono essere danneggiate dalle trombe d’aria (probabilmente sempre più intense). Ma ci sono anche problemi legati all’aumento delle temperature medie, che nel Nord Italia, la zona del paese in cui si coltiva la gran parte del mais, sono aumentate da 13,3 °C nel periodo 1951-1980 a 14,7 °C nel periodo 2001-2020.
L’aumento delle temperature, insieme a quello della frequenza delle condizioni di siccità, favorisce l’Aspergillus flavus, un fungo patogeno di cereali e altri vegetali. È molto presente nelle principali regioni italiane in cui si coltiva il mais (Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna: le più colpite dall’attuale siccità) e la sua temperatura ottimale di crescita è 37 °C.
Questo fungo produce sostanze tossiche chiamate aflatossine, che oltre una certa concentrazione sono pericolose sia per le persone che per gli animali: hanno effetti cancerogeni e possono essere presenti nel latte proveniente da mucche che hanno mangiato mangimi contaminati. È più probabile che il fungo le produca, e in quantità maggiori, se la pianta che ha contaminato affronta un periodo di scarsità d’acqua: per questa ragione la produzione di mais di quest’anno potrebbe essere contaminata da aflatossine in modo particolare.
La produzione di mais è sempre sottoposta a controlli che ne verificano la presenza e gli agricoltori cercano di impedire la diffusione dell’Aspergillus flavus: significa spendere di più per difendere le coltivazioni. Se poi non riescono a ottenere i risultati sperati, possono vedere la propria produzione scartata, o declassata e destinata alla produzione di biogas invece che all’alimentazione animale.
Le temperature più alte, soprattutto nelle ore notturne, favoriscono anche le piralidi del mais, falene che scavano gallerie nei fusti di mais e di altre piante, danneggiandole. È anche per questi insetti che gli agricoltori devono prendere provvedimenti, che possono comportare aumenti dei costi di produzione.
I costi maggiori, accompagnati dal calo delle rese sia in termini di quantità che di qualità per la diffusione delle aflatossine, hanno spinto molti agricoltori italiani ad abbandonare il mais per dedicarsi ad altre colture. A livello nazionale è un problema soprattutto perché i regolamenti sui prodotti di origine animale con marchi d’origine DOP e IGP, come il Prosciutto di Parma o il Parmigiano Reggiano, richiedono che maiali e mucche siano nutriti con mangimi prodotti in Italia. Più del 70 per cento del mais prodotto in Italia è usato per l’alimentazione degli animali d’allevamento.
Anche per questo si è cercato di trovare una soluzione alla crisi del mais a livello politico.
Due anni fa la Conferenza Stato-Regioni ha approvato un “Piano Nazionale a sostegno del settore del mais per il periodo 2019-2022” progettato dall’intera filiera del mais a questo scopo. Alcune parti del piano hanno funzionato, spiega Soldi. Ad esempio, grazie all’accordo di una decina di associazioni sindacali, sono stati realizzati dei contratti triennali di filiera con regole per migliorare le condizioni di produzione associati a forme di sostegno pubblico: per il triennio erano stati stanziati 8 milioni di euro per i sottoscrittori dei contratti, a marzo ne sono stati aggiunti 14 che sosterranno la fiera fino al 2023.
Anche un’altra strategia contenuta nel Piano è stata perseguita: la promozione della ricerca scientifica su tecniche agronomiche che aumentino l’efficienza e le rese. «La ricerca è un processo lungo e ci vorrà del tempo per vedere dei risultati concreti», aggiunge Soldi, «ma le rese sono le stesse da 10 anni e c’è bisogno di una smossa, bisognava cominciare».
Tra i vari progetti scientifici in corso ce n’è uno che coinvolge il Centro di ricerca sulla Cerealicoltura e le Colture Industriali del CREA, il più importante ente di ricerca pubblico dedicato all’agroalimentare, oltre che la stessa AMI. Si chiama “DROMAMED”, è partito un anno fa grazie a finanziamenti europei e durerà 36 mesi. Ha lo scopo di studiare le varietà di mais presenti nei paesi dell’area mediterranea per capire quali siano le più resistenti in condizioni di siccità.
