Come essere brave persone senza irritare gli altri
Una comunicazione non moralistica e più empatica delle proprie scelte potrebbe diffondere comportamenti più etici
Una circostanza piuttosto frequente per le persone vegane è trovarsi a tavola con persone non vegane e dover sostenere interminabili conversazioni sulle ragioni della propria scelta, a volte per una propria iniziativa, altre volte per soddisfare le curiosità altrui e non apparire scortesi evadendo eventuali domande. In una condizione simile possono trovarsi, in generale, le persone che per ragioni etiche agiscono diversamente da quanto suggerito dalle norme comportamentali prevalenti e che alcuni studi di psicologia definiscono «ribelli morali».
Secondo un’ampia letteratura scientifica, sebbene siano nella condizione di potere in alcuni casi favorire o accelerare lo sviluppo di tendenze e processi benefici per la collettività, queste persone tendono a essere percepite come una minaccia per l’autostima morale dei loro osservatori. E questo succede perché, valutando il comportamento del ribelle morale, gli osservatori possono rendersi conto di un divario esistente tra i propri valori e il proprio comportamento, e sentirsi quindi moralmente inadeguati.
Un recente articolo sull’Atlantic ha ripreso alcuni studi sui ribelli morali condotti da un gruppo di ricercatori delle facoltà di economia e commercio e di psicologia all’Università Pompeu Fabra, a Barcellona, all’Università di Groningen, nei Paesi Bassi, e alla University of Western Australia, a Perth. Questi studi, uno dei quali pubblicato nel 2018 sulla rivista Frontiers in Psychology, descrivono una serie di approcci, accortezze e scelte linguistiche che potrebbero permettere alle persone mosse da buone intenzioni di non suscitare irritazione e reazioni difensive tra i loro osservatori. Tali misure – come per esempio descrivere le proprie scelte in modo meno intransigente, come un processo in corso, o sottolineare l’importanza dei traguardi anche minimi – potrebbero anzi ispirare una transizione verso comportamenti e modelli di società più sostenibili.
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L’autrice dell’articolo è la giornalista scientifica statunitense Michelle Nijhuis, che scrive per riviste come National Geographic, Scientific American e Aeon, e a marzo ha pubblicato il libro Beloved Beasts: Fighting for Life in an Age of Extinction. Per introdurre la questione dei ribelli morali, Nijhuis ha parlato prima di tutto della consapevolezza di queste persone di essere spesso ritenute «ipocrite» e «guastafeste». E ha citato come esempio uno studio pubblicato a gennaio sulla rivista scientifica Appetite riguardo al numero crescente di persone vegane e vegetariane riluttanti a rendere nota la propria scelta in determinati contesti.
All’interno di gruppi prevalentemente formati da persone che mangiavano carne, quasi la metà dei partecipanti vegani e vegetariani allo studio rifiutò di firmare una petizione che promuoveva scelte vegane o vegetariane dopo che la maggioranza delle persone non l’aveva firmata. Quando a firmare la petizione per primo era lo stesso ricercatore, le persone vegane e vegetariane andavano invece più facilmente contro la maggioranza e firmavano anche loro la petizione. Per spiegare questo fenomeno, gli autori dello studio ipotizzano che «vegetariani e vegani, in questo momento ancora un gruppo minoritario, siano preoccupati di suscitare stigma e quindi possano non sentirsi a proprio agio nell’esprimere le proprie preferenze» quando si trovano tra persone che mangiano carne.
Il problema di questa forma di autocensura è che priva la comunità della possibile influenza esercitata da persone in grado di avviare cambiamenti sociali, come notato in uno studio recentemente pubblicato dal gruppo di ricerca dell’Università Pompeu Fabra, dell’Università di Groningen e della University of Western Australia su WIRES Climate Change, una piattaforma online di studi scientifici interdisciplinari sul cambiamento climatico.
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«La minaccia morale può essere un ingrediente necessario per ottenere un cambiamento sociale proprio perché innesca una dissonanza etica», a patto che le persone intorno al ribelle morale siano disposte e si sentano in grado di cambiare, scrivono gli autori dello studio. E il fatto che quelle persone si sentano o meno in grado di cambiare dipende anche «da come i ribelli comunicano le proprie scelte morali agli altri, da come parlano di cambiamento».
