Che ne sarà del “campo largo”

Ora che il M5S ha contribuito a far cadere il governo Draghi, il PD sembra deciso a lasciare perdere l'alleanza su cui aveva investito negli ultimi anni

Il presidente del M5S Giuseppe Conte e il segretario del PD Enrico Letta. (ANSA/ETTORE FERRARI)
Il presidente del M5S Giuseppe Conte e il segretario del PD Enrico Letta. (ANSA/ETTORE FERRARI)
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La più importante conseguenza della crisi di governo per quanto riguarda i rimescolamenti politici e i posizionamenti dei partiti riguarda il cosiddetto “campo largo”, l’espressione con cui in questi mesi è stata definita l’alleanza tra il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle. Quell’alleanza, a quanto pare, è finita: giovedì sera il segretario del PD Enrico Letta ha detto che sarà «molto complicato» che PD e M5S possano presentarsi insieme alle elezioni di settembre, spiegando che la scelta di far cadere il governo Draghi è stata «veramente sbagliata» e che sarà «dirimente» per il futuro dei due partiti. Adesso «cambia tutto», ha detto Letta.

Proprio Letta, che è segretario del PD dal marzo del 2021, era stato uno dei principali artefici e sostenitori dell’alleanza con il M5S, che era stata voluta e avviata dal suo predecessore Nicola Zingaretti.

Il cosiddetto “campo largo” aveva avuto origine nel governo che PD e M5S formarono insieme nell’estate del 2019, un’alleanza che da allora si era faticosamente e lentamente strutturata in una vera coalizione, nonostante moltissime difficoltà e scetticismi interni. Il PD soprattutto ci aveva investito molto tempo, risorse e capitale politico, ritenendola l’unica possibilità per sperare di giocarsela con la coalizione della destra, da tempo avanti nei sondaggi.

Ma secondo Letta d’ora in avanti avrà senso confrontarsi soltanto «con le altre forze politiche che in queste settimane hanno tenuto un atteggiamento di attenzione al paese», riferendosi a quelle che hanno votato la fiducia a Draghi.

Anche il ministro Dario Franceschini, tra i più influenti dirigenti del PD e considerato uno dei punti di contatto principali con il M5S, ha detto qualcosa di simile in un’intervista al Corriere della Sera. «Purtroppo questo percorso è stato interrotto drasticamente da Conte, e me ne dispiace» ha detto riferendosi al “campo largo”: «la rottura sulla fiducia al governo rende impossibile l’alleanza».

L’alleanza con il M5S era stata una strategia difficile da fare accettare ad alcune componenti del partito, e anche prima della crisi di governo c’erano stati momenti in cui era stata messa in crisi: dall’opposizione del M5S agli aiuti militari all’Ucraina a quella sull’inceneritore che vuole fare a Roma il sindaco Roberto Gualtieri, fino ai pessimi risultati del M5S alle amministrative di giugno, che avevano fatto rivalutare a molti all’interno del PD la lungimiranza del “campo largo”.

L’alleanza con il M5S peraltro ne compromette altre che il PD potrebbe a questo punto considerare più convenienti: per esempio quella con Azione, il partito di Carlo Calenda, fortemente ostile nei confronti di Conte, con il quale rifiuta di dialogare. Ma anche quella con il gruppo formato dopo l’uscita dal M5S del ministro Luigi Di Maio, che difficilmente tornerebbe insieme ai suoi ex compagni di partito. Non è invece ancora chiaro quale sarà il rapporto con Italia Viva di Matteo Renzi. In ogni caso, alle prossime elezioni Letta si immagina un’alleanza «di tanti soggetti politici».

Quella della fine della coalizione con il M5S non è ancora una decisione definitiva, in ogni caso: Letta ha anticipato che la prossima settimana ci saranno «discussioni nei nostri organismi, con segretari regionali e provinciali». Non si sa nemmeno bene a questo punto cosa ne pensi Conte, che non si è espresso ufficialmente sulla questione.

Alle elezioni del 25 settembre si voterà però con un sistema elettorale misto, in parte proporzionale e in parte con i collegi uninominali, nei quali le alleanze sono fortemente incentivate. Senza, sia il PD sia il M5S rischiano di ottenere pessimi risultati, assicurando moltissimi seggi alla destra.

Il M5S comunque è il partito che rischia di uscire più ridimensionato dalle prossime elezioni, se si presenterà da solo: secondo i calcoli di Repubblica ottenendo il 10 per cento, che è quanto ha nei sondaggi attualmente, eleggerebbe una quarantina di parlamentari tra Camera e Senato. Nella scorsa legislatura ne aveva eletti quasi 350. Il motivo, oltre al calo nei consensi, è ovviamente anche il fatto che il prossimo parlamento avrà un terzo dei seggi in meno, per via del referendum costituzionale del 2020 promosso proprio dal M5S: verranno eletti 400 deputati e 200 senatori.

La questione dell’alleanza tra PD e M5S dovrà essere risolta in fretta, perché con le elezioni tra due mesi e agosto di mezzo i tempi per preparare le liste e la campagna elettorale sono molto ridotti.

Ma c’è una scadenza ancora più ravvicinata: per sabato infatti in Sicilia sono previste le primarie del centrosinistra per le elezioni regionali di quest’autunno, a cui partecipano Caterina Chinnici per il PD, Claudio Fava per la sinistra e Barbara Floridia per il M5S. In teoria, la vincitrice o il vincitore dovrà guidare una coalizione che corrisponde al “campo largo”, ma questo potrebbe diventare un problema se a livello nazionale quell’alleanza sarà dichiarata finita.