Le testimonianze della guerra in Ucraina raccolte su TikTok sono a rischio
Il social network è pieno di materiale potenzialmente utile, ma salvarlo e conservarlo presenta problemi tecnologici e politici
Dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, il social network TikTok è diventato una fonte potenzialmente unica di informazioni e testimonianze sulla guerra. Molti utenti – soprattutto ucraini, ma anche russi – hanno cominciato a condividere filmati di bombardamenti, città distrutte e altre testimonianze dirette di quello che succede in Ucraina: sono materiali che si trovano soltanto su TikTok, e che diversi gruppi di attivisti e organizzazioni internazionali vorrebbero poter usare come prove nei processi sui crimini di guerra commessi dalla Russia.
Nella pratica però non è affatto semplice: come ha spiegato il Financial Times, ci sono molti problemi legati alla disinformazione sulla piattaforma, al modo in cui archivia i suoi dati e alla disponibilità a condividerli da parte di ByteDance, l’azienda cinese che possiede la piattaforma.
Dall’inizio della guerra, diversi attivisti per i diritti umani hanno chiesto a TikTok di rendere più semplice l’archiviazione dei suoi contenuti e la loro verifica, ma il social network non ha introdotto modifiche sostanziali nei suoi meccanismi, nonostante si sia detto più volte disposto a collaborare. Rispetto a piattaforme come YouTube e Facebook, su TikTok non esistono funzionalità interne per l’archiviazione diretta: chi vuole farlo deve arrangiarsi con strumenti esterni.
Le cose sono inoltre complicate dal fatto che il feed di TikTok non si può ordinare cronologicamente e la ricerca di video specifici è piuttosto difficile.
C’è poi un grosso problema di disinformazione, che secondo gli esperti su TikTok sarebbe favorita dal suo algoritmo ancor più che in altri social network: se TikTok nota un interesse nei confronti della guerra in Ucraina, comincia a mettere in evidenza i video sull’argomento, senza badare troppo al contenuto. Così in questi mesi si sono viste campagne di disinformazione coordinate dalla Russia per giustificare l’invasione, ma anche utenti comuni che raccolgono donazioni spacciandosi per cittadini ucraini in difficoltà.
L’attendibilità dei video è in generale difficile da verificare, perché il formato di TikTok prevede tagli, montaggi, sovrapposizioni di audio esterni al video originale.
TikTok ha detto di aver aumentato il suo impegno per limitare immagini violente e disinformazione, ma sta facendo fatica a bilanciare la rimozione tempestiva dei contenuti e la loro conservazione come potenziali prove per i processi sulle violazioni dei diritti umani. Un video particolarmente violento, per esempio, potrebbe contenere informazioni che non esistono da altre parti, eppure venire rimosso all’istante.
Attualmente circa il 90 per cento dei contenuti su TikTok viene rimosso prima che chiunque possa vederlo, attraverso meccanismi di intelligenza artificiale e un team di persone che se ne occupano manualmente. Al momento non è chiaro se TikTok abbia mai fornito il materiale cancellato per eventuali indagini.
Il fatto che l’azienda che possiede TikTok provenga da un regime autoritario come la Cina ha inoltre creato una certa diffidenza sul modo in cui vengono gestiti i dati a sua disposizione: ByteDance è stata più volte accusata di avere legami con il Partito comunista, e in ogni caso deve sottostare a una rigida sorveglianza da parte del regime cinese, come molte altre aziende del paese. È una questione che ha conseguenze anche sulla guerra in Ucraina, perché finora la Cina si è sempre rifiutata di condannare l’invasione russa, e anzi ha sostenuto il governo di Vladimir Putin nelle sue accuse ai paesi occidentali sull’allargamento della NATO. ByteDance ha comunque sempre smentito tutte le accuse.
Non è del tutto chiaro che genere di influenza abbia il governo cinese su TikTok, che però tempo fa aveva ammesso di aver censurato contenuti critici nei confronti della Cina, come alcuni riguardanti la strage di Piazza Tienanmen del 1989 a Pechino. Oggi il social network sostiene di non imporre più blocchi di questo genere.
Karim Khan, procuratore capo della Corte penale internazionale (il tribunale per i crimini internazionali che ha sede all’Aia, nei Paesi Bassi), non ha risposto a una domanda del Financial Times per confermare se la Corte abbia chiesto a TikTok di fornire prove dall’Ucraina, ma ha fatto capire che potrebbe farlo in un processo. Khan ha ribadito che «qualsiasi indagini efficace in qualsiasi posto del mondo oggi richiede un utilizzo molto efficace dei social media».
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