L’acqua calda congela prima di quella fredda?
È un fenomeno osservato da tempo e un rompicapo per i fisici, nacque tutto da un gelato in Tanzania
Un neanche troppo piccolo mistero della fisica, ancora oggi molto dibattuto, deriva da un ragazzino in Tanzania, che aveva fretta di preparare un gelato. Mise il composto ancora caldo nel congelatore, scoprendo qualche ora dopo che si era congelato più rapidamente di altri preparati messi a congelare a una temperatura di partenza inferiore. L’accidentale esperimento fece riemergere studi e osservazioni risalenti fino ad Aristotele sulla presunta e controintuitiva capacità dell’acqua calda di congelarsi più rapidamente di quella fredda. Ancora oggi, questa proprietà non è completamente compresa dai fisici e il suo studio potrebbe offrire nuovi spunti di ricerca sui sistemi non in equilibrio, tra i più complessi da indagare.
Il fenomeno è noto come “effetto Mpemba”, dal nome di Erasto Mpemba, il ragazzino della Tanzania che alla fine degli anni Sessanta riportò in auge il problema. Insieme ai propri compagni di classe, Mpemba era impegnato nel preparare alcune porzioni di gelato. Il congelatore della scuola non era molto capiente e di conseguenza gli studenti avevano fretta di mettere a congelare il prima possibile i loro preparati, in modo da trovare ancora spazio per i recipienti.
Non volendo perdere tempo, Mpemba decise di non attendere che il suo preparato contenente latte e zucchero si fosse raffreddato dopo averlo portato a ebollizione, inserendolo direttamente nel congelatore. Circa un’ora e mezza dopo, il composto era pressoché congelato, mentre quelli dei suoi compagni di classe che per risparmiare tempo non li avevano fatti bollire non si erano ancora solidificati. Mpemba chiese allora all’insegnante di fisica una spiegazione per ciò che era successo, ma gli fu risposto che probabilmente si era confuso perché una cosa del genere non sarebbe potuta succedere.
Qualche tempo dopo, Mpemba entrò in contatto con il fisico britannico Denis Osborne, al quale fece una domanda piuttosto specifica: «Se riempi due recipienti con la medesima quantità di acqua, una a 35 °C e l’altra a 100 °C, e li metti in un congelatore, l’acqua a 100 °C congela prima. Perché?». Osborne non seppe dare immediatamente una risposta, ma incuriosito dalla domanda coinvolse alcuni collaboratori effettuando esperimenti che portarono a osservare il fenomeno. Non era però certo degli esiti, perché i test erano stati effettuati un po’ alla buona, arrivando alla conclusione che fossero necessari esperimenti più accurati per comprendere se il fenomeno esistesse veramente e che cosa lo determinasse.
La vicenda consentì inoltre di riscoprire, o per lo meno di riportare di attualità, osservazioni simili compiute in passato sulle proprietà dell’acqua. Già Aristotele, più di due millenni fa, aveva notato che alcuni pescatori utilizzavano acqua tiepida per far formare velocemente del ghiaccio sulle canne che utilizzavano per la pesca nei laghi ghiacciati.
Nel sedicesimo secolo, Francis Bacon scrisse nel proprio trattato Novum Organum che «l’acqua leggermente tiepida congela prima di quella fredda» e in seguito Cartesio arrivò a conclusioni simili. L’affermarsi del metodo scientifico avrebbe portato nei secoli seguenti a grandi progressi su temi molto più ampi e dalle grandi implicazioni, facendo quasi dimenticare la storia dell’acqua calda che congela più velocemente, e ci sarebbe voluto un gelato in Tanzania per tornare a parlarne.
Denis Osborne fu tra i primi a condurre esperimenti in modo sistematico, ma senza riuscire a replicare in modo convincente i risultati. Non è semplice impostare esperimenti per analizzare con precisione i meccanismi del congelamento: le variabili sono molte e specialmente con i fluidi le variazioni sono continue fino al completato congelamento della sostanza oggetto dei test.
