La faticosa riapertura dell’Isola di Pasqua
Dopo quasi due anni e mezzo di chiusure dovute alla pandemia l'economia è crollata, e molte cose sono cambiate
Dopo quasi due anni e mezzo di chiusure dovute alla pandemia, il 4 agosto riaprirà ai turisti l’Isola di Pasqua, assieme al patrimonio storico e culturale che ne fa da anni una meta turistica molto visitata e che ne sostiene quasi interamente l’economia. L’Isola di Pasqua (il nome nella lingua nativa è Rapa Nui) è un piccolo territorio remoto nel mezzo dell’oceano Pacifico meridionale ed è famosa nel mondo soprattutto per i suoi “moai”: le grandi statue monolitiche assai riconoscibili per le loro caratteristiche facce e sulle cui tecniche di costruzione si sa ancora oggi molto poco.
Appartiene al Cile, la cui costa è però distante 3.600 chilometri. Anche per questo le riaperture hanno tardato così tanto rispetto alla gran parte del resto del mondo: il sistema sanitario locale è molto debole, sull’isola c’è un solo ospedale, poco attrezzato e con pochi posti. Quando un paziente è in pericolo di vita ci vogliono almeno 15 ore per portarlo nell’ospedale cileno più vicino, così durante la pandemia l’amministrazione è stata costretta a minimizzare i rischi il più possibile.
Durante la pandemia però le chiusure hanno portato al crollo dell’economia: la disoccupazione nell’isola è al 58 per cento, ha raccontato il País, che ha intervistato il sindaco e altre autorità locali, raccogliendo diverse testimonianze sulla frustrazione delle persone del luogo. Rapa Nui è un posto in cui il turismo dà lavoro al 71 per cento della popolazione, e in assenza di quella fonte di sostentamento duemila dei suoi 7.700 abitanti hanno deciso di andarsene. Prima della pandemia arrivavano 156mila turisti all’anno, con entrate economiche per circa 120 milioni di euro.
Non si potrà tornare da subito a quei livelli, e le riaperture dovranno essere graduali proprio perché molti abitanti dell’isola se ne sono andati, creando una grave carenza di personale. Il responsabile del dipartimento del Turismo, Uko Tongariki Tuk, ha spiegato al País che l’isola punta a reinvestire in nuove assunzioni i ricavi generati dalle prime riaperture: se invece dovessero assumere adesso abbastanza personale da riaprire tutti i siti turistici, andrebbe in bancarotta.
Dal 4 agosto riapriranno quindi 11 siti turistici su 24, tra spiagge e luoghi d’interesse archeologico, e arriveranno due voli a settimana con a bordo 600 persone in tutto, un terzo di quelle che arrivavano prima della pandemia. Gli alberghi riapriranno al 45 per cento della capacità complessiva, garantendo circa 2.500 posti letto.
Il sindaco Pedro Edmunds (in carica dal 1994 e al suo quinto mandato consecutivo) si è molto lamentato nei confronti del governo cileno (guidato da pochi mesi dal presidente Gabriel Boric), sostenendo che abbia grosse responsabilità nelle difficoltà economiche dell’isola. A marzo Edmunds aveva chiesto al governo circa 2,4 milioni di euro al mese per potenziare il reparto di terapia intensiva dell’ospedale, e altri 4 per sistemare e ripulire il parco nazionale Rapa Nui, che si estende per oltre 70 chilometri quadrati e ospita i moai dell’isola.
Solo la scorsa settimana il ministero dell’Economia ha stanziato un fondo di quasi 700mila euro destinato alle piccole e medie imprese, ma secondo Edmunds non sono sufficienti. Molte imprese dell’isola sono già fallite o piene di debiti, e lui stesso dice di non avere abbastanza fondi per il parco nazionale. In questi mesi, per contrastare la disoccupazione l’amministrazione dell’isola ha istituito un programma per l’impiego, che ha dato lavori di mezza giornata e un po’ di fortuna a 800 persone che prima facevano le guide turistiche, i cuochi o gli autisti di autobus. Edmunds ha detto di essere molto preoccupato per la riapertura.
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