Il problema degli extraprofitti delle aziende energetiche
Il governo sperava di tassare i grandi guadagni derivati dall'aumento del prezzo dell'energia e ottenere 10 miliardi di euro: ne arriverà uno
In uno dei passaggi della conferenza stampa in cui giovedì sera ha presentato il decreto legge “Aiuti Bis”, il presidente del Consiglio Mario Draghi ha parlato con una certa durezza di come il prelievo straordinario sugli extraprofitti delle imprese energetiche non abbia dato i risultati sperati dal governo. La misura, decisa lo scorso marzo, prevede una tassa una tantum sugli utili extra delle aziende del settore energia, gas e petrolio, che sono aumentati eccezionalmente grazie all’aumento dei prezzi. I proventi di questo prelievo avrebbero dovuto contribuire a finanziare alcune misure a sostegno delle famiglie e delle imprese.
Il ministero dell’Economia contava di incassare dalla misura 10,5 miliardi di euro. Il 30 giugno è scaduto il termine per versare l’acconto del 40 per cento ma gli introiti sono stati sensibilmente più bassi: in base ai dati attuali e agli acconti versati le aziende pagheranno complessivamente soltanto 1,23 miliardi. La ragione di questa enorme differenza sta nel fatto che la maggior parte delle aziende avrebbe scelto di non pagare, confidando sul fatto che la misura, contestata sin dai primi giorni nel merito e soprattutto nella forma, sarà dichiarata incostituzionale.
Draghi giovedì in conferenza stampa ha accusato le aziende di voler eludere il contributo: «Il gettito degli acconti pagati finora sugli extraprofitti è inferiore a quello che sarebbe dovuto essere. È mia intenzione che paghino tutto. Quello che non è tollerabile è che in questa situazione in cui le famiglie sono in difficoltà e le imprese anche, ci sia un settore che elude una disposizione del governo».
Draghi si è mostrato infastidito, non solo perché le entrate ridotte hanno costretto il governo a un correttivo per finanziare il decreto “Aiuti Bis”, ma anche perché il prelievo era stato giustificato come una equa redistribuzione in un periodo in cui molte aziende faticano a far quadrare i conti principalmente per i costi dell’energia, mentre le aziende energetiche, secondo il governo, godono di vantaggi immeritati.
Draghi ha quindi spiegato che il suo governo è pronto ad adottare altre misure per costringere le aziende energetiche a pagare: «Se non c’è una risposta siamo pronti a mettere mano ad altri provvedimenti».
Il contributo straordinario contro il caro bollette, a carico di produttori, importatori e rivenditori di energia elettrica, di gas e di prodotti petroliferi, è calcolato sull’incremento del saldo fra operazioni attive e passive rispetto all’ultimo anno. Il periodo considerato è quello fra il 1° ottobre 2021 e il 30 aprile 2022: si confrontano i dati con quelli dello stesso periodo dell’anno precedente e si ottiene così un aumento, che rappresenterebbe la quota di extraprofitti.
Se questo è superiore al 10 per cento del totale, o comunque maggiore di 5 milioni di euro, si deve un tributo del 25 per cento sulla cifra. La quota così calcolata va pagata in due parti. L’acconto, pari al 40 per cento, andava saldato entro fine giugno, e il restante 60 per cento a fine novembre.
Secondo i calcoli del ministero dell’Economia la misura avrebbe coinvolto circa 11 mila aziende. Il 98 per cento di queste è di dimensioni medio-piccole e avrebbe pagato meno della metà dei 10,5 miliardi previsti. L’onere maggiore sarebbe infatti ricaduto sulle poche (il 2 per cento) imprese medio-grandi. Fra le maggiori in Italia ci sono A2A, Edison, Eni, Enel, Esso, Iren, Q8 Italia, Saras.
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Il contributo aveva suscitato subito critiche da parte delle aziende interessate, soprattutto per il metodo scelto per calcolare la base imponibile. Per valutare gli extraprofitti era stato scelto il cosiddetto “differenziale IVA”, ossia la variazione della cifra imponibile su cui si paga l’IVA da un anno all’altro. Secondo molti esperti di diritto tributario questo non è un indicatore adeguato. Esistono infatti molteplici variabili che possono influenzare il dato, al di là degli extraprofitti: può essere modificato dall’ampliamento del portafoglio clienti, dall’acquisto di un ramo d’azienda o dal semplice aumento della quota di mercato.
Inoltre è stato sottolineato che il periodo preso come riferimento per calcolare l’aumento, l’inverno 2020-21, comprende gli ultimi mesi di lockdown, in cui consumi e prezzi erano più bassi del normale. Secondo le aziende, un aumento nella stagione del 2021-22 ci sarebbe stato indipendentemente dall’aumento dei prezzi dell’energia.
Per questo, molte aziende hanno deciso di non pagare il contributo, confidando in una sentenza della Corte Costituzionale.
La Corte può essere chiamata a verificare se un contributo, anche se di natura eccezionale, rispetti i due princìpi fondamentali della Costitizione in materia tributaria, il principio di legalità dei tributi (art. 23: “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”) e il principio di progressività del sistema tributario (art. 53: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”). Va verificata la coerenza tra gli obiettivi e gli scopi del prelievo straordinario e la struttura dell’imposta.
Le aziende hanno fatto le loro valutazioni basandosi anche sul precedente della Robin Tax, tassa a carico delle imprese energetiche varata dal governo Berlusconi nel 2008 e dichiarata incostituzionale nel 2015. Allora la Corte Costituzionale decise di non ordinare la restituzione del gettito già incassato perché, diceva la sentenza, «determinerebbe uno squilibrio del bilancio dello Stato di entità tale da implicare la necessità di una manovra finanziaria aggiuntiva».
Le parole di Draghi però testimoniano che il governo non intende rinunciare alla questione, anzi ha previsto un inasprimento delle misure per combattere l’elusione dell’imposta.
Come indicato da Il Sole 24 Ore la via scelta sembra essere quella di restringere i tempi utili e raddoppiare le sanzioni per il ravvedimento operoso, cioè la procedura attraverso cui privati e aziende possono volontariamente segnalare e correggere una irregolarità nel versamento dei tributi pagando sanzioni ridotte. Il ministero dell’Economia conta che comunque una parte di quei nove miliardi mancanti arrivino per questa via.
Di fronte a un mancato pagamento anche alla prossima scadenza partirebbero con via prioritaria gli interventi di Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza per la riscossione forzata.