Con che legge elettorale andremo a votare
Ancora con il “Rosatellum”, adattato al minor numero di parlamentari: prevede una parte proporzionale e una maggioritaria
Alle elezioni politiche del 25 settembre si andrà a votare con la legge elettorale chiamata “Rosatellum”, già in vigore durante le ultime elezioni politiche del 2018. Prende il nome del suo relatore Ettore Rosato, che quando fu approvata la legge nel 2017 era deputato del Partito Democratico e oggi è passato a Italia Viva. Il Rosatellum prevede un sistema misto, in cui circa un terzo dei seggi di Camera e Senato vengono eletti con un sistema maggioritario, in scontri diretti nei collegi uninominali, e i restanti due terzi con un sistema proporzionale. È un sistema che favorisce la formazione di coalizioni e penalizza i partiti che si presentano da soli.
La novità più grossa rispetto alle ultime elezioni riguarderà il numero dei parlamentari, che nel frattempo è stato ridotto con un referendum: i deputati passeranno da 630 a 400, i senatori da 315 a 200. Secondo diversi esperti e costituzionalisti però non sarà necessario aggiustare la legge elettorale: le percentuali di assegnazione dei seggi con il maggioritario e con il proporzionale saranno semplicemente applicate ai nuovi numeri delle camere.
Dopo le elezioni del 2018 il Rosatellum ricevette molte critiche per aver portato a una situazione di difficile governabilità del paese. Si arrivò alla formazione di una maggioranza (quella tra Lega e Movimento 5 Stelle) solo dopo molto tempo, e fu comunque piuttosto instabile: il primo governo Conte cadde dopo un anno e tre mesi, e il secondo, con Movimento 5 Stelle e Partito Democratico, non durò molto di più, un anno e 5 mesi.
Quel risultato era dovuto alla situazione politica italiana di quel periodo, in cui esistevano tre grandi forze politiche – il centrosinistra, il centrodestra e il M5S – che però non avevano sufficienti voti per governare da sole. Dopo quasi cinque anni le cose sono molto cambiate, e un’elezione con il Rosatellum potrebbe dare esiti molto diversi.
Il Rosatellum in numeri
Alla Camera ci saranno 147 collegi uninominali (il 37 per cento), in cui ogni partito o coalizione presenterà un solo candidato. In ogni collegio sarà eletto il candidato che prenderà almeno un voto in più degli altri. Altri 245 seggi (il 61 per cento) saranno assegnati secondo un metodo proporzionale, sulla base di liste compilate dai partiti o dalle coalizioni. Le liste sono “bloccate”: significa che l’elettore dovrà sceglierne una senza poter esprimere la preferenza per uno specifico candidato. I restanti 8 seggi saranno assegnati nelle circoscrizioni estere.
L’assegnazione dei 200 seggi del Senato si baserà sullo stesso principio: 74 seggi saranno assegnati in collegi uninominali, 122 con metodo proporzionale e 4 nelle circoscrizioni estere. La differenza è che alla Camera i seggi assegnati con il proporzionale saranno calcolati sulla base dei voti a livello nazionale, mentre al Senato a livello regionale.
In pratica, sulla scheda per la Camera e su quella per il Senato ci saranno tanti riquadri quante sono le forze (coalizioni o partiti da soli) che si presentano in quel collegio, ciascuna con il proprio candidato per l’uninominale. Con la croce sul nome di un candidato si esprime la preferenza per il collegio uninominale, con la croce su un partito tra quelli che lo sostengono – se sono più di uno – si esprime quella per la parte proporzionale. Non è possibile il voto disgiunto: non si può cioè votare per l’uninominale un candidato, e per il proporzionale un partito che non lo sostiene.
Per eleggere i deputati i partiti dovranno ottenere almeno il 3 per cento dei voti su base nazionale, mentre se si presentano in coalizione quest’ultima dovrà ottenere almeno il 10 per cento. Saranno ammesse alla ripartizione dei seggi al Senato anche le liste che otterranno almeno il 20 per cento dei voti su base regionale: una regola che garantisce rappresentanza, per esempio, al partito autonomista Südtiroler Volkspartei.
Chi ci guadagna, chi ci perde
Il sistema del Rosatellum favorisce i partiti che si presentano in coalizione, perché più attrezzati per vincere nei collegi uninominali. In queste condizioni chi ne beneficerà di più sarà probabilmente la coalizione della destra (con Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia): sarà così soprattutto se, come sembra plausibile, il Partito Democratico rinuncerà al cosiddetto “campo largo”, l’alleanza con il Movimento 5 Stelle.
– Leggi anche: Che ne sarà del “campo largo”
Con altri tipi di sistemi elettorali maggioritari è possibile adottare la strategia della “desistenza”: un partito cioè può decidere di non presentarsi in un collegio in modo da favorire il candidato di un altro partito più o meno affine, a discapito di un terzo. Ma col Rosatellum in realtà non si può fare, perché non è previsto il voto disgiunto: non sarà cioè possibile votare un candidato del M5S all’uninominale e il PD al proporzionale, se non saranno coalizzati.
Secondo alcune previsioni, però, il PD potrebbe decidere di allearsi con alcuni partiti di centro, al momento un’area piuttosto affollata ed eterogenea: per esempio la nuova forza di Luigi Di Maio, Insieme per il futuro, Italia Viva di Matteo Renzi e Azione di Carlo Calenda, in un’alleanza tra chi ha sostenuto il governo Draghi fino all’ultimo. Sono partiti che secondo i sondaggi hanno un consenso piuttosto basso, che a volte non raggiunge il 3 per cento, e che per questo saranno probabilmente costretti a fare alleanze.
Tra questi partiti ci sono diversi candidati che hanno singolarmente un consenso concentrato in alcune zone d’Italia, e che per il PD potrebbe essere conveniente presentare al posto di un proprio candidato: il partito di Di Maio per esempio dovrebbe avere buoni consensi in Campania, la sua regione d’origine, quello di Renzi nella zona di Firenze.
I partiti che non riusciranno ad allearsi invece saranno molto penalizzati: il M5S rischia di perdere moltissima influenza in parlamento, se si presenterà da solo, soprattutto considerando che cinque anni fa elesse quasi 350 parlamentari. A settembre rischia di eleggerne soltanto poche decine, sia perché attualmente secondo i sondaggi ha circa un terzo dei voti di allora, sia perché nella prossima legislatura ci saranno meno posti. Il M5S può però contare su un consenso molto radicato in alcune zone del Sud Italia, cosa che potrebbe permettergli di vincere in diversi collegi uninominali, migliorando il risultato complessivo in termini di seggi.