La litigiosa settimana dell’alleanza di centrosinistra
L'accordo annunciato martedì tra PD e Azione è stato subito messo in discussione, per via della difficile convivenza tra Azione, Sinistra Italiana e i Verdi
Martedì 2 agosto, durante la conferenza stampa con la quale era stata annunciata l’alleanza tra Azione e il Partito Democratico in vista delle elezioni del 25 settembre, il leader di Azione Carlo Calenda aveva detto che «da oggi per me ogni tipo di discussione e polemica finisce» e che da quel momento in poi si sarebbe concentrato solo sulla campagna elettorale. Nei giorni successivi, tuttavia, il dibattito politico è stato dominato proprio dalle polemiche tra Calenda, esponenti del Partito Democratico e i leader di Verdi e Sinistra Italiana: i due partiti di sinistra che a loro volta vorrebbero presentarsi alle elezioni in coalizione con il PD (con cui avevano già avuto precedenti contatti).
La legge elettorale con la quale si andrà a votare a settembre, il cosiddetto “Rosatellum”, prevede che 221 parlamentari vengano eletti in collegi uninominali, nei quali vincerà il candidato che prenderà almeno un voto più degli altri (gli altri parlamentari saranno eletti con metodo proporzionale). Per poter vincere nei collegi uninominali i partiti sono incentivati a formare coalizioni che sostengano gli stessi candidati, e per questo le alleanze sono diventate uno dei temi più dibattuti di questa campagna elettorale.
Il tema delle alleanze è diventato particolarmente importante per il centrosinistra, dopo che all’inizio della campagna elettorale i partiti di destra e centrodestra – Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia – avevano annunciato un’alleanza che secondo i sondaggi potrebbe andare molto bene alle elezioni. Il Partito Democratico, principale partito di centrosinistra, ha così avviato colloqui con le altre forze di centro e di sinistra per trovare un accordo di coalizione e aumentare le possibilità di vittoria a settembre.
Anche se non erano stati fatti annunci formali, era noto che il PD stesse cercando un accordo con Sinistra Italiana e i Verdi (che si erano a loro volta alleati), e con Azione. Un po’ a sorpresa, dopo settimane di polemiche pubbliche, martedì 2 agosto il Partito Democratico aveva annunciato di aver trovato un accordo di coalizione con Azione/+Europa, la federazione tra il partito di Carlo Calenda e quello di Emma Bonino e Benedetto Della Vedova. L’accordo si basa su un breve programma politico (presentato come in continuità con quello del governo Draghi) e sulla promessa dei due partiti di non candidare nei collegi uninominali delle persone considerate «divisive» da uno o dall’altro partito.
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Calenda, per esempio, aveva chiesto che il PD non candidasse nei collegi uninominali esponenti dei partiti di sinistra che si erano opposti al governo Draghi, e persone che avevano fatto parte del Movimento 5 Stelle, come Luigi Di Maio: sembrava quindi sottintesa la partecipazione all’alleanza di centrosinistra sia di SI/Verdi che di Impegno Civico, il nuovo partito di Di Maio e Tabacci. Il PD aveva chiesto che Azione/+Europa non candidasse Mariastella Gelmini e Mara Carfagna, storiche esponenti di Forza Italia da poco entrate in Azione.
L’accordo tra il PD e Azione ha però subito creato altri problemi, perché non è piaciuto ai partiti di sinistra che però intendevano allearsi con il PD per le prossime elezioni: Sinistra Italiana, il partito di Nicola Fratoianni, e i Verdi, partito guidato da Angelo Bonelli. Secondo loro, l’accordo aveva spostato troppo al centro la coalizione di centrosinistra e metteva in discussione la possibilità di un’alleanza più ampia.
Da mercoledì si è quindi sviluppata una polemica tra Calenda, Fratoianni e Bonelli, con reciproche accuse e sberleffi di cui si è molto parlato sui giornali. Calenda ha più volte ricordato di non essere disposto a rinegoziare l’accordo trovato con il PD e ha parlato della possibilità di sciogliere l’alleanza se fosse arrivata a comprendere anche Sinistra Italiana e i Verdi. Fratoianni e Bonelli hanno invece detto di non voler sottoscrivere un programma che prevedesse l’invio di armi all’Ucraina e la costruzione di nuovi rigassificatori (due cose che stava facendo il governo Draghi e alle quali è invece favorevole Azione).
Agenda Draghi? Non esiste.
Lo ha detto #Draghi stesso. Povero Calenda, deve correre in cartoleria a comprarsene un’altra. Noi intanto lavoriamo per un’Italia più giusta e più verde.#verdisinistra #sinistraitaliana— nicola fratoianni (@NFratoianni) August 5, 2022
Il Partito Democratico si è per ora tenuto fuori da questi litigi e i giornali di sabato scrivono che il segretario del partito Enrico Letta sta ancora lavorando per cercare di trovare una soluzione che permetta di non sciogliere l’accordo con Azione e di presentare candidati unici anche con Sinistra Italiana e i Verdi. Repubblica sabato parla di “ottimismo” dentro al PD perché si trovi un accordo e anche il Corriere ha scritto che Letta è molto determinato nel fare funzionare l’alleanza con Azione e con i partiti di sinistra. Venerdì, Dario Franceschini, uno degli esponenti più importanti del PD, aveva chiesto a Calenda e Fratoianni di interrompere i litigi per concentrarsi sulle elezioni.
A @CarloCalenda e @NFratoianni fermatevi! Ci aspetta una sfida molto più grande dell’interesse dei nostri partiti: evitare che l’Italia finisca in mano a una destra sovranista e incapace. Per iniziarla e vincerla occorre rispettarci a vicenda e accettare le nostre diversità.
— Dario Franceschini (@dariofrance) August 5, 2022
Calenda aveva risposto dicendo che la scelta riguardava solo il PD e la possibile alleanza con i partiti di sinistra.
Dario, il terzismo alla volemose bene con noi non funziona. Avete firmato un patto. NATO, rigassificatori, equilibrio di bilancio, revisione rdc, agenda Draghi. Dall’altro lato c’è una dichiarazione al minuto contro tutto questo. Chiarite. Punto. https://t.co/0dp1DeBO65
— Carlo Calenda (@CarloCalenda) August 5, 2022
I giornali oggi scrivono che se non si dovesse trovare un accordo, il PD potrebbe decidere di presentarsi alle elezioni senza alleati, puntando a diventare il primo partito del paese anche se con pochissime possibilità di avere la maggioranza in parlamento.
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