La discussa inchiesta sui sindacalisti della logistica a Piacenza
La procura parla di associazione a delinquere nascosta dietro alle lotte per i lavoratori, un'accusa molto grave: ci sono stati sei arresti
A Piacenza la Digos e la squadra mobile della Polizia hanno arrestato sei dirigenti sindacali di SI Cobas e Usb, due organizzazioni sindacali di base molto presenti nel settore della logistica. Gli arresti sono stati chiesti dalla procura al termine di una lunga inchiesta iniziata nel 2016, con diversi reati contestati: due associazioni a delinquere, una per ogni sindacato coinvolto, violenza privata, resistenza e violenza a pubblico ufficiale, sabotaggio e interruzione di pubblico servizio. Secondo la procura, la lotta sindacale portata avanti da SI Cobas e Usb sarebbe stata organizzata non per rivendicare e ottenere più diritti per i lavoratori, ma per garantire vantaggi economici personali agli arrestati.
È un’inchiesta che sta facendo discutere parecchio perché coinvolge un settore, la logistica, in cui il precariato è strutturale, la sicurezza sul lavoro è scarsa e i diritti sono pochissimi. Le accuse della procura sono molto gravi, soprattutto l’associazione a delinquere, difficile da provare secondo gli avvocati dei sindacati e delle persone arrestate, che hanno definito l’inchiesta un attacco alla libera attività sindacale.
Tra gli arrestati ci sono il coordinatore nazionale del SI Cobas, Aldo Milani, e tre dirigenti piacentini, Mohamed Arafat, Carlo Pallavicini e Bruno Scagnelli, oltre a due dirigenti dell’Usb, Abed Issa Mohamed e Roberto Montanari. Sono tutti agli arresti domiciliari. Altri due sindacalisti indagati hanno ricevuto l’obbligo di firma e il divieto di dimora a Piacenza.
Nelle 350 pagine dell’ordinanza che ha portato agli arresti sono state riassunte le proteste e i picchetti organizzati negli ultimi anni in diversi magazzini in provincia di Piacenza: GLS, Traconf, Nippon Express, Leroy Merlin, Xpo Logistics e Amazon. Le manifestazioni non autorizzate, secondo la procura, sarebbero servite a inasprire il conflitto con le aziende e la competizione tra le due sigle sindacali, entrambe impegnate a imporsi come organizzazione più rappresentativa e ottenere vantaggi che poco avrebbero avuto a che fare con i diritti dei lavoratori.
«Ogni reato commesso, ogni blocco di persone e merci, ogni interruzione di pubblico servizio o boicottaggio, ogni conflitto fisico con le forze di polizia è stato pianificato, cercato e voluto dagli indagati che hanno agito sempre nella convinzione di poter lucrare posizioni di privilegio, quasi una sorta di immunità dietro l’esercizio del diritto di sciopero», si legge nell’ordinanza.
Il lucro a cui si riferisce la procura deriverebbe dall’aumento delle iscrizioni e dalla gestione degli accordi con le aziende, che sarebbero state definite da alcuni sindacalisti intercettati come «galline dalle uova d’oro». La procura sostiene che le rivendicazioni sindacali siano state un pretesto per nascondere attacchi rivolti alla sigla sindacale avversa con l’obiettivo di conquistare nuovi iscritti: «In tutti i casi si è visto come nessuna delle due sigle abbia mai lottato al solo scopo di ottenere un miglioramento delle condizioni di tutti i lavoratori, ma piuttosto abbia agito come gruppo di pressione – vera e propria lobby – interessata a garantire migliori condizioni per i propri accoliti, soprattutto nella gestione dei cambi appalto».
Uno degli episodi contestati riguarda l’accordo ottenuto dal SI Cobas con il consorzio Ucsa: la procura sostiene che siano stati concessi tra 25 e 30mila euro di buonuscita a testa a una cinquantina di lavoratori, mentre a Mohamed Arafat, uno degli arrestati, l’azienda avrebbe dato 100mila euro. Ad Arafat sono stati contestati anche bonifici del sindacato accreditati sui conti personali per l’acquisto di case in Egitto.