Partecipano al progetto nove paesi dell’Europa meridionale e nordafricani e si è cominciato studiando le qualità dei campioni conservati nelle banche del germoplasma (anche dette banche dei semi) del mais come quella del CREA, che si trova a Bergamo e conserva più di 600 varietà di mais raccolte in Italia negli anni Cinquanta, oltre a migliaia di campioni di varietà di altri paesi.
«Il progetto è innovativo perché cerca di utilizzare varietà di mais poco sfruttate e renderne disponibili le risorse genetiche per ottenere una maggiore produttività a parità di stress ambientali», spiega Carlotta Balconi, responsabile scientifica di DROMAMED per il CREA: «Il fine è trovare varietà utili per lo sviluppo di ibridi commerciali, in prospettiva avrà ripercussioni concrete». Ogni ente che collabora al progetto testerà in campo le varietà del proprio territorio, e poi si faranno prove di coltura anche negli altri paesi coinvolti.
Balconi chiarisce che il mais non è una coltura più vulnerabile di altre a problemi causati dai cambiamenti climatici: «Apparentemente le colture del ciclo primaverile-estivo come il mais sono più suscettibili, ma ci sono rischi anche per i frumenti autunno-vernini, che ad esempio sono stati danneggiati dalla carenza di piogge di quest’inverno. Provenendo da climi tropicali peraltro il mais ha potenzialità e capacità di recupero notevoli».
Oltre a cercare varietà più adatte a condizioni di siccità, per continuare a coltivare il mais nei prossimi decenni si possono provare anche altre strategie.
Sia Balconi che Soldi citano l’uso di sistemi di irrigazione di precisione, che forniscono acqua ai campi in quantità e frequenze diverse a seconda delle necessità specifiche delle piante. Funzionano grazie a sensori che misurano la temperatura del suolo, a impianti di irrigazione a goccia e anche dati satellitari: si possono usare i satelliti per ottenere immagini spettrometriche dei campi che mostrano dove la fotosintesi procede bene e dove invece è necessario irrigare. Queste tecniche permettono anche di gestire meglio l’acqua disponibile, perché viene usata solo dove ce n’è bisogno.
Un’altra strategia, che riguarda il contrasto delle infezioni fungine, è una forma di “biocontrollo” che è stata studiata dall’Università Cattolica di Piacenza e viene praticata da circa cinque anni in Italia: si diffondono nei campi ceppi di Aspergillus flavus che non producono le aflatossine e che possano «prendere il sopravvento» su quelli che invece lo fanno. Soldi commenta: «Se lo avessimo avuto a disposizione nel 2012 [un’altra annata siccitosa], avremmo avuto meno problemi».
Un altro modo per affrontare le siccità del futuro, già praticato da alcuni maiscoltori, è seminare varietà di mais precoci, cioè che completano il proprio ciclo di maturazione in tempi minori e si possono raccogliere tra luglio e agosto invece che tra agosto e settembre: nel periodo dell’anno in cui generalmente c’è meno acqua e un maggior rischio di contaminazione da aflatossine sono già stati raccolti. «È una tendenza che dovrà essere presa in considerazione anche da altri agricoltori nei prossimi anni» secondo Soldi. Lo svantaggio è che queste varietà hanno rese minori, che però secondo chi le ha preferite sono compensate dai risparmi e da rischi minori.
Come per tutte le altre colture, i problemi legati a siccità future si potrebbero risolvere, almeno in parte, con una migliore gestione dell’acqua, ad esempio creando bacini artificiali per conservarla. E più in prospettiva, pensando al mais ma non solo, potrebbero aiutare anche le nuove tecniche di miglioramento genetico delle colture per cui l’Unione Europea sta studiando nuove regole.
– Leggi anche: In Lomellina la siccità costringe a ripensare le risaie