Cos’è il “diritto di tribuna”

Il PD lo ha promesso agli alleati che non sono sicuri di superare la soglia di sbarramento: prevede, in sostanza, dei posti “sicuri” nelle liste del PD

La Camera dei deputati (Antonio Masiello/Getty Images)
La Camera dei deputati (Antonio Masiello/Getty Images)
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Martedì, poco dopo che il segretario del Partito Democratico Enrico Letta e il leader di Azione Carlo Calenda avevano raggiunto un accordo per presentarsi insieme alle prossime elezioni, alcuni piccoli partiti a sinistra del PD, Sinistra Italiana e Verdi, hanno espresso timori sul fatto che la coalizione si sposterà troppo al centro in termini di programmi e candidature. In risposta, il PD ha diffuso una nota in cui ha scritto che a parziale compensazione offrirà agli alleati un «diritto di tribuna».

In sintesi, per diritto di tribuna si intende l’inserimento di alcuni candidati di liste minori in una lista a cui non appartengono, ma che ha maggiori possibilità di entrare in Parlamento. L’accordo fra PD e Azione prevede di non candidare e sostenere nei collegi uninominali, in cui viene eletto il candidato o la candidata che prende anche solo un voto in più degli avversari, persone considerate «divisive» come appunto i parlamentari di Verdi e Sinistra Italiana, che Azione ritiene troppo radicali. Per i Verdi e Sinistra Italiana l’unica speranza di entrare in Parlamento, quindi, si basa sui voti da ottenere a livello nazionale sulla scheda dei collegi plurinominali, in cui ogni partito si presenta di fatto da solo.

La legge elettorale con cui andremo a votare, il cosiddetto Rosatellum, prevede che col sistema plurinominale possano eleggere parlamentari solo le liste che ottengano almeno il 3 per cento dei voti a livello nazionale. È una soglia piuttosto alta per partiti piccoli e che al momento non hanno grande visibilità nel dibattito politico. Per questo il PD ha sostanzialmente offerto loro dei posti nelle liste del PD nel sistema plurinominale.

Parlando con i giornalisti, Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana e Angelo Bonelli dei Verdi hanno rifiutato l’offerta, dicendo che «non siamo assolutamente interessati a nessun diritto di tribuna: il diritto ce lo conquisteremo con il voto degli elettori e delle elettrici». Sembra che il PD abbia fatto la stessa offerta anche a Matteo Renzi, ma anche lui ha rifiutato ribadendo che il suo partito, Italia Viva, andrà da solo alle elezioni. Luigi Di Maio, invece, non ha ancora fatto sapere se accetterà o meno la proposta: non ci sono stime, ma il nuovo partito che Di Maio ha fondato insieme a Bruno Tabacci, Impegno civico, difficilmente supererà il 3 per cento. Negli ultimi sondaggi pubblicati figurava ancora Insieme per il futuro, il gruppo parlamentare creato da Di Maio dopo essere uscito dal Movimento 5 Stelle, e non superava il 2 per cento dei consensi.

Come ha raccontato in un’intervista sulla Stampa Stefano Ceccanti, costituzionalista, deputato del PD ed esperto di sistemi elettorali, il diritto di tribuna esiste da tempo nella politica italiana. Di solito consiste nel candidare alcune persone di liste minori «come indipendenti» nella lista principale della coalizione.

È un po’ quello che era successo nel 2018 con +Europa, anche se con modalità diverse. Nelle settimane precedenti al voto circolarono estesi e fondati dubbi che +Europa non sarebbe riuscita a superare la soglia di sbarramento (la legge elettorale in vigore era la stessa). Il PD candidò Emma Bonino e Riccardo Magi in due collegi uninominali “blindati”, cioè dove il centrosinistra era sicuro di vincere, e infatti vennero eletti: fu un modo per dare a +Europa una specie di diritto di tribuna anche nel caso fosse arrivata sotto il 3 per cento, cosa poi avvenuta (prese il 2,5 per cento).

L’accordo tra Calenda e Letta prevede però che non vengano candidate personalità “divisive” nei collegi uninominali. Quindi il diritto di tribuna può essere garantito dal PD solo nei collegi plurinominali, dove il sistema è proporzionale e i seggi vengono assegnati ai candidati delle varie liste sulla base dei voti presi a livello nazionale (alla Camera) e regionale (al Senato).

Ceccanti cita almeno un altro precedente in cui nel centrosinistra si diede il diritto di tribuna a liste minori, nel 2006. Era l’epoca dell’Ulivo, il centrosinistra unito guidato da Romano Prodi, e alcuni esponenti dell’Udeur, un piccolo partito di centro fondato da Clemente Mastella, vennero candidati in liste del centrosinistra che avevano molta più probabilità di entrare in Parlamento.

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