Anche il prezzo del pellet è un problema
È raddoppiato a causa dell'invasione russa in Ucraina, con conseguenze che interessano in particolare il mercato italiano
Nelle ultime settimane il prezzo del pellet, il combustibile ricavato dal legno sempre più utilizzato per riscaldare le case in alternativa al metano, è raddoppiato rispetto a un anno fa: un sacco standard da 15 chili costa quasi 10 euro mentre nell’agosto del 2021 si aggirava sui 5 euro. Il notevole aumento del prezzo è dovuto al fatto che c’è poco pellet sul mercato.
Come è accaduto per il gas, l’invasione russa in Ucraina e le conseguenti sanzioni introdotte dai paesi occidentali hanno avuto effetti diretti e indiretti sugli approvvigionamenti e quindi sul prezzo di questo combustibile. È un grosso problema in questo periodo, solitamente il più adatto e conveniente per programmare gli ordini in vista della stagione invernale, e lo sarà anche nei prossimi mesi, con possibili conseguenze significative per moltissime persone che pensavano di essere al riparo dall’aumento del prezzo del gas.
Con il termine pellet si indicano i piccoli cilindri prodotti dagli scarti della lavorazione del legno, principalmente segatura ridotta in questa forma grazie a un processo di compressione. Il pellet rientra nel settore delle biomasse, come la legna, utilizzate per riscaldare le case attraverso stufe, ma anche per alimentare caldaie industriali. È un combustibile naturale e piuttosto sostenibile perché consente di utilizzare gli scarti della produzione del legno usato in altri settori come l’edilizia e la produzione di mobili mentre da tempo la comunità scientifica dibatte sul suo impatto sulle emissioni di gas serra.
Negli ultimi anni in Italia sono sempre di più le persone che lo utilizzano per riscaldare le case nella stagione invernale: secondo una recente indagine dell’ISTAT intitolata “i consumi energetici delle famiglie”, il 15 per cento delle famiglie italiane utilizza le biomasse come fonte di alimentazione dell’impianto di riscaldamento. Il 68 per cento delle famiglie usa il metano, l’8,5 per cento l’energia elettrica, il 5,6 per cento il GPL, il 2,6 per cento il gasolio.
Il mercato italiano dipende in buona parte dall’importazione: è più esposto all’andamento internazionale delle forniture e più fragile rispetto ai mercati di altri paesi europei. Secondo i dati dell’AIEL, l’associazione italiana energie agroforestali, ogni anno in Italia vengono importati 2,6 milioni di tonnellate a cui vanno aggiunte circa 500mila tonnellate della limitata produzione interna. Circa metà del pellet viene acquistato da Austria, Francia e Germania, un’altra quota significativa arriva dall’area baltica e balcanica, e solo una piccola quantità da Russia, Bielorussia e Ucraina.
Fino a febbraio l’andamento dei prezzi era stato piuttosto stabile, senza particolari anomalie. Dopo l’invasione russa in Ucraina il mercato è cambiato in tempi brevissimi. Al contrario del gas, di cui l’Europa e l’Italia importano una quota significativa dalla Russia, la produzione europea di pellet ha risentito solo parzialmente del blocco delle esportazioni dalla Russia e dalla Bielorussia dovuto alla guerra e alle sanzioni. L’AIEL stima che la riduzione dei flussi dai paesi coinvolti nella guerra abbia causato un taglio del 10 per cento delle importazioni di pellet in Italia.
Gli effetti indiretti, invece, sono più gravi. Con il blocco delle esportazioni di legname dalla Russia per via alle sanzioni, molte aziende francesi, tedesche e inglesi hanno ricevuto e lavorato meno legno dai cui scarti viene prodotto il pellet: per soddisfare la domanda interna sono state costrette a diminuire le esportazioni. Alcuni paesi come Bosnia-Erzegovina, Ungheria e Serbia hanno addirittura introdotto misure protezionistiche per limitare le esportazioni.
Un altro effetto secondario è stato l’aumento della competizione nel settore industriale, soprattutto nei paesi del Nord Europa dove le biomasse vengono sfruttate anche per la produzione di energia elettrica. L’aumento del prezzo del gas ha favorito l’utilizzo di fonti alternative come le biomasse: la crescita della domanda ha quindi favorito l’aumento dei prezzi.
Al momento l’Italia non ha le risorse industriali per compensare la diminuzione delle importazioni dovuta a effetti diretti e indiretti della guerra. Le aziende medio-grandi che producono pellet sono una ventina. Manca la materia prima, cioè gli scarti, perché negli ultimi anni in Italia c’è stata una diminuzione delle segherie che lavorano il legno.
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Secondo Annalisa Paniz, direttrice generale dell’AIEL, le conseguenze dell’invasione russa in Ucraina erano difficili da prevedere tutte insieme. Nel primo mese di guerra, fino alla fine di marzo, l’andamento dei prezzi non ha subìto effetti evidenti. L’aumento è iniziato ad aprile e a maggio è stato molto evidente fino alla situazione attuale. «Da anni il mercato europeo è strutturato, stabile, e ha dimostrato in passato di poter reagire alle criticità, ma questa è stata una tempesta perfetta», dice. «È molto difficile prevedere cosa succederà nei prossimi mesi».
Molte persone che in questo periodo compravano il pellet in vista della stagione invernale non sanno se sia più conveniente ordinare a un prezzo doppio rispetto allo scorso anno oppure aspettare. Come per il gas, il cui prezzo potrebbe aumentare ancora nei prossimi mesi, c’è grande incertezza.
«Nonostante sia molto difficile fare previsioni, ci sono alcuni consigli sempre validi», spiega Paniz. «Bisogna evitare di acquistare il pellet all’inizio della stagione invernale, quando le condizioni del mercato sono più soggette a possibili sbalzi. Inoltre ha senso acquistare il quantitativo necessario per la prossima stagione, senza fare la scorta per i prossimi anni, perché in questo modo la domanda rimane sotto controllo. I produttori europei sono convinti che il mercato riuscirà a rispondere a questa crisi con un aumento della produzione, anche se la prossima stagione sarà comunque dura. Molto dipenderà anche dall’andamento dei prezzi di altre fonti energetiche, soprattutto del metano».
L’aumento del prezzo del pellet e in generale l’alta richiesta delle biomasse ha avuto a sua volta effetti sulla filiera del legno, al punto che in alcuni casi è più conveniente utilizzare i tronchi per sbriciolarli e ricavare pellet invece che per l’edilizia o per la produzione di mobili.
«Con il prezzo dell’energia alle stelle il mercato compra tronchi interi per trasformarli in pellet», ha detto Paolo Fantoni, vice presidente di FederlegnoArredo, associazione che rappresenta i produttori di mobili, arredamento e accessori. «È un fenomeno deleterio che mette in difficoltà interi distretti industriali. Basti pensare che già oggi ci sono produzioni sospese in alcune aree per mancanza proprio di quel legno che fino a poco tempo fa era lo scarto della filiera. Il fatto di elevare i prezzi del 200 o del 300 per cento fa sì che certe convenienze possano venire meno con il risultato di ritrovare la competitività dell’intera filiera del mobile italiano compromessa».