Il centro è diventato un posto assai affollato
Arrivando sia da destra sia da sinistra nell'ultima legislatura ci sono finiti un bel po' di partiti e partitini, che ora dovranno decidere incastri e alleanze
La possibile fine del cosiddetto “campo largo” tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle, la scissione con la quale Luigi Di Maio è uscito dal Movimento 5 Stelle e lo spostamento di Forza Italia verso destra sembrano aver ridato vita – e forse autonomia – al centro, uno spazio politico che negli ultimi tempi è diventato parecchio affollato. Secondo alcuni, potrebbe valere circa il 15 per cento dei voti, ma a spartirseli saranno una lunga serie di partiti e partitini in parte recenti e in parte poco noti a elettori e elettrici, per nomi e simboli.
Per ora tutte forze che hanno una collocazione centrista sono divise e il progetto della creazione di un’unica lista sembra essere piuttosto lontano. «C’è un centro che guarda a destra, un altro che guarda a sinistra, un altro ancora che vorrebbe correre in autonomia» ha riassunto venerdì il Corriere della Sera. Le elezioni saranno il 25 settembre e non c’è molto tempo per costruire dei programmi, fare degli accordi, chiudere le liste e assegnare i collegi elettorali ai candidati.
La formazione che all’interno di quest’area sembra per ora essere più solida, anche dal punto di vista dei sondaggi, è quella formata da Azione e +Europa. Azione è il partito fondato nel 2019 da Carlo Calenda, in opposizione alla decisione del Partito Democratico – al quale Calenda si era iscritto nel 2018, poco dopo la sconfitta alle elezioni politiche – di allearsi con il Movimento 5 Stelle. Calenda ha 49 anni, è europarlamentare dal 2019 (eletto con il PD), è stato ministro dello Sviluppo economico nei governi Renzi e Gentiloni e alle amministrative del 2021 si è candidato a sindaco di Roma, ottenendo circa il 19 per cento e non riuscendo ad arrivare al ballottaggio.
Azione ha finora insistito molto nel proprio posizionamento contro “il populismo”, ma appare comunque come un “partito personale” che, di fatto, coincide con la figura di Calenda stesso. Ha sostenuto il governo Draghi e lo scorso gennaio si era federato con +Europa, il partito di Emma Bonino di ispirazione radicale. In un’intervista di oggi su Repubblica, Calenda ha escluso la possibilità di un’alleanza con il PD in vista delle prossime elezioni, nonostante la possibile e probabile fine dell’alleanza con il M5S: a meno che, ha spiegato, il PD non si liberi «di certe frattaglie a sinistra», e non dica «sì ai rigassificatori e ai termovalorizzatori». L’intenzione di Calenda sarebbe «creare un vero fronte repubblicano, europeista, pragmatico, che punta a risolvere le cose. E le soluzioni non sono né di destra né di sinistra». Ha già detto che lui si candiderà al collegio di Roma 1, uninominale.
Della necessità di un “fronte repubblicano” ha parlato anche l’altro principale protagonista dell’area di centro: Matteo Renzi, con il suo partito Italia Viva. Il partito ha avuto una significativa rappresentanza nell’attuale parlamento, a sostegno prima del secondo governo di Giuseppe Conte e poi, dopo averlo fatto cadere, di quello di Mario Draghi. Ma a livello di sondaggi è piuttosto basso. Alle ultime amministrative Italia Viva aveva appoggiato in maniera intercambiabile candidati di centrosinistra e candidati di destra, ma alle prossime politiche dovrà decidere da che parte stare.
Nelle ultime ore Renzi, facendo un implicito riferimento alla politica francese e alla costruzione di un “fronte repubblicano” come quello invocato da Emmanuel Macron contro le destre, ha detto: «Facciamo un grande rassemblement che, in nome dei principi di questi mesi di governo Draghi, dica sì all’Europa e no a i sovranisti. Noi siamo quelli che hanno voluto Draghi e lo hanno sostenuto fino alla fine. Questa sarà l’anima di un progetto più grande di Italia Viva, con altri, nel nome dei principi di Draghi, ci saranno molte sorprese». Non è ancora chiaro, però, quale sarà il suo rapporto con il PD o con il partito di Calenda.
