Il Senato ha bocciato la parità di genere nel linguaggio istituzionale
A voto segreto è stato respinto un emendamento che chiedeva l'introduzione del linguaggio inclusivo negli atti ufficiali
Mercoledì il Senato ha respinto la modifica al regolamento proposta dalla senatrice Alessandra Maiorino (Movimento 5 Stelle) per adottare un linguaggio più inclusivo nelle comunicazioni istituzionali scritte dello stesso Senato. La modifica è stata votata a scrutinio segreto su richiesta di Fratelli d’Italia e ha ottenuto 152 voti favorevoli, 60 contrari e 16 astenuti: per essere approvata aveva bisogno della maggioranza assoluta, quindi di 161 voti favorevoli.
L’emendamento di Maiorino, presentato all’interno della Riforma del Regolamento in discussione in questi giorni Senato e resa necessaria dopo la riduzione del numero dei parlamentari approvata nel 2020, prevedeva che il Consiglio di presidenza stabilisse «i criteri generali affinché nella comunicazione istituzionale e nell’attività dell’amministrazione» venisse «assicurato il rispetto della distinzione di genere nel linguaggio attraverso l’adozione di formule e terminologie che prevedano la presenza di ambedue i generi attraverso le relative distinzioni morfologiche, ovvero evitando l’utilizzo di un unico genere nell’identificazione di funzioni e ruoli, nel rispetto del principio della parità tra uomini e donne».
Se la modifica fosse passata, nei documenti del Senato si sarebbe dovuto scrivere, ad esempio, «i senatori e le senatrici presenti» e non più «i senatori presenti», superando così il maschile sovraesteso, cioè l’uso del maschile come presunto neutro per indicare anche persone che maschi non sono.
Il centrosinistra ha commentato negativamente la bocciatura dell’emendamento. Valeria Valente, del PD e presidente della Commissione femminicidio, ha detto: «Ciò che è avvenuto oggi è gravissimo. Fratelli d’Italia con la complicità di tutta la destra ha manifestato cosa pensa del ruolo delle donne nella società. I nodi vengono al pettine. Il linguaggio è un fattore fondamentale di parità. Il ruolo non è neutro, è maschile. Negare questo passo di civiltà racconta i rischi che una cultura reazionaria può innescare».
Anche i movimenti femministi e la rete dei centri antiviolenza hanno criticato la decisione dicendo che il linguaggio non è solo una questione di forma e che le discriminazioni, gli stereotipi di genere e la violenza si riproducono non solo materialmente, socialmente e culturalmente, ma anche linguisticamente:
Il #Senato della Repubblica, anche grazie al voto segreto voluto da Fratelli d’Italia, ha negato l'utilizzo della differenza di #genere nel linguaggio ufficiale.
Da oggi avremo solo senatori. pic.twitter.com/hCnCTr16FD— DiRe – Donne in Rete contro la violenza (@diredonneinrete) July 27, 2022
Pd e M5S hanno criticato anche la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati che, su richiesta di Fratelli d’Italia, aveva concesso proprio sull’emendamento del linguaggio inclusivo il voto segreto. Casellati stessa nei suoi comunicati ufficiali si firma «il presidente del Senato».
Presentando in aula la sua richiesta di modifica, Maiorino aveva spiegato che una volta approvata le senatrici avrebbero potuto continuare a farsi chiamare “senatori”, se l’avessero voluto: «So che vi sono anche donne che preferiscono essere chiamate “il presidente”, o “il segretario”, ma potranno ancora farlo».
Lucio Malan, senatore di Fratelli d’Italia, ha difeso la scelta del suo partito dicendo che «l’evoluzione del linguaggio non si fa per legge o per regolamento, ma attraverso l’evoluzione del modo di pensare e parlare dei popoli». Facendo poi riferimento, ma senza molto senso, alla discussione sull’identità di genere nel disegno di legge Zan contro l’omotransfobia e altre discriminazioni affossato al Senato lo scorso ottobre, ha detto: «È curioso notare che quasi tutti i sostenitori del linguaggio di genere hanno sostenuto il ddl Zan, per il quale il genere è opinabile, auto-attribuito e mutevole».