Avremo mai vaccini universali contro il coronavirus?

Centri di ricerca e aziende stanno avviando la sperimentazione dei vaccini polivalenti, ma ci sono molti dubbi sugli esiti

(GettyImages)
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A inizio luglio la Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (CEPI), importante fondazione che finanzia progetti di ricerca sui vaccini contro le malattie infettive emergenti, ha stanziato 30 milioni di euro per lo sviluppo di un vaccino polivalente contro il SARS-CoV-2 e altri coronavirus. Il finanziamento si aggiunge ad altri dieci progetti simili sostenuti da CEPI e mostra quanto sia alto l’interesse verso vaccini ad ampio raggio per tenere sotto controllo l’attuale pandemia ed evitarne di future.

La necessità di sviluppare un vaccino che sia efficace contro più varianti dell’attuale coronavirus è diventata evidente soprattutto nell’ultimo anno di pandemia. Il virus ha dimostrato di mutare molto velocemente, riuscendo a evadere in molti casi l’immunità sviluppata naturalmente in seguito a una precedente infezione, oppure per la via più sicura e consigliabile della vaccinazione. In particolare la variante omicron è stata l’elemento centrale delle ondate in buona parte del mondo tra la fine del 2021 e la prima metà di quest’anno, con una notevole quantità di sottovarianti che hanno causato aumenti dei contagi.

Lo sviluppo di un vaccino contro più tipologie di coronavirus, compresi alcuni di quelli che causano il comune raffreddore, non è però semplice e richiederà tempi più lunghi rispetto a quelli che avevano portato alle soluzioni che utilizziamo da oltre un anno, e che secondo vari studi hanno contribuito a salvare milioni di vite. Le difficoltà non mancano e secondo alcuni potrebbero essere insormontabili, come sperimentato finora con i vaccini contro l’influenza stagionale (che non è causata dai coronavirus), che devono essere aggiornati ogni anno a seconda delle varianti che si prevede circoleranno di più nella stagione fredda.

Decine di gruppi di ricerca nelle università, nelle aziende farmaceutiche e in alcune importanti istituzioni sanitarie hanno già realizzato vaccini polivalenti: alcuni sono in attesa di completare le sperimentazioni in laboratorio, mentre altri hanno da poco iniziato le prime fasi di test sui volontari. CEPI ne ha finanziate alcune investendo finora circa 200 milioni di euro, così come altre istituzioni hanno provveduto a ulteriori corposi investimenti: l’Istituto Nazionale per le Allergie e le Malattie Infettive degli Stati Uniti (NIAID) sta finanziando questo ambito della ricerca con oltre 40 milioni di dollari, per esempio.

Lo scorso marzo CEPI e NIAID hanno avviato una collaborazione, con la creazione di un forum scientifico aperto ai gruppi di ricerca per condividere più facilmente e velocemente le loro attività. Mentre NIAID si concentra soprattutto sul finanziamento della ricerca universitaria, CEPI segue un approccio più aperto e che comprende numerose startup, nate prima o durante la pandemia proprio con l’obiettivo di creare una nuova generazione di vaccini contro varie malattie.

Gli approcci della ricerca sono molteplici e di conseguenza anche le soluzioni sviluppate finora. Tra le tecnologie più impiegate c’è naturalmente quella a mRNA, che ha reso possibile lo sviluppo in tempi molto rapidi di alcuni dei vaccini più efficaci e sicuri per prevenire le forme gravi di COVID-19, come quelli realizzati da Pfizer-BioNTech e da Moderna.

E proprio Moderna lo scorso marzo aveva presentato una prima versione di vaccino contro i coronavirus umani, chiamato con il nome di sviluppo mRNA-1287. Secondo l’azienda è in grado di fornire protezione contro due tipi di alphacoronavirus e betacoronavirus (come il SARS-CoV-2), responsabili di una parte importante dei casi di raffreddore comune. Il vaccino non impedirebbe una nuova pandemia, per stessa ammissione di Moderna, ma potrebbe contribuire a ridurre in maniera cospicua numerosi disturbi respiratori e complicazioni.

Un gruppo di ricerca di Singapore, invece, sta verificando la possibilità di realizzare un vaccino a mRNA partendo da coronavirus con alcuni elementi in comune con il SARS-CoV-1, il virus che causa la SARS. L’idea è nata dall’osservazione di alcuni pazienti che avevano avuto la SARS una ventina di anni fa e che dopo avere ricevuto il vaccino contro la COVID-19 hanno sviluppato anticorpi in grado di neutralizzare diversi tipi di coronavirus. La somministrazione di un vaccino contro l’attuale coronavirus, seguita da una dose di richiamo con quello ora in fase di sviluppo, potrebbe offrire una migliore protezione. I test in laboratorio sono incoraggianti e il gruppo di ricerca ha già avviato il confronto con alcune aziende farmaceutiche e di biotecnologie che potrebbero essere interessate al sistema.