Al centro c’è poi una serie di partiti o di federazioni che negli ultimi anni hanno avuto storie e vicende piuttosto complicate e difficili da seguire. Una delle più intricate è quella di Italia al Centro, l’attuale nome del partito di Giovanni Toti, presidente della Liguria ed ex coordinatore di Forza Italia. Nel 2019 Toti aveva lasciato Forza Italia per fondare Cambiamo! insieme a una piccola componente più centrista di Forza Italia. Cambiamo! era poi confluito in Coraggio Italia, che aveva raccolto un gruppo più nutrito di fuoriusciti da Forza Italia e che Toti aveva fondato nel 2021 insieme al sindaco di Venezia Luigi Brugnaro.
Dopodiché pochi giorni fa, dopo una scissione da Coraggio Italia, Toti aveva presentato Italia al Centro. Questo mentre il gruppo di Coraggio Italia di Brugnaro perdeva il numero minimo di membri per poter essere un gruppo parlamentare e il loro ex capogruppo alla Camera, Marco Marin, fondava Vinciamo Italia.
Da un punto di vista politico la collocazione di Toti è vicina al centrodestra, e in regione governa con Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia, partiti che nelle ultime ore ha però criticato con forza per non aver votato la fiducia a Draghi. In una recente intervista a La Stampa Toti ha detto di provare «imbarazzo» per la decisione degli «alleati che hanno deciso di sfiduciare il premier italiano più apprezzato al mondo».
Riguardo il futuro di Italia al Centro, ha detto: «vediamo cosa fanno tutti gli altri, come si muovono. Da soli contiamo relativamente. Di certo per noi la stella polare è l’agenda Draghi. Partiamo dal programma, dai progetti, e dialoghiamo. Di certo non andremo a promettere scostamenti di bilancio con questo debito pubblico o passi indietro sulla collocazione europea e atlantista del paese». Toti non ha poi escluso di aprire un dialogo con il nuovo gruppo di Luigi Di Maio (arriviamo anche a lui).
Tra i gruppi centristi presenti in parlamento ci sono poi una componente ecologista (Facciamo Eco), Centro Democratico (fondato nel 2012 da Bruno Tabacci, ex democristiano, candidato alle primarie del centrosinistra del 2013 ed ex assessore al Bilancio del comune di Milano), Noi con l’Italia (partito nato nel 2017 e guidato da Maurizio Lupi), Alternativa popolare (nome che aveva scelto nel 2017 il Nuovo Centrodestra, il partito politico fondato dall’ex ministro degli Esteri Angelino Alfano) e Identità e Azione (IDeA, fondato nel 2015 da alcuni ex componenti del Nuovo Centrodestra, guidati da Gaetano Quagliariello). Di questi, gli ultimi tre sono dichiaratamente vicini al centrodestra.
C’è infine il gruppo politico Insieme per il futuro del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, nato quando 50 deputati e 11 senatori avevano lasciato con lui il Movimento 5 Stelle e che, per ora, ha dichiarato di voler creare «un’area di unità nazionale» che si contrapponga a chi ha fatto cadere il governo Draghi: «Si contrappone sicuramente a Conte e Salvini, ma si contrappone pure a una destra che in questo momento ha scommesso per far cadere questo governo». Quanto alle alleanze, Di Maio ha detto che «nei prossimi giorni gli italiani avranno tutti i dettagli»: i suoi rapporti sono notoriamente buoni con il PD, ma assai più difficili con Renzi e Calenda.
Incastrare questa serie di affinità e veti reciproci potrebbe essere un discreto grattacapo per il centrosinistra nelle prossime settimane, se decidesse di provare a formare davvero questo “fronte repubblicano” e che qualcun altro chiama coalizione “di unità nazionale”: e che, a detta dei coinvolti, si dovrebbe ispirare all’agenda Draghi, e cioè in qualche modo all’azione di governo dell’ultimo esecutivo.