Si sa ancora poco su come riaprirà la scuola
Dopo due anni i problemi sono gli stessi, come la scarsa chiarezza sull'uso delle mascherine e i mancati investimenti per i sistemi di ventilazione
A meno di due mesi dalla riapertura delle scuole c’è ancora molta incertezza sulle linee guida e gli investimenti necessari per evitare la trasmissione dei contagi durante le lezioni in presenza. Le scuole sono finite poche settimane fa, a giugno, senza grosse novità rispetto al settembre del 2021. I problemi denunciati un anno fa da genitori, insegnanti e dirigenti scolastici sono sempre gli stessi: la scarsa chiarezza sull’utilizzo delle mascherine, il sovraffollamento delle classi, la mancanza degli insegnanti, le indicazioni poco chiare sui test e il tracciamento per gli studenti, le capienze sui mezzi di trasporto, i mancati investimenti sugli impianti di ventilazione.
Sono preoccupazioni che esistono da due anni, cioè da quando ricominciò l’anno scolastico dopo le chiusure dovute alla prima ondata dell’epidemia. Nel frattempo sono cambiate molte cose: sono stati autorizzati i vaccini anche per i bambini e in generale sembra che le conseguenze delle nuove varianti del virus siano meno gravi rispetto alle prime versioni. Ma la risalita dei contagi osservata dalla metà di giugno conferma che l’epidemia non è finita e serve ancora attenzione, soprattutto nei luoghi chiusi e affollati come le scuole.
L’incertezza più sentita riguarda l’utilizzo delle mascherine. Pochi giorni prima dell’inizio degli esami di stato, nelle scuole superiori di primo e secondo grado, il ministero ha rimosso l’obbligo di indossare la mascherina in vigore durante tutto l’ultimo anno scolastico. Come era già successo anche per i luoghi di lavoro, il governo ha deciso di mantenere soltanto una raccomandazione, in particolare in caso di possibili assembramenti.
Non sono state ancora date indicazioni per settembre: se non verranno approvate nuove regole, l’obbligo non ci sarà. Il ministro della Salute Roberto Speranza, intervistato durante la trasmissione In Onda, ha detto però che è ancora presto per fare valutazioni su un eventuale rinnovo dell’obbligo. «Ci auguriamo di no, ma è una valutazione che potremo fare solo quando avremo più chiaro il quadro epidemiologico», ha detto. «Esprimerci oggi quando mancano ancora due mesi non sarebbe onesto».
I sindacati della scuola, che da tempo chiedono al ministero indicazioni più chiare e un aumento degli insegnanti e del personale scolastico, sostengono che con la soppressione del comitato tecnico scientifico siano mancate indicazioni generali e raccomandazioni più certe basate su evidenze scientifiche.
«Non sapere se si dovranno indossare le mascherine è un problema: nel caso non siano più obbligatorie vanno studiate altre precauzioni e contromisure», dice Graziamaria Pastorino della segreteria nazionale FLC Cgil (Federazione lavoratori della conoscenza). «Se ci fosse stato un comitato tecnico scientifico avremmo una posizione più chiara e forse anche risposte in tempi ragionevoli».
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Secondo Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale presidi, le misure restrittive come l’obbligo di indossare la mascherina possono essere decise con pochi giorni in anticipo, quindi l’attesa delle nuove linee guida non lo preoccupa molto.
«Sarebbe più opportuno, invece, discutere della campagna vaccinale, perché molti ragazzi e ragazze non hanno ancora aderito», spiega. «Il vaccino è essenziale sia per avere sintomi più blandi che per ridurre la circolazione del virus». Il suo più grande timore riguarda però la crisi di governo a poche settimane dall’inizio della scuola, non soltanto per le decisioni che riguardano la riapertura in sicurezza. «L’assenza di un governo condizionerebbe negativamente la ripartenza e anche l’avanzamento dei bandi del PNRR, il piano nazionale di ripresa e resilienza, che coinvolge anche le scuole».
Lo scorso anno il ministero aveva finanziato l’assunzione di personale aggiuntivo per far fronte al maggiore carico di lavoro dovuto alla gestione dell’epidemia: con più insegnanti si possono organizzare classi con meno studenti. I contratti erano iniziati a settembre e scaduti a dicembre, salvo poi essere rinnovati fino al 30 marzo e successivamente rifinanziati fino alla fine di maggio. I presidi sono stati costretti a gestire i soldi stanziati dal ministero con molte difficoltà a causa delle decisioni prese a pochi giorni dalla scadenza dei contratti. Anche in questo caso l’organizzazione è stata incerta e confusa.
Con la fine dello stato di emergenza, cioè la condizione in cui il governo può finanziare provvedimenti straordinari per far fronte a una situazione eccezionale, non è più possibile assumere personale aggiuntivo.
Sia i sindacati che i presidi, però, hanno sollecitato il ministero ad assumere più insegnanti e personale amministrativo. «Il potenziamento dell’organico è essenziale non soltanto per l’organizzazione delle lezioni e delle classi», dice Giannelli. «In questa fase, infatti, non possiamo sottovalutare la gestione dei bandi del PNRR che sono una grossa opportunità per le scuole. Ho più volte chiesto al ministro di rivedere i parametri di assunzione».
Nonostante se ne discuta da tempo, anche sui nuovi impianti di ventilazione è tutto fermo. L’installazione di macchinari per la ventilazione meccanica controllata garantirebbe un ricambio di aria costante e quindi una minore trasmissione del virus in un ambiente chiuso. Con un decreto legge approvato a febbraio, il governo aveva annunciato che entro il 20 marzo sarebbero arrivate nuove linee guida con le specifiche tecniche per installare gli impianti nelle scuole.
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Le linee guida sono state studiate dal Centro nazionale sostanze chimiche, prodotti cosmetici e protezione del consumatore, dal dipartimento malattie infettive e del dipartimento ambiente e salute dell’Istituto superiore di sanità. Il documento chiarisce però che i sistemi di ventilazione non bastano da soli a garantire sicurezza, perché l’aerazione non sostituisce le misure usate finora, come le mascherine e il distanziamento.
Un altro problema riguarda la responsabilità dei presidi, chiamati a valutare e scegliere i dispositivi migliori: un compito complicato, soprattutto senza avere certezze sull’efficacia dei dispositivi.
Considerate queste premesse e nonostante le aspettative alimentate dal governo negli ultimi due anni, molti presidi aspetteranno indicazioni più chiare. Giannelli è scettico e spiega che i soldi stanziati dal ministero dovranno andare ai comuni e non alle scuole perché gli interventi sulle strutture spettano agli enti locali. Genitori e studenti, comunque, non devono aspettarsi novità per settembre. «Al momento non sono previsti investimenti specifici», dice. «Faccio comunque presente che sarebbe un’operazione estremamente costosa, nell’ordine di molti miliardi di euro».
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