Il nuovo finanziamento annunciato a inizio luglio da CEPI riguarda un consorzio di ricerca dedicato allo sviluppo di un vaccino che offra protezione contro le forme di COVID-19 causate dalle varianti che abbiamo conosciuto finora, e da quelle che potranno esserci in futuro. Il sistema prevede un approccio che viene definito “a mosaico”, adottato da altre aziende e istituzioni di ricerca finanziate in precedenza da CEPI.

Molti vaccini funzionano mostrando solo una parte del coronavirus, la “proteina spike”, al nostro sistema immunitario in modo che questo impari a riconoscerla e di conseguenza a identificare un futuro eventuale contatto con il virus vero e proprio. Nell’approccio a mosaico, il vaccino viene sviluppato in modo da presentare al sistema immunitario proteine comuni a diversi tipi di coronavirus, in modo che sviluppi una capacità di reazione più ampia. Il risultato si ottiene costruendo una sorta di mosaico, appunto, di queste proteine utilizzando particolari nanoparticelle.

Come spiegato in uno studio pubblicato a inizio luglio sulla rivista scientifica Science, questo approccio rende possibile lo sviluppo di una protezione non solo contro i coronavirus i cui pezzetti sono compresi nel mosaico, ma anche contro altre loro varianti. La ricerca sembra confermare che una tecnologia di questo tipo possa ridurre i rischi di sviluppare nuove infezioni a causa delle varianti, o di nuovi tipi di coronavirus che passano dagli animali agli esseri umani.

Negli ultimi mesi Pfizer-BioNTech, Moderna e altre aziende farmaceutiche hanno intanto aggiornato i propri vaccini, con l’obiettivo di migliorarne l’efficacia contro alcune sottovarianti di omicron. I nuovi vaccini aggiornati dovrebbero essere disponibili nell’autunno, ma per allora la situazione potrebbe essere cambiata sensibilmente, con la prevalenza di nuove varianti. Il coronavirus muta ed evolve in tempi più rapidi rispetto a quelli di aggiornamento dei vaccini e proprio per questo è percepita una certa urgenza nel creare vaccini universali. Ciò giustifica gli ingenti finanziamenti degli ultimi mesi, ma i tempi non saranno comunque brevi.

Secondo le stime più ottimistiche, ammesso che se ne ottengano versioni efficaci a sufficienza, non avremo a disposizione vaccini universali prima del 2024. La sperimentazione richiede tempi lunghi, proprio per garantire che i vaccini siano sicuri ancor prima che efficaci, e c’è il rischio che una riduzione del senso di emergenza legato alla pandemia porti a una progressiva riduzione dei finanziamenti o a problemi burocratici nelle fasi di autorizzazione da parte delle autorità sanitarie.

Come ha segnalato Patrick Collison, cofondatore dell’iniziativa per il finanziamento della ricerca scientifica Fast Grants, e CEO del sistema di pagamenti digitali Stripe, i tempi potrebbero allungarsi sia a causa della burocrazia sia delle difficoltà logistiche nel produrre e distribuire grandi quantità dei vaccini di nuova generazione. Tra il 2020 e il 2021 parte di questi problemi fu attenuata con Operation Warp Speed, l’iniziativa del governo degli Stati Uniti da 10 miliardi di dollari per accelerare il più possibile lo sviluppo, l’autorizzazione e la distribuzione dei vaccini.

Secondo Collison, un decimo di quanto speso all’epoca potrebbe essere sufficiente per aiutare chi svilupperà i nuovi vaccini a produrli velocemente. Altre proposte per sveltire i processi riguardano la Food and Drug Administration (FDA), l’agenzia federale statunitense che si occupa di farmaci, che secondo vari osservatori dovrebbe rivedere i requisiti per l’autorizzazione dei nuovi vaccini, specialmente per quelli che si basano comunque su sistemi già collaudati e che vengono aggiornati.

Al di là delle tempistiche, non tutti sono comunque convinti della possibilità di sviluppare vaccini universali o per lo meno molto versatili per contrastare le future varianti del SARS-CoV-2. Per decenni numerosi gruppi di ricerca hanno provato senza successo a sviluppare vaccini universali contro l’influenza stagionale e anche contro l’HIV, il virus che può causare l’AIDS. Queste malattie sono causate da virus con una spiccata capacità di mutare, che rende difficile sviluppare soluzioni efficaci e che conferiscano un’immunità nel lungo periodo.

Come ha commentato Wayne Koff, responsabile dell’organizzazione senza scopo di lucro Human Vaccines Project: «Siamo abbastanza consapevoli di voler creare un’immunità che duri nel tempo, idealmente tutta la vita, ma non sappiamo come farlo».