Votare esprimendo più scelte ridurrebbe la polarizzazione?
Incentiverebbe tra i candidati una ricerca di consensi più estesa e meno divisiva, secondo alcuni, ma è un tema dibattuto
Nel 2021, le primarie statunitensi del Partito Democratico per la scelta del candidato sindaco alle elezioni di New York, poi vinte da Eric Adams, che fu eletto sindaco, riattivarono un dibattito laterale riguardo al sistema di voto utilizzato: il cosiddetto ranked-choice voting (letteralmente, «voto con scelta classificata»). Quelle primarie furono le più grandi elezioni statunitensi a utilizzare questo sistema: anziché esprimere una sola preferenza tra 13 aspiranti sindaci, gli elettori poterono indicare i loro cinque candidati preferiti in ordine dal più apprezzato al meno apprezzato. Utilizzato in varie forme anche per altre elezioni locali americane e in alcuni paesi del mondo, notoriamente l’Australia, questo sistema è conosciuto in Italia con il nome di «voto alternativo» o «a ballottaggio istantaneo».
Negli Stati Uniti, paese in cui la legge elettorale è generalmente considerata intoccabile, il sistema del voto alternativo è stato in tempi recenti oggetto di riflessioni condivise da diversi commentatori e analisti che gli attribuiscono una serie di potenziali vantaggi. Il più importante è che potrebbe determinare una significativa riduzione della polarizzazione politica, perché stimolerebbe i candidati a rivolgersi all’intero elettorato anziché cercare di riunire una maggioranza relativa intorno a messaggi divisivi e faziosi.
Le critiche a questo sistema si concentrano invece sulle possibili difficoltà degli elettori a comprenderne il funzionamento e sui possibili effetti distorsivi sui risultati finali. Uno tra questi è che, in alcuni casi, a essere favoriti sarebbero non i candidati più apprezzati in assoluto ma quelli meno sgraditi, anche se mediocri. Potrebbe capitare, cioè, che un candidato risulti vincitore pur non essendo quello che la maggioranza degli elettori aveva indicato come prima scelta. Effetti distorsivi simili a questo o di altro tipo sono del resto associati anche ad altri sistemi di voto e in una certa misura considerati inevitabili, e non c’è un sistema che sia unanimemente ritenuto il migliore rispetto a tutti gli altri.
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Il sistema del voto alternativo o a ballottaggio istantaneo risale alla seconda metà del XIX secolo e fu sviluppato a partire da sistemi elettorali precedentemente discussi, tra gli altri, dal matematico francese Nicolas de Condorcet e dal matematico inglese Thomas Wright Hill. Nella sua formulazione più comune, richiede agli elettori di scegliere i candidati indicandoli in ordine di preferenza e ha l’obiettivo di ottenere un vincitore che sia gradito al maggior numero di persone.
La parte più lunga e complessa, in genere, è lo scrutinio. Se un candidato ottiene da subito la maggioranza assoluta dei voti che lo indicano come prima scelta nella classifica presente su ciascuna scheda elettorale, viene automaticamente eletto. Se invece nessun candidato supera inizialmente la soglia del 50 per cento, il candidato con il minor numero di schede che lo indicano come prima scelta viene escluso. Le schede attribuite al candidato eliminato vengono quindi «trasferite» a quelli rimasti in gara, tenendo in considerazione il candidato indicato come seconda scelta su ciascuna di quelle schede.
Se nemmeno a quel punto emerge un vincitore, ossia un candidato con la maggioranza assoluta di voti, si procede con una seconda eliminazione: anche in questo caso, quella del candidato con meno voti. E anche in questo caso le schede a lui attribuite vengono trasferite a quelli rimasti in competizione seguendo lo stesso criterio della prima eliminazione. Questo processo continua finché un candidato non ottiene la metà dei voti più uno.
Un esempio utile a capire come funzioni il volto alternativo è il sistema in uso dal 2010 per l’assegnazione dell’Oscar per il miglior film, che peraltro attirò in passato diverse critiche per il sospetto che tenda a favorire film poco audaci e mediocri, ritenuti non brutti – ma nemmeno i migliori – da un ampio numero di votanti.
In questo esempio l’«elettorato» sarebbero tutti i membri dell’Academy, l’associazione che assegna gli Oscar. Ciascun membro non indica soltanto un film preferito ma fornisce una classifica di quelli che ritiene essere i migliori. Se dalla prima verifica dei voti emerge un film messo in prima posizione in più di metà delle classifiche, quel film vince l’Oscar. Se questo non accade, dalla lista dei film candidati viene eliminato quello messo al primo posto dal minor numero di membri dell’Academy. E i voti vengono ripartiti tra i film che quei giurati avevano indicato come seconda scelta nelle loro classifiche.
È abbastanza frequente che, anche con il sistema del voto alternativo, a vincere le elezioni sia alla fine il candidato che ottiene da subito il maggior numero di preferenze. Ma non è sempre così, e secondo diversi analisti il miglior modo per provare a vincere le elezioni con questo sistema è finire nella classifica del maggior numero possibile di elettori, a prescindere dalla posizione.
