Il M5S deve capire cosa fare della regola dei due mandati
Grillo la considera intoccabile, ma Conte sembra voler trovare un qualche tipo di deroga per gli esponenti più noti
Nelle prossime settimane di campagna elettorale in vista del voto del 25 settembre, il Movimento 5 Stelle dovrà risolvere alcune questioni che potrebbero provocare ulteriori spaccature interne dopo quelle emerse durante l’ultima crisi politica. I gruppi parlamentari sono riusciti a passare indenni dalla crisi di governo, limitando i danni ed evitando una scissione che sembrava annunciata, ma i problemi non sono finiti: su tutti, il M5S deve capire cosa fare della regola dei due mandati, che impedirebbe a molti e noti esponenti del partito di ricandidarsi alle prossime elezioni. E questo sembra essere un problema soprattutto per il leader Giuseppe Conte, che ha il compito di recuperare consensi prima del voto.
Molto in breve, la regola dei due mandati – cioè il divieto di candidarsi per una terza volta, sia nella politica nazionale che in quella locale – è stata un cardine del M5S fin dalla sua fondazione. Il fondatore Beppe Grillo e i leader della prima ora come Alessandro Di Battista ci hanno costruito un pezzo dell’identità antisistema del partito, ma col passare del tempo una parte dei parlamentari e degli amministratori del M5S hanno iniziato a vederci anche dei problemi: in primo luogo il fatto che obbliga a fare a meno di un’intera generazione di dirigenti all’apice della loro notorietà ed esperienza.
Tra i politici del M5S che non potrebbero ricandidarsi alle prossime elezioni politiche, se la regola sarà confermata, ci sono il presidente della Camera Roberto Fico, la senatrice Paola Taverna, gli ex ministri Danilo Toninelli, Giulia Grillo e Riccardo Fraccaro, e altri esponenti molto vicini a Conte come Vito Crimi e Alfonso Bonafede.
Nella visione dei fondatori del M5S, la regola doveva impedire agli eletti di fare della politica una “professione” e li avrebbe portati a mantenere un contatto con la società fuori dai “palazzi della politica”, perché ci sarebbero tornati una volta esauriti i due mandati. Allo stesso tempo all’inizio di questa legislatura emersero chiaramente gli svantaggi della regola, soprattutto a livello locale, perché interrompe anzitempo il lavoro dei consiglieri comunali. A luglio del 2019 era stata introdotta quindi una prima deroga con l’invenzione del cosiddetto “mandato zero”: in sostanza un escamotage per non considerare il primo mandato degli eletti a livello locale e permettere loro di farne fino a tre.
Ipotesi di ulteriori deroghe erano poi state discusse negli anni successivi, specialmente in concomitanza con le crisi dei due governi Conte. Il “mandato zero” non vale infatti né per gli incarichi regionali né per quelli nazionali, perciò i gruppi parlamentari hanno fatto periodicamente pressioni sui vertici del partito per trovare un modo di aggirare la regola. I retroscena in questi giorni raccontano che Conte starebbe cercando di convincere Grillo ad accettare una deroga, perché vorrebbe inserire nelle liste elettorali alcuni nomi noti del partito che la regola dei due mandati escluderebbe: «Giuseppe Conte vuole a ogni costo una deroga per i suoi fedelissimi» scrive Federico Capurso sulla Stampa di oggi. «Molti di loro sono “fondamentali” per trainare le liste elettorali, spiegano dai piani alti del partito».
Il problema è che Grillo sembra essere profondamente contrario all’idea. Se in passato era stato più possibilista, domenica ha pubblicato un video in cui dice che «i nostri due mandati sono la nostra luce in questa tenebra incredibile, i due mandati sono l’interpretazione della politica in un altro modo, i due mandati sono un antibiotico, dove tu interpreti la politica come un servizio civile».
Secondo Capurso, Conte sta provando a convincere Grillo proponendo di mantenere il principio dei due mandati ma introducendo almeno una deroga per alcuni dei parlamentari più noti. E in ogni caso vorrebbe passare per un voto online degli iscritti al Movimento: se però Grillo non dovesse appoggiare pubblicamente questa scelta, il risultato non sarebbe scontato.
I parlamentari al secondo mandato esclusi da un’eventuale deroga avrebbero con ogni probabilità da protestare, così come quelli eletti nel 2018 e che vedrebbero ridurre i posti disponibili per il giro successivo. Posti che già saranno molti meno rispetto alle ultime elezioni, sia perché da allora il M5S ha perso circa due terzi dei propri consensi, almeno nei sondaggi, sia perché dopo il referendum voluto proprio dal M5S nel 2020 deputati e senatori saranno un terzo di meno. Insomma: mettere d’accordo e accontentare i circa 160 parlamentari rimasti nel M5S non sarà semplice.
In tutto questo potrebbe avere un ruolo importante Di Battista, che scegliendo di non ricandidarsi nel 2018 è rimasto a un solo mandato: la sua scelta, secondo molti, fu dovuta proprio alla volontà di arrivare avvantaggiato al ricambio dirigenziale in corrispondenza della fine del secondo mandato dei primi, storici eletti del M5S.
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