In una delle intercettazioni citate nell’ordinanza si parla inoltre di un contributo di solidarietà di 150 euro, chiamato “cassa di resistenza”, chiesto ai lavoratori per sostenere le spese per la difesa di Aldo Milani in un procedimento giudiziario per estorsione in cui era stato coinvolto a Modena e da cui sarebbe stato poi assolto. La procura ha citato anche le spese sostenute dal sindacato SI Cobas per portare i lavoratori alle manifestazioni: 300mila euro per il noleggio degli autobus, in un solo anno.
La tesi della procura per giustificare la contestazione del reato di associazione a delinquere è che i sindacalisti abbiano utilizzato le lotte sindacali per creare «artificiosamente» i conflitti con le aziende e in questo modo ottenere vantaggi economici.
I conflitti tra lavoratori e aziende, in realtà, sono molto diffusi ed evidenti nel settore della logistica, negli ultimi anni cresciuto in modo incontrollato spesso a scapito dei diritti dei lavoratori. Molte delle grandi aziende della logistica, infatti, fanno affari grazie a una catena di appalti e subappalti formata da cooperative, mini appaltatori e microaziende che applicano contratti con un costo del lavoro molto più basso rispetto al contratto collettivo nazionale.
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Negli ultimi anni diverse inchieste, anche a Piacenza, hanno dimostrato che le condizioni di lavoro nei magazzini non rispettano i requisiti minimi fissati dalle leggi.
Spesso gli stipendi vengono pagati in parte con indennità di trasferta, esente da tasse, senza che il lavoratore si sia mai spostato dal magazzino. Oppure si ricorre al metodo del falso part time: su dieci o dodici ore al giorno lavorate, in busta paga ne compaiono quattro o cinque. Nella catena degli appalti le responsabilità sociali sono diluite e i lavoratori, per la maggior parte immigrati, sono più deboli, con poche possibilità di rivendicare i propri diritti.
In queste condizioni generali precarie, con regole lasche e pochi diritti, i sindacati di base come SI Cobas e Usb hanno ottenuto un consenso significativo tra i lavoratori della logistica grazie ad azioni di protesta molto dure. I metodi utilizzati, come i picchetti e i blocchi, sono controversi perché spesso al di fuori delle regole, e per questo contestati dai sindacati confederali. Ma, come spiegano alcuni contenuti dell’ordinanza, queste azioni hanno anche una certa efficacia: «Le singole multinazionali o i datori di lavoro di volta in volta interessati, venivano sottoposti ad una condizione di esasperazione che li costringeva ad accettare le richieste economiche che gli venivano fatte».
La procuratrice di Piacenza, Grazia Pradella, ha detto che l’inchiesta non è un’operazione contro i sindacati di base, ma contro i sindacalisti che hanno gestito il sindacato come se fosse cosa loro. Pradella sostiene che l’ordinanza non contenga nulla che possa essere considerato limitativo o lesivo dell’attività sindacale. «Questa ordinanza si focalizza sul comportamento di alcuni dirigenti provinciali e nazionali di entrambe le sigle. I primi danneggiati sono gli stessi lavoratori appartenenti ai SI Cobas e Usb», ha detto in conferenza stampa.
Gli avvocati che difendono i sindacati e i singoli sindacalisti sostengono che l’accusa di associazione a delinquere, il reato su cui si basano le misure cautelari, non abbia fondamento.
Secondo Marina Prosperi, avvocata del SI Cobas, è quanto meno improbabile che ci siano due distinte associazioni criminali con lo stesso programma e le stesse azioni. «L’indagine nasce dalla denuncia di un’azienda e dal pregiudizio che il contenuto della denuncia sia corretto, mentre quello che dicono i sindacati no», dice Prosperi. «In questa inchiesta manca un pezzo, cioè il comportamento delle aziende nei confronti dei lavoratori e quindi l’accertamento della legittimità o meno dell’attività sindacale. Non dimentichiamo che le condizioni di lavoro in questo settore sono drammatiche».
Martedì in molti magazzini della logistica sono stati organizzati scioperi per manifestare solidarietà ai sindacalisti arrestati e le proteste potrebbero continuare anche nei prossimi giorni.
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