Le teorie per provare a spiegare il fenomeno comunque non mancano, anche se non sono sempre condivise. Una dice che l’acqua calda congela più velocemente perché una parte evapora, riducendo quindi la quantità complessiva del liquido nel recipiente inserito nel congelatore. Un’altra teoria è che, essendo molto caldo, il contenitore sciolga lo strato di brina che solitamente si trova sui ripiani dei congelatori, mettendo il recipiente a pieno contatto col metallo freddo, rendendo più rapido il passaggio del calore.
Un’altra teoria ancora sostiene che nell’acqua calda siano presenti moti di convezione (la parte calda tende a salire, mentre quella fredda a scendere, creando continui movimenti nel recipiente) che rendono più efficiente lo scambio di calore con l’esterno. Questi movimenti sarebbero inoltre responsabili di un congelamento più uniforme, evitando l’effetto che si osserva d’inverno sui laghi ghiacciati, dove la superficie congela molto più velocemente della massa d’acqua sottostante isolandola dall’ambiente esterno.
Il problema di definire con certezza che cosa determini l’effetto Mpemba deriva in buona parte dalle proprietà particolari dell’acqua: è meno densa quando è allo stato solido rispetto a quando è liquida, e in alcune circostanze lo stato solido e quello liquido coesistono alla medesima temperatura. Alcuni gruppi di ricerca ritengono comunque di avere osservato l’effetto anche con altre sostanze, che hanno qualche proprietà in comune con l’acqua.
Quando un contenitore con dell’acqua al suo interno viene inserito in un congelatore succede un po’ di tutto. L’acqua che si trova lungo le pareti del recipiente, per esempio, si troverà in un ambiente molto più freddo rispetto a quella ancora calda che si trova al centro del recipiente. La temperatura non è più uniforme nel liquido e fluttua di continuo, fino al completo congelamento che riporta a una condizione di equilibrio.
Una ricerca pubblicata nel 2017 su PNAS, una delle più importanti riviste scientifiche, aveva provato a mettere insieme un modello sulla dinamica delle particelle coinvolte nel fenomeno, concludendo che almeno in linea di principio si possono creare le condizioni per rendere possibile l’effetto Mpemba e anche il suo inverso. Lo studio, che ipotizzava condizioni in cui i passaggi di stato possano essere più repentini di quanto si immagina, aveva portato altri gruppi di ricerca a occuparsi del problema con la scoperta di diversi materiali che sembrano essere soggetti al medesimo effetto.
Non tutti sono però convinti che queste ricerche abbiano dimostrato che il fenomeno esista per come è stato descritto, e che possa interessare sostanze diverse tra loro. I critici dicono che le spiegazioni sono spesso arzigogolate e poco convincenti dal punto di vista fisico, per lo meno tenendo in considerazione ciò che in questi secoli abbiamo imparato sul comportamento della materia.
Nel 2016 un gruppo di ricerca nel Regno Unito aveva condotto un esperimento dimostrando quanto fosse difficile effettuare misurazioni legate all’effetto Mpemba. Fu misurato quanto tempo impiegasse l’acqua a raggiungere 0 °C e si scoprì che i valori della temperatura dipendevano da dove veniva collocato il termometro. Se si mettevano a confronto le temperature rilevate in un recipiente con acqua calda e in uno con acqua fredda con un termometro alla stessa altezza, non diventava evidente l’effetto Mpemba circa il raffreddamento più rapido del recipiente più caldo. Era però sufficiente spostare di qualche millimetro il termometro in quest’ultimo contenitore per avere letture diverse del termometro, producendo prove fallaci sull’effetto. Il gruppo di ricerca aveva quindi concluso che anche un minimo margine di errore può rendere inaffidabili i risultati dei test sul fenomeno, nella fase precedente al congelamento vero e proprio.
L’effetto Mpemba è un caso particolarmente interessante per i fisici, perché consente di esplorare le caratteristiche dei sistemi non in equilibrio, sui quali come abbiamo visto non ci sono ancora teorie molto solide.