Forza Italia alla fine ha scelto la destra
Nell'ultimo anno e mezzo si era costruita un'immagine moderata vicina al governo Draghi, ma ieri ha deciso di seguire gli alleati di Lega e Fratelli d'Italia
Quando all’inizio del 2021, dopo la fine del governo Conte, Mario Draghi formò un nuovo governo Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia – i partiti della coalizione del centrodestra – si divisero e l’unico partito a non entrare nella maggioranza fu quello di Giorgia Meloni. Al tempo, la principale sorpresa fu la Lega: contraddicendo improvvisamente pezzi fondamentali della piattaforma politica costruita negli anni precedenti, Matteo Salvini decise infatti di entrare a far parte del governo di unità nazionale guidato da Draghi.
In queste ultime ore, a non essere sembrate scontate sono state invece le scelte fatte da Forza Italia: seguendo organicamente la Lega, il suo leader Silvio Berlusconi ha deciso di uscire dalla maggioranza e dal governo, assumendo un atteggiamento più battagliero e simile a quello di Salvini e Meloni dopo un anno e mezzo in cui diversi importanti dirigenti erano sembrati voler costruire, anche con una certa pazienza e sacrificio, un’immagine ben più moderata e “di governo”, più vicina al centro che alla destra radicale.
E tra mercoledì e giovedì due dei più importanti dirigenti che avevano lavorato in quel senso, i ministri Mariastella Gelmini e Renato Brunetta, hanno lasciato il partito, di cui facevano parte fin dalla fondazione nel 1994. Anche Mara Carfagna, ministra per il Sud e la Coesione territoriale, ha detto che la gestione della crisi da parte di Forza Italia le impone di «prendere le distanze e di avviare una riflessione politica»: per il momento però non ha lasciato il partito.
Erano loro tre i principali rappresentanti della componente governista, su cui ha prevalso però quella definita “coalizionista”, e cioè più vicina agli alleati della Lega e di Fratelli d’Italia, guidata tra le altre dalla senatrice Licia Ronzulli.
In questi ultimi giorni, Carfagna aveva mantenuto posizioni lontane dalla Lega, dichiarando, prima del voto di ieri al Senato, che qualcuno avrebbe dovuto «spiegare ai cittadini come un premier autorevole dopo 17 mesi viene visto come qualcuno da accompagnare alla porta». Anche Brunetta aveva, almeno fino a qualche giorno fa, dato per scontato che Forza Italia avrebbe continuato a sostenere Draghi. E Gelmini, ministra per gli Affari regionali e le Autonomie, aveva fatto degli appelli pubblici al suo partito perché votasse la fiducia a Draghi.
Questa situazione aveva portato diversi commentatori a ipotizzare che alla fine Forza Italia avrebbe potuto spaccarsi in due, o che addirittura avrebbe potuto avere un ruolo determinante nella sopravvivenza del governo, isolando la Lega in un possibile tentativo di provocare le elezioni anticipate. Le cose sono andate diversamente. Berlusconi e il coordinatore Antonio Tajani, dicono oggi le cronache politiche, hanno escluso dalla gestione della crisi politica l’ala governista, assecondando le volontà di Salvini e Meloni per preservare la coalizione.
Alla fine della giornata, i retroscena hanno raccontato anche di una plateale lite al Senato tra Gelmini e Ronzulli. Proprio Gelmini ha dato alcune interviste spiegando che la sua decisione è stata causata della subalternità dimostrata da Forza Italia alla linea di Salvini. Ha detto che la gestione della crisi politica «è stata la rappresentazione dell’appiattimento acritico di Forza Italia sulla Lega», che «è stato il colpo definitivo di una storia ultraventennale di battaglie liberali, riformiste ed europeiste». Ha parlato di «opprimente osmosi con la Lega», che prosegue da tempo e di una svolta «populista e sovranista».
L’attuale crisi politica ha fatto emergere tensioni e dissensi interni che esistevano già, ma che erano rimasti perlopiù sotterranei in un partito che da un po’ di tempo era sembrato aver avviato un lento processo di avvicendamento ai vertici, reso più urgente da alcuni problemi di salute avuti negli ultimi anni da Berlusconi, che ormai ha 85 anni.
Berlusconi però recentemente sembra stare meglio, ed è tornato a essere presente nelle attività di partito. La storica e marmorea adesione dei dirigenti alla linea del fondatore del partito – Forza Italia è stato descritto spesso come un “partito-azienda” – ha cominciato quindi a venire meno, forse proprio per via di questo mancato rinnovamento ai vertici. Il caso più visibile era stato quando Berlusconi aveva condannato l’invasione russa in Ucraina evitando di attribuirne in modo esplicito la responsabilità a Putin, ricevendo le critiche di alcuni esponenti di Forza Italia. Era stato difeso, invece, proprio da Salvini.
A metà giugno, anche in relazione a quell’episodio, il deputato Elio Vito aveva lasciato Forza Italia criticandone la linea degli ultimi tempi, giudicata troppo conservatrice: «Forza Italia ha perso la sua natura di movimento leaderistico, liberale e democratico. La sua classe dirigente si è chiusa in una gestione accentrata ed esclusiva del potere e le voci critiche sono state messe al bando, silenziate ed escluse dagli strumenti di comunicazione», aveva scritto.
Oltre ai casi singoli, ha scritto il Sole 24 Ore, Forza Italia ha poi visto la nascita «di costole di centro-destra che hanno dato ospitalità a ex esponenti delusi dalla virata sovranista del partito. L’esempio principale è Coraggio Italia, una sigla centrista oggi capitanata dal sindaco di Venezia Luigi Brugnaro e il presidente della regione Liguria Giovanni Toti».
Resta da vedere che cosa succederà ora: in una eventuale coalizione di centrodestra, Forza Italia risulta essere il partito con meno consensi, e la sua unità interna sembra essere a rischio. Per ora, tra i principali dirigenti che erano considerati più moderati e scettici sull’alleanza con la Lega, è rimasta in Forza Italia solo Carfagna (e non è detto che resti). La prospettiva di una possibile vittoria alle elezioni che potrebbero tenersi in autunno avrà probabilmente un grosso ruolo nelle scelte che indirizzeranno i leader del partito nelle prossime settimane.