Papa Francesco ha chiesto scusa ai popoli indigeni del Canada
Per le violenze e gli abusi commessi nei collegi per bambini indigeni, usati per l’assimilazione forzata delle culture autoctone
Lunedì, durante la sua visita in Canada, Papa Francesco si è scusato a nome della Chiesa cattolica per l’oppressione, le violenze e gli abusi commessi da membri della Chiesa tra Ottocento e Novecento nei confronti dei popoli indigeni, nell’ambito di quello che il governo canadese aveva riconosciuto già da tempo come un «genocidio culturale». Il Papa in particolare si è riferito alle conseguenze «catastrofiche» del sistema di assimilazione forzata portato avanti nelle Indian Residential Schools, i collegi per indigeni istituiti dal governo e gestiti in gran parte dalla Chiesa cattolica, in cui i bambini subivano numerose violenze fisiche e psicologiche, spesso vivendo in condizioni al limite della sopravvivenza.
Con un discorso pronunciato in spagnolo davanti a un gruppo di membri di varie comunità indigene radunato vicino a Edmonton, in Alberta, il Papa si è assunto la responsabilità dell’assimilazione forzata e violenta alla cultura cristiana, di cui proprio i collegi cattolici furono uno dei principali strumenti.
«Chiedo umilmente perdono per i mali commessi da così tanti cristiani nei confronti dei popoli indigeni», ha detto il Papa, osservando che il sistema delle “scuole residenziali” per indigeni, attive fino alla fine degli anni Novanta, ha contribuito a distruggere le culture autoctone e a marginalizzare le persone indigene.
Il Papa ha poi aggiunto di essere «profondamente dispiaciuto» per il modo in cui «molti cristiani avevano sostenuto l’atteggiamento colonizzatore» e favorito l’oppressione dei popoli indigeni proprio attraverso i «progetti di distruzione culturale» promossi dai governi dell’epoca, come quelli dei collegi.
Il governo canadese si era scusato ufficialmente con le persone sopravvissute alle “scuole residenziali” per la prima volta nel 2008, e di recente si è impegnato a pagare decine di miliardi di dollari in risarcimenti agli ex studenti degli istituti. Negli anni si è scusata per gli abusi fisici, sessuali, emotivi e spirituali compiuti nei collegi anche la Chiesa anglicana. La Chiesa cattolica, responsabile di buona parte di questi collegi, l’ha fatto solo adesso (ad aprile Papa Francesco aveva ammesso per la prima volta le responsabilità della Chiesa davanti a tre delegazioni di nativi canadesi in Vaticano).
– Leggi anche: La storia del «genocidio culturale» dei popoli indigeni del Canada
In Canada l’oppressione, le violenze e gli abusi commessi dai missionari e dai discendenti dei coloni nei collegi cattolici sono discussi a livello ufficiale da tempo: questi temi sono stati affrontati anche dalla stampa internazionale in particolare nell’estate del 2021, in seguito al ritrovamento di centinaia di tombe anonime scoperte in varie fosse comuni vicino a tre ex collegi.
L’assimilazione culturale dei popoli indigeni del Canada – chiamati Prime Nazioni – cominciò a essere esercitata attraverso una serie di leggi, come il Gradual Civilization Act del 1857, che offriva denaro e terreni per gli indigeni a patto che abbandonassero il loro stile di vita e accettassero di alfabetizzarsi secondo i canoni europei. La legge più rilevante fu però quella del 1876, chiamata Indian Act, una delle leggi più emendate e modificate della storia canadese, in senso sempre più restrittivo: promuoveva l’integrazione e l’assimilazione delle Prime Nazioni, le forzava ad abbandonare i loro usi e costumi e metteva al bando i loro rituali, allargando il campo in cui l’autorità canadese poteva intervenire.
Un ruolo rilevante nell’assimilazione culturale degli indigeni lo ebbero proprio le Indian Residential Schools, che cominciarono a diffondersi a fine Ottocento.
Nel loro momento di massima espansione, questi collegi religiosi costituivano una rete di 132 istituti dove i bambini venivano tenuti in condizioni igieniche spesso al limite della sopravvivenza. Gli studenti venivano spesso prelevati con la forza dalle loro case ed erano poi costretti a convertirsi al cristianesimo: non potevano parlare la loro lingua e dovevano rimanere a migliaia di chilometri dalle proprie famiglie. Molti inoltre venivano picchiati e subivano vari tipi di violenze sessuali, fisiche e psicologiche.
A oggi non ci sono stime precise, ma si pensa che migliaia di bambini indigeni morirono per malattie, malnutrizione, negligenze o suicidio. Molti morirono tentando di fuggire.