Il ritorno dei Garibaldi Reds
La storia del Nottingham Forest, terza squadra di calcio più vecchia al mondo, tornata in Premier League quarant’anni dopo le vittorie irripetibili con Brian Clough
di Pietro Cabrio
La Premier League inglese, il miglior campionato di calcio al mondo, riprende venerdì e dopo 23 anni di assenza riavrà tra le sue venti squadre il Nottingham Forest, uno dei club più famosi ed evocati nella storia del calcio inglese. Dopo aver compiuto una delle più grandi imprese nella storia di questo sport, a fine anni Settanta, il Nottingham era sparito lentamente dalla circolazione, tra ridimensionamenti e retrocessioni, fino alla promozione ottenuta a Wembley lo scorso maggio, al dodicesimo tentativo.
La storia non comune del Nottingham Forest è racchiusa in una curiosità, quella di essere l’unica squadra europea vincitrice di due Coppe dei Campioni, peraltro consecutive, ad essere scesa fino alla terza serie nel suo campionato. Per l’eccezionalità delle vittorie ottenute in Europa, ancora oggi porta due stelle sopra il suo stemma, anche se solitamente le stelle vengono usate per indicare le vittorie dei campionati.
È anche la terza squadra di calcio professionistica più vecchia al mondo, fondata nel 1865 in un pub di Nottingham da «quindici giocatori brillanti», come si legge nella targa commemorativa esposta all’esterno del locale, il “Playwright”. Come colore scelsero il rosso, ma non un rosso qualunque: il rosso Garibaldi in riferimento alle camicie rosse che distinguevano l’armata di volontari di Giuseppe Garibaldi, all’epoca ancora impegnato nelle guerre d’indipendenza italiane. Da allora “Garibaldi Reds” è il soprannome della squadra.
A eccezione di alcune coppe vinte nella prima metà del Novecento, a ridosso degli anni Settanta essere una delle squadre più antiche al mondo non significava molto per il Nottingham, finito nell’anonimato della seconda divisione. La sua storia però cambiò di lì a poco con l’arrivo di un brillante allenatore, Brian Clough, famoso già allora in tutto il Regno Unito per il suo atteggiamento, geniale per alcuni, irritante per tanti altri, come Muhammad Ali, che in un siparietto alla televisione inglese disse: «C’è qualcuno in Inghilterra, questo Brian Clough, che parla troppo e dice di essere come me. Ma c’è solo un Muhammad Ali! Ora parlo io Clough, te smettila!».
Clough veniva dal più grande fiasco della sua carriera. Tra gli anni Sessanta e Settanta era diventato famoso per aver portato il Derby County — la squadra della sua città — dalla seconda serie alla vittoria del titolo inglese. La lasciò al termine della sesta stagione e successivamente accettò di prendere il posto lasciato al Leeds United da Don Revie, passato alla guida della nazionale inglese. C’era un problema, però: nonostante il Leeds fosse campione in carica e quindi un posto ambito da ogni allenatore, a Clough non era mai piaciuta quella squadra dal gioco rude al limite della correttezza, composta da un gruppo di giocatori celebri ma ritenuti anche piuttosto arroganti.
Accettò l’incarico in una sorta di sfida con sé stesso. Si era messo in testa di poter cambiare il Leeds, ma andò malissimo. Nessuno lo seguì e il suo incarico durò appena quarantaquattro giorni. Poco dopo la notizia del suo esonero, si presentò alla televisione dello Yorkshire con un sorriso quasi ironico stampato in faccia, che fece ancora più effetto quando, alla domanda del presentatore su quale fosse stata la sua reazione all’esonero, rispose: «Oh, molto triste…».
A distanza di oltre quarant’anni il breve periodo ancora non del tutto comprensibile che Clough passò a Leeds rimane una delle storie più raccontate del calcio inglese. Da quella vicenda venne infatti tratto un libro e poi un film di discreto successo dal titolo eloquente, Il maledetto United. Per un personaggio così pieno di sé – ai nostri giorni paragonabile soltanto a José Mourinho dei tempi migliori – anche il fallimento al Leeds ne alimentò fama e carriera. E da quell’esperienza disastrosa iniziò soprattutto una storia ancora più grande e significativa, quella del Notthingam Forest.
A fine anni Settanta tra Clough e il Nottingham Forest accadde qualcosa di raro. Erano tempi in cui il calcio, soprattutto in Inghilterra, veniva inteso in modo più semplice ed elementare di oggi. Era un mondo ancora lontano dal professionismo, ma la competitività era alta e in campo poteva succedere qualsiasi cosa. Il Nottingham era una squadra senza ambizioni di metà classifica, ma Clough sapeva già di trovare alcuni giocatori attorno ai quali si poteva costruire qualcosa di buono, cinque in particolare: Ian Bowyer, Tony Woodcock, John Robertson, Viv Anderson e Martin O’Neill, che dalla seconda divisione inglese raggiunsero i più alti livelli del calcio internazionale.
