L’attentato di Settembre Nero all’oleodotto di Trieste
Cinquant'anni fa il gruppo terroristico palestinese fece esplodere i serbatoi di petrolio al confine con la Slovenia, provocando un disastro ambientale
di Pietro Cabrio
Dal 1967 sopra Trieste c’è un deposito, il terminale Siot, in cui milioni di tonnellate di petrolio greggio vengono stoccate in una ventina di cisterne e poi fatte confluire nell’oleodotto transalpino, che parte da lì, attraversa l’Austria e arriva a Ingolstadt, in Baviera. Per la sua posizione strategica, Trieste è da tempo il principale porto petrolifero del Mediteranneo e dal terminale Siot di San Dorligo della Valle oggi passano oltre 40 milioni di tonnellate di greggio all’anno.
Nella notte del 4 agosto 1972 — giusto a ridosso della crisi energetica del 1973, causata proprio dall’aumento del prezzo del greggio — un gruppo appartenente all’organizzazione terroristica palestinese Settembre Nero si introdusse nel terminale, già ampiamente in funzione, per far esplodere quattro cisterne di stoccaggio. Una sola tenne. Le altre si squarciarono e presero fuoco, iniziando a bruciare per giorni e creando nubi visibili da gran parte dal Nord-Est, al largo dell’Adriatico, in Istria e in Slovenia, allora jugoslave.
Settembre Nero, movimento fondato in Palestina tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, era una costola dell’organizzazione paramilitare Al-Fatah, a sua volta parte dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (l’OLP) di Yasser Arafat. Il nome era un riferimento al periodo del 1970 in cui le forze palestinesi tentarono di rovesciare la monarchia in Giordania, venendo però sconfitte, cacciate dal paese e bersagliate da ritorsioni.
Gli attacchi di Settembre Nero, nato per perpetrare la causa palestinese, iniziarono nel 1971 proprio contro obiettivi giordani, i principali antagonisti del gruppo al pari delle forze israeliane. E iniziarono in particolare con un attentato esplosivo a un oleodotto: quello trans-arabico al confine tra Giordania e Siria. Nel novembre dello stesso anno i membri di Settembre Nero uccisero il primo ministro giordano Wasfi Tel all’uscita di un hotel al Cairo, in Egitto, e un mese dopo provarono a fare lo stesso con l’ambasciatore giordano a Londra, senza riuscirci.
Da lì in avanti gli attacchi del gruppo si diffusero in tutta Europa: nel settembre del 1972 avrebbero poi raggiunto il culmine nel massacro di Monaco di Baviera durante le Olimpiadi estive, in cui morirono undici atleti israeliani. Un mese prima Settembre Nero aveva deciso di colpire indirettamente la Germania Ovest attuando il piano per sabotare le sue forniture di greggio, in gran parte dipendenti dal funzionamento dal centro di stoccaggio di Trieste e dall’oleodotto transalpino, gestito e posseduto da un consorzio sovranazionale di cui faceva parte anche la Germania Ovest.
«Vogliamo infliggere violenti colpi ai nemici della rivoluzione palestinese e agli interessi imperialistici che sostengono il sionismo, questo atto è in armonia con altre azioni da intraprendere nella Germania federale e in altri Paesi d’Europa» fu scritto nella rivendicazione che Settembre Nero rese pubblica da Damasco quando ancora gli incendi di Trieste non erano stati spenti.
La notte del 4 agosto, dopo essersi introdotti nel terminale, gli attentatori misero le cariche esplosive a ridosso di quattro serbatoi. Il primo, quello più vicino al centro abitato di Trieste, venne fatto esplodere alle 3.15 circa ma il cilindro della cisterna resse, forse anche per la carica mal posizionata. Nella mezzora successiva esplosero in successione le altre tre cariche, che squarciarono o danneggiarono irrimediabilmente i serbatoi.
Le cisterne del terminale erano circondate da invasi di terra pensati per contenere gli idrocarburi in caso di fuoriuscita. Il sistema funzionò, ma fino a un certo punto. Dai serbatoi fuoriuscirono infatti circa 210 mila tonnellate di greggio in fiamme che rimasero inizialmente contenuti nell’area. Dopo un giorno di incendi, però, una cisterna esplose completamente e riversò gran parte del greggio sulla piana di San Dorligo, investendo i pompieri arrivati anche dalle regioni circostanti.
Nel complesso ci furono una ventina di feriti, perlopiù ustionati e quasi tutti pompieri. Gli incendi durarono quattro giorni con fiamme alte quasi 200 metri e una colonna di fumo di almeno quattro chilometri che coprì Trieste e quella zona del Carso per due giorni. Fu un disastro ambientale, i cui effetti vennero limitati soltanto dalle condizioni atmosferiche e dal caso.
Nonostante le fuoriuscite, la “marea” di petrolio in fiamme non coinvolse gli altri depositi, che gli ingegneri del terminale avevano tempestivamente svuotato pompando a gran velocità il greggio rimasto al loro interno nell’oleodotto verso Austria e Germania. Per oltre una settimana, però, i fumi tossici degli incendi alimentati da oltre 200 mila tonnellate di greggio riempirono l’atmosfera con lunghe ripercussioni sulla qualità dell’aria e sulle coltivazioni circostanti. Il greggio, inoltre, invase alcune zone della piana di San Dorligo finendo anche nel vicino torrente Rosandra.
L’impatto ambientale dell’attentato non si esaurì lì, perché nei mesi successivi i terreni impregnati di idrocarburi, compresi quindi i fanghi industriali della zona, vennero raccolti e scaricati in decine di cavità del Carso intorno a Basovizza. Col passare del tempo i residui sono finiti a un centinaio di metri di profondità, rendendo di fatto impossibile la bonifica completa delle cavità ostruite.
Le indagini furono lunghe e intricate. Vennero identificati una decina di sospetti legati a Settembre Nero, ma poi gli accusati si ridussero a quattro: gli algerini Mohamed Boudia e Chabane Kadem e le francesi Dominique Jurilli e Marie Thérèse Lefebvre. Da latitanti, nessuno di loro mise mai piede in un tribunale italiano, né scontò le pene inflitte: 22 anni in primo grado, poi ridotti a 6 in appello per l’esclusione dell’associazione a delinquere.
Boudia, ritenuto il responsabile delle operazioni di Settembre Nero in Francia, non fu nemmeno processato, perché un anno dopo i fatti di Trieste morì nell’esplosione di una bomba piazzata sotto il sedile della sua auto a Parigi. La morte di Boudia è ritenuta ancora oggi collegata all’operazione “Collera di Dio” che i servizi segreti israeliani intrapresero contro figure considerate legate alle organizzazioni palestinesi come reazione al massacro alle Olimpiadi di Monaco, raccontato peraltro nel film Munich di Steven Spielberg.
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