Cosa vogliono i partiti?

Quali sono i posizionamenti delle forze politiche, e chi spera di ottenere cosa da questa crisi

L'aula della Camera dei deputati, Roma, dicembre 2021 (ANSA/FABIO FRUSTACI)
L'aula della Camera dei deputati, Roma, dicembre 2021 (ANSA/FABIO FRUSTACI)
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Nei cinque giorni successivi all’annuncio di dimissioni di Mario Draghi e in attesa che il presidente del Consiglio si presenti alle Camere per una «valutazione della situazione» (cosa che avverrà domani), i principali partiti presenti in parlamento hanno condotto varie trattative, interne e non: hanno fatto prevalere i diversi posizionamenti e posto, in qualche caso, anche delle condizioni per il futuro.

La situazione rimane tuttavia piuttosto confusa, almeno per ora, ed è complicato capire cosa voglia ottenere ciascun partito da questa crisi. Alcuni, come il Movimento 5 Stelle, sono eccezionalmente divisi al loro interno, mentre altri, soprattutto nel centrodestra, mantengono un atteggiamento di attesa. Benché molto dipenda da cosa deciderà Mario Draghi domani, le incognite restano ancora tantissime.

Il Movimento 5 Stelle
La crisi politica è stata innescata dalla decisione del Movimento 5 Stelle di non votare la fiducia al governo sul cosiddetto decreto Aiuti. Per qualche giorno, Giuseppe Conte e altri parlamentari hanno cercato di tenere separata questa stessa decisione dal sostegno, più in generale, al governo Draghi. Nel giro di poco, però, ha guadagnato forza l’ala del partito più radicale, che vuole uscire dalla maggioranza, nonostante i tentativi dei parlamentari più moderati e dei ministri del M5S di trovare un compromesso.

All’interno dell’assemblea nazionale del partito, in corso da giorni, non è emersa una posizione condivisa. Anzi. Ci sono almeno venti parlamentari del Movimento che si sono esposti pubblicamente a favore della fiducia al governo, e se all’interno del partito dovesse prevalere l’ala che vuole uscire dalla maggioranza potrebbero decidere di uscire e fondare un nuovo gruppo parlamentare.

– Leggi anche: Il M5S rischia un’altra scissione

Tra loro c’è Davide Crippa, capogruppo dei deputati del M5S alla Camera: è da tempo critico verso Giuseppe Conte e durante la riunione di ieri della Conferenza dei capigruppo, insieme al PD, ma in disaccordo con Conte, secondo quanto scrivono oggi i giornali, aveva chiesto che l’intervento di Draghi di domani partisse dalla Camera e non dal Senato (cosa che però non accadrà). Questo perché alla Camera i parlamentari del M5S favorevoli a Draghi sono molto più numerosi che al Senato.

Nel frattempo, il capo politico dei 5 Stelle, Giuseppe Conte, sembra intenzionato ad ascoltare che cosa dirà Draghi domani prima di decidere cosa fare: se cioè il presidente del Consiglio accetterà o meno le nove richieste presentate dal M5S già prima dell’inizio della crisi e diventate ora, almeno sembra, una condizione necessaria per continuare a restare in maggioranza.

Partito Democratico e Italia Viva
Il partito che ha avuto finora la linea più chiara è il Partito Democratico: vorrebbe proseguire con il governo Draghi, mantenendo al suo interno il Movimento 5 Stelle. Il segretario Enrico Letta ha anzi lavorato in questi ultimi giorni per convincere gli alleati del M5S a non togliere il sostegno a Draghi: per il PD, sarebbe tra l’altro complicato restare in un esecutivo sostenuto soprattutto da Lega e Forza Italia, senza il M5S.

Ieri, in collegamento con i segretari regionali del PD, Letta ha comunque ammesso per la prima volta che è possibile che la situazione non si ricomponga: che Draghi si dimetta e che si vada a elezioni anticipate.

Italia Viva, di Matteo Renzi, dopo le dimissioni di Draghi ha promosso una petizione perché il presidente del Consiglio resti al governo, ma alle proprie condizioni, senza cioè “cedere” alle richieste del M5S.

Lega e Forza Italia
La Lega, in un primo momento, ha chiesto di tornare al voto, ma poi con Forza Italia, che invece ha mantenuto una posizione più prudente, si è dichiarata disponibile a un secondo governo Draghi senza però la presenza in maggioranza del M5S.

In linea di principio, sia FI che la Lega sarebbero dunque disposte ad arrivare, con una nuova maggioranza, alla scadenza naturale della legislatura, nella primavera del 2023. Entrambi i partiti, in caso contrario, hanno comunque lasciato aperta la possibilità di andare a elezioni anticipate. Matteo Salvini ha lasciato che a farlo esplicitamente fosse il vicesegretario del partito Lorenzo Fontana che non ha solamente criticato il M5S, ma anche la convivenza con il PD: «Il parlamento è ormai delegittimato: basarsi su transfughi e maggioranze ballerine non garantisce stabilità ed è in contrasto con quanto desiderato esplicitamente dal premier che non vuole cambiare in corsa le forze che lo sostengono. A questo punto, diamo agli italiani la possibilità di scegliere un nuovo parlamento che finalmente si occupi di lavoro, sicurezza e salute. Altro che droga libera, ius soli o ddl Zan».

Non è chiaro che cosa deciderebbero Lega e Forza Italia se dovesse concretizzarsi la spaccatura all’interno del M5S e una componente del partito, fuoriuscita, votasse la fiducia a Draghi e continuasse a restare in maggioranza. Difficilmente, comunque, Salvini e Berlusconi si assumerebbero la responsabilità di un’eventuale caduta del governo.

Fratelli d’Italia
Fratelli d’Italia è il partito che più di tutti vuole andare a elezioni, visti anche i sondaggi che lo danno al primo posto. Sui giornali circolano già articoli con i possibili nomi delle persone che entrerebbero a far parte di un governo guidato da Giorgia Meloni.