Durante le elezioni del 2010 per il sindaco di Oakland, in California, una delle città americane in cui è in uso il voto alternativo, il candidato democratico Don Perata risultò inizialmente quello con la maggioranza relativa di schede che lo indicavano come prima scelta (33,73 per cento). Alla fine dello scrutinio perse però le elezioni nel ballottaggio finale contro la candidata democratica Jean Quan, che diventò sindaca con il 50,96 per cento dei voti finali nonostante fosse stata indicata come prima scelta soltanto nel 24,47 delle schede (era comunque la seconda, dopo Perata, per numero di voti di prima scelta).
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Il voto alternativo è generalmente considerato un tentativo di risolvere alcuni dei problemi associati ai sistemi elettorali a maggioranza relativa, che sono la norma in molte democrazie del mondo tra cui Stati Uniti, Regno Unito e Francia. In questi sistemi, nel caso di elezione di un unico rappresentante (collegio uninominale) e turno unico, uno dei principali vantaggi è la semplicità del voto: chi ne prende più degli altri, vince.
Lo svantaggio è che, in presenza di più candidati più o meno equamente apprezzati e votati, il vincitore è di fatto un candidato che la maggioranza assoluta dell’elettorato non ha votato (Donald Trump, per esempio, ottenne il 45 per cento dei voti alle primarie del suo partito). E questo può indebolire la legittimità del vincitore e rendere più difficile il suo lavoro. Il sistema a doppio turno – in vigore in Francia, per esempio – mitiga in parte questo effetto: può vincere al primo turno soltanto chi ottenga una maggioranza assoluta dei voti, appunto. Altrimenti si procede a un ballottaggio i due candidati che al primo turno hanno ottenuto almeno il 12,5% dei voti (raramente sono più di due).
Ma ci sono svantaggi anche nel sistema a doppio turno, dispendioso in termini di costi e di tempi, dal momento che il ballottaggio avviene in un secondo momento. Questo sistema pone inoltre problemi in termini di affluenza, di solito più bassa al secondo turno e con conseguenti effetti distorsivi sul risultato dell’elezione.
I riformatori dei sistemi elettorali a maggioranza relativa sostengono che questi sistemi siano una delle principali cause del frazionamento politico e della polarizzazione. In particolare, incoraggerebbero i candidati a fare campagne negative contro i propri avversari e gli elettori a dare voti «strategici» per sfavorire determinati candidati a loro sgraditi, rischio presente in particolare al secondo turno nei sistemi che lo prevedono.
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Il voto alternativo o a ballottaggio istantaneo, secondo i suoi sostenitori, cerca di correggere tutti questi effetti. Prima di tutto preserva il principio della maggioranza assoluta dei voti. Non può infatti vincere subito un candidato con una maggioranza relativa: occorre che ne emerga uno con una maggioranza assoluta di preferenze attraverso i vari «turni» eliminatori. E quei turni si tengono tutti istantaneamente, quindi non richiedono agli elettori di votare più volte. La richiesta di compilare una classifica completa pone inoltre l’elettorato di fronte alla necessità di considerare e valutare tutti i candidati, non soltanto il più apprezzato o il più detestato.
Quanto alla polarizzazione, è largamente condivisa tra i sostenitori del voto a ballottaggio istantaneo l’idea che questo sistema sia in grado di ridurre la conflittualità delle campagne elettorali. Come spiegava nel 2020 l’imprenditore statunitense Andrew Yang, candidato alle scorse primarie a New York e prima ancora a quelle presidenziali, dato che ciascun elettore potrebbe potenzialmente votare per un candidato così come per un suo avversario, i candidati tendono a evitare di attaccarsi a vicenda perché quel tipo di campagna allontanerebbe voti utili. Preferiscono invece rivolgersi ai sostenitori di altri candidati in modo da provare a essere la seconda o terza scelta di quegli elettori.
Queste affermazioni sembrerebbero confermate da uno studio del 2016 della University of Iowa e della Western Washington University. In occasione di un ciclo di elezioni locali americane nel 2013, i ricercatori riscontrarono tra gli elettori percezioni delle campagne elettorali generalmente più positive nei contesti basati sul sistema del voto alternativo.
E a conclusioni simili portò anche una più recente analisi dei commenti dei candidati su Twitter e degli articoli di giornale, pubblicata nel 2021 dalla politologa statunitense Martha Kropf, docente di scienze politiche alla University of North Carolina at Charlotte. Nei contesti locali in cui le elezioni si svolgevano utilizzando il voto alternativo, scoprì Kropf, dall’analisi emergeva un numero di espressioni negative significativamente più basso rispetto al numero rilevato nelle elezioni normali, quelle che non richiedevano di compilare una classifica.
Altri studi e rapporti statunitensi sulle elezioni svolte in giurisdizioni che hanno implementato il sistema del voto alternativo hanno inoltre evidenziato una rappresentanza complessivamente migliore delle donne e delle minoranze in termini di maggiori probabilità di candidatura e di vittoria.