Una delle ragioni per cui i ribelli morali suscitano reazioni difensive in molte persone, secondo gli autori dello studio su WIRES Climate Change, è che il loro esempio mette indirettamente in risalto il divario tra i valori e i comportamenti della collettività. Magari siamo tutti preoccupati per il cambiamento climatico, scrive Nijhuis, ma questo non impedisce comunque a molti di noi di acquistare all’occorrenza un biglietto aereo, ritenuto – pur tra molti limiti – uno dei comportamenti individuali con i più alti costi ambientali.
«I ribelli morali tendono a ricordarti le tue incongruenze, il che può essere molto doloroso perché può indurti a concludere che dopotutto non sei una brava persona, una persona virtuosa», ha detto all’Atlantic Claire Brouwer, ricercatrice dell’Università Pompeu Fabra, tra le autrici dello studio. Anche se è piuttosto comune percepire il comportamento e le osservazioni dei ribelli morali come una forma di obiezione moralistica alle scelte compiute dalla maggioranza, quella percezione potrebbe essere più il risultato di riflessioni autocritiche di una parte di quella maggioranza che non di una vera contrarietà ai comportamenti osservati nei ribelli morali.
«Il fatto che le persone reagiscano negativamente non significa che tu non abbia influenza, significa che hai toccato un nervo scoperto», ha detto un altro degli autori della ricerca, Jan-Willem Bolderdijk, dell’Università di Groningen. E anziché evitare del tutto qualsiasi provocazione, secondo Bolderdijk, i ribelli morali farebbero meglio a rendere quelle provocazioni più utili e produttive in termini di imitazione dei comportamenti etici innovativi.
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Prima di tutto, dal momento che le persone tendono ad affrontare più facilmente le proprie incongruenze morali quando reputano sé stesse in grado di migliorare, come sostiene lo studio, è più utile da parte dei ribelli morali rafforzare questa fiducia. Uno dei modi per farlo è descrivere i propri comportamenti come il risultato di un processo in corso, fatto di piccoli successi ed esposto al rischio di regressioni e imperfezioni, e non come una trasformazione irreversibile avvenuta nel giro di una notte. Sottolineare l’importanza dei passaggi incrementali, ha detto Brouwer, potrebbe convincere gli altri che il cambiamento è raggiungibile.
Le persone che dedicano tempo e impegno a una determinata causa politica, per esempio, potrebbero soffermarsi sulle piccole ma significative vittorie che le aiutano a mantenersi motivate. Una persona vegana potrebbe sembrare meno moralmente minacciosa agli occhi degli osservatori se affermasse di sentire ogni tanto la mancanza del sapore di una bistecca, per esempio, o se rendesse in altro modo gli osservatori partecipi di una qualche sua imperfezione rispetto al comportamento da lui o da lei ritenuto esemplare. In questo modo, «il punto di riferimento per gli osservatori del ribelle morale per valutare la propria moralità non sarebbe più la “perfezione morale”», affermano i ricercatori.
I ribelli morali potrebbero inoltre soffermarsi su quanti altri fattori, oltre alla volontà individuale, siano determinanti per i comportamenti delle persone. Potrebbero riconoscere quanto le scelte alimentari siano influenzate dalle esperienze infantili e dalle successive abitudini, per esempio, o quanto le scelte riguardo ai mezzi di trasporto siano spesso limitate dalla disponibilità e dai costi, che variano a seconda dei diversi contesti. E possono infine chiarire esplicitamente che il loro obiettivo è incoraggiare determinate azioni, non esprimere giudizi sui comportamenti altrui, facendo presente che coloro che sono in grado di dare un esempio morale in un determinato aspetto della vita possono benissimo non essere in grado di farlo relativamente ad altri aspetti.
«Il cambiamento sociale è quasi sempre avviato dagli individui, siano essi consumatori, attivisti o politici», ha detto Bolderdijk all’Atlantic, aggiungendo che «all’inizio sono tutti soli, e tutti affrontano le lotte e i costi sociali per essere i primi a deviare da una norma». E proprio per questo motivo, per avviare il cambiamento, c’è bisogno di «questi individui testardi, di queste persone disposte a resistere e continuare a spiegare i propri principi».