«Quando arrivò cambiò tutto da un momento all’altro» ha ricordato Bowyer nel recente documentario I Believe in Miracles del regista inglese Jonny Owen. «Era incredibilmente diretto con le persone, e pretendeva lo stesso dagli altri». Le cose cambiarono ancor di più quando Clough fu raggiunto dal suo storico collaboratore, Peter Taylor, una figura a metà tra un direttore sportivo e un assistente tecnico. Taylor aveva una conoscenza enciclopedica del calcio inglese, che faceva aderire perfettamente alle richieste di Clough.
I due aggiunsero quello che mancava alla squadra ingaggiando i giocatori che ritenevano adatti, anche se questi erano riserve, scarti o giocatori di cattiva fama, come lo scozzese Kenny Burns, un attaccabrighe definito «un hooligan» dai suoi stessi compagni di squadra. Burns era un centravanti, ma Clough lo adattò come difensore centrale: con la fiducia data arrivò a giocare 137 partite, fu due volte campione d’Europa, non prese più a testate gli avversari e rimase difensore anche quando cambiò squadra.
Come fece con Burns, Clough riuscì a motivare e valorizzare l’intera squadra, oltre a farla giocare in modo semplice e intuitivo. Si venne a creare un gruppo in cui tutti erano nelle posizioni più adatte a loro: chi non aveva molta qualità tecnica andava a cercare chi ne aveva di più, e questi facevano segnare chi doveva segnare, se non ci pensavano prima loro. Il resto lo fece l’entusiasmo e l’unità che si creò in squadra, ricordata ancora oggi da ogni giocatore passato al Nottingham in quel periodo.
I risultati iniziarono con la promozione in prima divisione del 1977 e non si fermarono più per tre anni, tra coppe mai viste da quelle parti d’Inghilterra e lunghi record di imbattibilità. Nel 1978 il Nottingham vinse campionato e coppa nazionale da neopromossa, ottenendo vittorie schiaccianti anche nei campi più difficili, come uno storico 0-4 all’Old Trafford contro il Manchester United. Anche con le scarse risorse a disposizione, Clough e Taylor riuscirono a rinforzare il gruppo di volta in volta, portando a Nottingham anche giocatori che si pensavano fuori portata, come il portiere Peter Shilton, all’epoca uno dei migliori al mondo.
L’anno successivo la squadra vinse la Coppa dei Campioni al primo tentativo, eliminando i campioni in carica del Liverpool al primo turno e poi gli svedesi del Malmö in finale. Arrivarono secondi in campionato, ma vinsero ancora la coppa nazionale. Nel 1980 arrivò la seconda Coppa dei Campioni consecutiva – vinta a Madrid contro l’Amburgo – una cosa fin lì riuscita soltanto a Real Madrid, Inter, Bayern Monaco e Ajax, fra le più grandi squadre del continente. Non riuscì a vincere la Coppa Intercontinentale, ma nello stesso anno ottenne la Supercoppa europea.
Clough rimase in carica fino al 1993 ma negli Ottanta la spinta della squadra si esaurì lentamente e non tornò più la stessa, anche se con il suo storico allenatore continuò a vincere qualcosa, di tanto in tanto, fino ai primi anni Novanta. A dimostrazione dell’impresa compiuta da Clough e Taylor, quando i due lasciarono Nottingham per età e problemi di salute, la squadra iniziò immediatamente un lungo declino che nel 2005 – un anno dopo la morte di Clough – toccò il fondo con la retrocessione nella terza serie inglese (la nostra Serie C).
Prima della promozione ottenuta lo scorso maggio, il Nottingham aveva passato dodici anni consecutivi in seconda divisione, avvicinandosi raramente alla Premier League, tra continui passaggi di proprietà, non sempre ben intenzionate. Una sistemazione più solida è arrivata soltanto nel 2017 con l’acquisizione del club da parte di Evangelos Marinakis, già proprietario dell’Olympiakos Pireo, discendente di una famiglia di armatori e politici greci di cui ora controlla le principali attività, tra cui la più grande flotta di navi cisterna al mondo e un influente gruppo editoriale.
In Grecia è un personaggio molto contestato nel calcio locale, in quanto proprietario della squadra più potente e vincente del campionato, ma anche per il suo coinvolgimento in un famoso caso di combine e per essere accusato ciclicamente di traffico internazionale di droga dai tifosi avversari: accuse che però non hanno mai portato a provvedimenti formali.
In Inghilterra, dopo essere riuscito a portare il Nottingham nel campionato di calcio più seguito al mondo ed essersi quindi assicurato un incasso minimo di 117 milioni di euro soltanto per essere una delle venti iscritte, Marinakis sta provando a consolidare la posizione della squadra per farla rimanere in Premier League il più a lungo possibile.
A un mese dalla fine del calciomercato estivo, soltanto cinque squadre hanno speso più del Nottingham, che fin qui ha investito 94 milioni di euro per diciannove acquisti, a fronte di soli cinque milioni ricavati dalle cessioni. Il più costoso è stato Neco Williams, giovane terzino acquistato dal Liverpool per circa 20 milioni di euro; il più conosciuto è invece Jesse Lingard, attaccante ingaggiato da svincolato, dopo la scadenza del suo precedente contratto con il Manchester United.
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