Nancy Pelosi ha una lunga storia di scontri con la Cina
Sono più di trent'anni che critica duramente le violazioni dei diritti umani del Partito comunista cinese, provocando sempre gravi reazioni
Martedì 2 agosto la speaker della Camera statunitense Nancy Pelosi è atterrata a Taiwan, l’isola indipendente che la Cina considera parte del proprio territorio e in cui la speaker è da oggi in visita ufficiale: è un gesto che la Cina considera una provocazione inaccettabile e a cui ha risposto con boicottaggi economici e dispiegamenti di mezzi militari nei dintorni dell’isola. Non è la prima volta che Pelosi sfida apertamente la Cina, anzi: il suo viaggio è considerato il culmine di oltre trent’anni di aperta critica al Partito comunista cinese, che a volte l’ha resa impopolare anche all’interno del suo stesso partito.
La visita di Pelosi, molto attesa e al centro di tensioni tra Cina e Stati Uniti da due settimane, è la prima di uno speaker della Camera americano dal 1997. L’ultima volta che una persona col suo incarico – il terzo più importante negli Stati Uniti – era stata in visita a Taiwan fu nel 1997, col Repubblicano Newt Gingrich. Oggi la Cina è un paese molto più potente di allora, il che aumenta proporzionalmente anche la portata dello scontro.
A renderla ancora più evidente è il fatto che, rispetto ad altri politici occidentali, Pelosi è sempre stata notoriamente molto critica nei confronti del Partito comunista cinese, oltre che molto sensibile alla necessità di sostenere l’autonomia di Taiwan, con cui gli Stati Uniti mantengono rapporti informali, benché abbiano una lunga storia di sostegno a favore del paese, anche di tipo militare.
La visita di Pelosi, in altre parole, è coerente con l’atteggiamento di critica e sfida che ha sempre tenuto nei confronti della Cina, praticamente fin dall’inizio della sua carriera politica. Nel 1991, per esempio, Pelosi fece un viaggio a Pechino poco tempo dopo essere stata eletta alla Camera e in seguito agli eventi di piazza Tienanmen del 1989, quando l’esercito cinese represse con violenza le grandi manifestazioni di studenti e lavoratori che chiedevano democrazia e rispetto dei diritti umani nel paese.
Insieme ad altri politici statunitensi mostrò uno striscione con la scritta: «A coloro che morirono per la democrazia in Cina», un riferimento al massacro dei manifestanti da parte dell’esercito cinese. Pelosi fu trattenuta brevemente dalla polizia e commentò l’accaduto dicendo sarcasticamente: «Ci hanno detto per due giorni che in Cina c’è la libertà di espressione».
Il Washington Post ha raccontato che la mattina dopo, nella hall di un albergo di Pechino, Pelosi incontrò l’allora ambasciatore degli Stati Uniti in Cina, J. Stapleton Roy, che la informò, a sua volta piuttosto irritato, su quanto il suo gesto avesse infastidito il governo cinese. Jeffrey Fiedler, allora segretario dell’AFL-CIO, una delle maggiori organizzazioni sindacali degli Stati Uniti, aveva assistito alla conversazione: ha detto che Pelosi non si mostrò particolarmente impressionata né dalla rabbia dei funzionari cinesi né dall’agitazione di Roy.
Quel viaggio a Pechino, secondo vari commentatori, segnò l’inizio della lunga storia di critica al governo cinese da parte di Pelosi, che ora ha 82 anni.
Tienanmen, tra l’altro, continua a essere ancora oggi un tema a cui dedica molte attenzioni. Il programma di Pelosi a Taiwan prevede che alle 3 di pomeriggio di oggi incontri Wu’er Kaixi, attivista per i diritti umani e uno dei leader delle proteste del 1989: un gesto che quasi sicuramente irriterà ancora di più la Cina, che fa di tutto per negare che la strage di Piazza Tienanmen sia avvenuta e per reprimere ogni forma di commemorazione.
Nel corso dei decenni Pelosi ha poi criticato apertamente gli imprigionamenti di dissidenti da parte del Partito comunista cinese: tra le altre cose, quando l’allora segretario del partito Hu Jintao andò in visita ufficiale a Washington nel 2002, Pelosi (che allora era capogruppo dei Democratici alla Camera) gli consegnò quattro lettere di membri del Congresso in cui si chiedeva di riconoscere formalmente le violazioni dei diritti umani compiute contro i prigionieri politici e di liberarli: richiesta che ovviamente Hu respinse.
Pelosi ha continuato a mostrarsi molto critica nei confronti della Cina anche durante gli anni di maggiore sviluppo dell’economia cinese e dei crescenti rapporti commerciali con l’Occidente, quando la Cina si affermava man mano come la superpotenza che è oggi. Nel 2009 tornò sul tema dei prigionieri politici, consegnando sempre a Hu Jintao, che nel frattempo era diventato presidente del paese, altre lettere in cui si chiedeva la liberazione di prigionieri politici: richiesta che anche in quel caso Hu rifiutò.
In precedenza si era invece mostrata contraria alla candidatura di Pechino per le Olimpiadi del 2008, proprio per le sistematiche violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali nel paese.
Tra le altre cose, Pelosi ha sostenuto con molta convinzione l’approvazione di leggi volte a contrastare le violazioni di diritti umani in Cina: l’ultima è stata la Uyghur Forced Labor Prevention Act del 2021, la legge che vieta l’importazione negli Stati Uniti di molti prodotti provenienti dallo Xinjiang, la regione cinese in cui, secondo l’ONU, almeno un milione di persone appartenenti alla minoranza musulmana degli uiguri è stato imprigionato in campi di lavoro forzato. Pelosi ha adottato posizioni molto critiche anche rispetto ad altri contesti in cui la Cina ha compiuto violazioni di diritti umani e civili, tra cui Hong Kong e il Tibet.
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Nel corso degli anni, le dure prese di posizione di Pelosi sulla Cina l’hanno portata anche a scontrarsi con altri membri del Partito Democratico, di cui fa parte: c’era chi riteneva che adottare una linea così dura nei confronti della Cina, un paese in crescita e con cui conveniva mantenere relazioni politiche, non fosse utile.
«Se non prendiamo posizione sulla questione dei diritti umani in Cina a causa di preoccupazioni economiche, perdiamo l’autorità morale di parlare di diritti umani in qualsiasi altro luogo del mondo», aveva detto Pelosi l’anno scorso, in occasione del 32° anniversario del massacro di Piazza Tienanmen.
Rispetto all’atteggiamento da adottare nei confronti della Cina Pelosi si è scontrata con l’ex presidente americano Bill Clinton, che adottò politiche di apertura commerciale con la Cina. Tra le altre cose, quando negli anni Novanta la Cina chiese formalmente di entrare a far parte dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO), nel partito Democratico ci fu una spaccatura: Pelosi fu tra i politici americani che più si opposero a quest’ipotesi (la Cina entrò poi nell’organizzazione nel 2001).
Anche stavolta il gesto di Pelosi ha provocato qualche divisione: benché non ci siano state dichiarazioni ufficiali in questo senso, diversi giornali americani hanno scritto che il presidente Joe Biden (e altri politici americani con lui) non era d’accordo con questa visita, considerata inopportuna e inutilmente provocatoria. Altri politici, soprattutto Repubblicani, di solito i suoi critici più accaniti, hanno invece lodato la visita a Taiwan.