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Secondo Benjamin Reilly, politologo australiano della University of Western Australia a Perth, il sistema del voto alternativo non rende tuttavia le persone automaticamente più simpatiche. E lo dimostrerebbe il fatto che in Australia, dove gli elettori da oltre un secolo esprimono le proprie preferenze di voto attraverso una classifica, «abbiamo un sistema altamente contraddittorio, con tutto il solito teatrino di politici che si urlano addosso», ha detto Reilly. E del resto, come notato da diversi commentatori, nemmeno nelle primarie per il sindaco di New York mancarono le offese e gli attacchi verbali tra candidati avversari.
Nelle sue ricerche, Reilly condusse diversi studi sui sistemi di voto alternativo in uso negli anni Sessanta in Papua Nuova Guinea, una realtà politica estremamente frammentata per ragioni etniche e che Reilly definisce «un esperimento naturale davvero interessante». Ne trasse un’indicazione che conferma una caratteristica spesso attribuita in generale anche da altri analisti al sistema del voto alternativo: la tendenza a favorire alleanze e accordi tra gruppi, in modo da rendere più facile per i candidati ottenere preferenze anche come seconda o terza scelta.
Dopo aver ottenuto l’indipendenza nel 1975, la Papua Nuova Guinea introdusse invece un sistema di voto a maggioranza relativa che stravolse le precedenti inclinazioni, afferma Reilly. Al punto che negli anni Novanta «gli incentivi a trattare e fare compromessi erano completamente scomparsi» e le persone vincevano le elezioni anche con il 5 o il 6 per cento dei voti. E questo generava frequenti episodi di violenza tra i gruppi e condizioni di sostanziale ingovernabilità, perché di fatto i politici entravano in carica senza poter contare su un sostegno significativo della popolazione. Un sistema di voto alternativo fu quindi reintrodotto con successo nel 2003, e le violenze diminuirono.
Uno degli argomenti contrari al voto alternativo è che sia un sistema complesso da gestire. Le preoccupazioni riguardano non tanto le fasi di scrutinio ed elaborazione dei risultati, per cui esistono appositi strumenti elettronici, bensì la comprensione del suo funzionamento da parte dell’elettorato, in particolare le fasce meno istruite, quelle più povere e le minoranze. Eventuali incomprensioni, secondo una parte dei commentatori politici, finirebbero per rendere più profonde le disuguaglianze già esistenti.
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Alcune ricerche recenti hanno tuttavia ridimensionato in parte questo tipo di preoccupazioni. In uno studio della Western Washington University condotto nel 2019 nelle città della California che utilizzano il sistema di voto tramite classifica e in quelle che non lo utilizzano, l’88 per cento delle persone intervistate valutò le istruzioni ricevute per il voto tramite classifica come «facili» o «piuttosto facili». E non emersero differenze sostanziali nella comprensione di quelle istruzioni da parte delle minoranze, sebbene sia emersa in generale una minore capacità di comprenderle da parte dell’elettorato più anziano.
Un altro difetto attribuito al voto alternativo è che sulle schede, nel caso in cui non sia necessario indicare la posizione in classifica di un numero minimo di candidati, gli elettori tendono a indicare soltanto le prime due o tre posizioni. E questo porta al problema delle cosiddette schede «esaurite» (exhausted), che si verifica quando il numero di voti trasferibili agli altri candidati rimasti in competizione, in base alle preferenze di classifica espresse sulle schede, si riduce pesantemente dopo le prime eliminazioni perché quelle schede non riportano altri candidati oltre la seconda o terza posizione.
Supponiamo che ci siano cinque spazi da riempire sulla scheda elettorale, ma che un elettore indichi soltanto tre nominativi nelle prime tre posizioni e poi nessun altro. Qualora i tre candidati espressi da quell’elettore venissero tutti e tre eliminati nei primi turni «istantanei», quella scheda risulterebbe «esaurita» e non avrebbe più alcun valore da quel punto dello scrutinio in poi, quindi nemmeno in merito alla scelta dei due candidati principali nel ballottaggio finale.
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In presenza di un cospicuo numero di schede «esaurite» troppo in fretta perché compilate parzialmente, è effettivamente possibile che a vincere l’elezione sia alla fine un candidato che non ha il sostegno della maggioranza degli elettori. In un certo senso è come se anche nel caso del voto alternativo si verificasse, ma in versione «istantanea», il problema della scarsa affluenza al ballottaggio nei sistemi a doppio turno.
Perché il voto espresso attraverso una classifica funzioni, secondo il politologo statunitense Todd Donovan, coautore dello studio del 2019 sul sistema ranked-choice in California, occorre che gli elettori vengano «istruiti per farlo funzionare». E il problema delle classifiche compilate solo parzialmente mostra quanto sia impegnativa la richiesta per gli elettori: avere un’opinione riguardo a più candidati quando spesso hanno già difficoltà a farsi un’idea nel caso in cui ci sia da esprimere una sola preferenza.