Perché beviamo succo d’arancia a colazione
Non è sempre stato così, ma negli Stati Uniti si producevano troppe arance e i produttori volevano trovare un modo per guadagnarci
Il succo d’arancia – spremuto sul momento, ma più spesso confezionato – fa parte delle colazioni in diverse parti del mondo. Viene visto come un alimento fresco, sano e ricco di vitamine, e viene abbinato indistintamente a caffè, tè, latte, e cibi dolci o salati. Ma non è sempre stato così: la storia della diffusione del succo d’arancia a colazione inizia negli Stati Uniti negli anni Venti, quando stati come la California e la Florida producevano molte più arance di quelle che venivano comprate e dovettero trovare un modo per smaltirle cercando di guadagnarci qualcosa.
In quel periodo una serie di circostanze portò un gran numero di famiglie a introdurre il succo d’arancia confezionato nella quotidianità: ebbero un ruolo tra le altre cose la scoperta della vitamina C e dei suoi benefici per la salute, gli investimenti nell’alimentazione dell’esercito, e l’allarmismo che si diffuse per una condizione chiamata “acidosi”. Quell’abitudine fu adottata poi in molti paesi ed è rimasta diffusa fino a oggi.
Nei primi anni del Novecento, la California e la Florida erano grandi produttrici di diverse varietà di arance e le esportavano in tutti gli Stati Uniti, dove le famiglie che potevano permettersele le mangiavano così com’erano o le spremevano in casa. Il succo d’arancia confezionato esisteva già, anche se non era buono come quello che sarebbe arrivato dopo e per questo non era molto popolare.
Tra gli anni Venti e Trenta successero alcune cose che cambiarono la situazione. Da un lato i produttori di arance si trovarono a dover fare i conti con una sovrapproduzione che non riuscivano più a smaltire e videro nella produzione di bibite confezionate all’arancia l’unica soluzione per guadagnare dalla frutta in eccesso. Dall’altro gli scienziati scoprirono la vitamina C e i suoi benefici per la salute, cosa che portò autorità ed esperti a raccomandare il consumo frequente di vegetali a foglia verde, peperoni, pomodori e agrumi, come appunto le arance.
I produttori non si fecero sfuggire l’occasione e portarono avanti intense campagne di promozione che puntavano sulla vitamina C e sugli effetti salutari del consumo regolare di arance.
A questo si aggiunse che in quegli anni Elmer McCollum, uno scienziato considerato una personalità nel settore della nutrizione, provocò un certo allarmismo sui rischi causati da una malattia che chiamava “acidosi”. Secondo la sua idea di allora, l’acidosi era dovuta a un eccessivo consumo di cibi produttori di acidi, come il latte e il pane, e dava sintomi come stanchezza e fatica: la soluzione era l’inserimento nella dieta di abbondanti porzioni di lattuga e arance.
Successivamente le teorie di McCollum furono smentite e si disse che l’acidosi non era così diffusa, che aveva diverse cause e che non poteva essere curata con le arance. Ma intanto l’idea che il consumo di arance non fosse mai troppo si era diffusa a gran parte della popolazione.
In un articolo dell’Atlantic viene riportato lo slogan di una campagna pubblicitaria di quegli anni del marchio di bevande Sunkist: «Estelle sembrava avere poca vitalità; non ha nemmeno fatto uno sforzo per essere divertente e per questo non ha attirato gli uomini… “Acidosi” è la parola sulla lingua di quasi tutti i medici moderni».
Ma la vera svolta arrivò con la Seconda guerra mondiale, quando gli Stati Uniti investirono nella ricerca di un modo per far assumere vitamina C all’esercito. Inizialmente, infatti, nel pasto militare giornaliero era inclusa una bustina di cristalli al limone idrosolubili, ma ai soldati non piacevano e in molti casi venivano buttati o usati per pulire gli scarponi. Ci voleva qualcosa di più saporito, che fosse però facilmente confezionabile e trasportabile. Con gli incentivi del governo, i produttori della Florida arrivarono a produrre un succo d’arancia concentrato – a cui veniva cioè tolta una buona parte dell’acqua – e che poi veniva congelato. Funzionò.
Con la fine della guerra, si puntò sulla produzione di massa di questo succo d’arancia concentrato per smaltire la produzione di arance. Veniva venduto con la dicitura “fresh-frozen”: era saporito, molto più economico rispetto al succo d’arancia pronto da bere e durava a lungo perché veniva tenuto nel congelatore. Per le famiglie dell’epoca era una soluzione ideale perché conciliava l’aspirazione a una colazione sana e bilanciata con un impegno ridotto nella preparazione. Bastava scongelarlo, aggiungere acqua e mescolare per ottenere un succo di arancia saporito.
Come accadde per molti cibi confezionati che si diffusero in quegli anni, ci volle un po’ perché le istituzioni e i consumatori cominciassero a farsi domande sull’effettiva salubrità dei prodotti e prendessero atto del fatto che il processo di produzione del concentrato privava di fatto le bibite della gran parte dei benefici per la salute che hanno le arance fresche.
Fu così che negli Stati Uniti il consumo di succo d’arancia – nato come prodotto di ripiego per smaltire le arance in eccedenza – superò di gran lunga quello di arance fresche.
BBC ha raccontato che quando lo scrittore premio Pulitzer John McPhee viaggiò in Florida per lavoro negli anni Settanta si rese conto che nello stato che storicamente riforniva di arance tutti gli Stati Uniti era di fatto impossibile bere una spremuta fresca. La cameriera a cui la chiese gli rispose che «il succo fresco è troppo acido o troppo acquoso o troppo qualcos’altro. Quello congelato è lo stesso ogni giorno e le persone vogliono sapere cosa gli viene servito».
Negli Stati Uniti le famiglie continuarono a bere succo d’arancia concentrato e congelato fino alla metà degli anni Ottanta, quando si cominciò a produrre il succo confezionato pronto da bere che viene venduto nei supermercati ancora oggi. Le pubblicità di quegli anni puntavano proprio sul fatto che queste nuove bibite non fossero “da concentrato” e venivano presentate come appena spremute, fresche, naturali. Questo, nonostante fossero spesso molto zuccherate e ricche di aromi aggiunti per rendere il sapore simile a quello del succo fresco.
I succhi d’arancia confezionati hanno sempre avuto ben poco di fresco e di “naturale”, ma negli Stati Uniti le etichette non sono mai state regolamentate e nel corso dei decenni gli americani si sono abituati a considerare queste bevande una componente “salutare” imprescindibile delle loro colazioni.
L’abitudine di inserire il succo d’arancia nella colazione si è diffusa in tutto l’Occidente e in altri paesi influenzati dalla cultura anglosassone: si tratta quasi sempre di succo confezionato. Fanno eccezione paesi come l’Italia, dove sia nella ristorazione che nelle famiglie è ancora molto diffusa la spremuta fatta sul momento, perché le arance fresche sono buone, economiche e facili da trovare e in generale c’è una maggiore attenzione a questo prodotto da un punto di vista gastronomico e di tradizione.
Le cose sono cambiate un po’ negli ultimi anni, con le campagne di sensibilizzazione promosse negli Stati Uniti contro le bibite zuccherate e confezionate e la generale diffusione di una maggiore attenzione all’alimentazione sana. Nel 2011 l’azienda PepsiCo, che possiede tra le altre cose il marchio di bevande alla frutta Tropicana, fu querelata diverse volte per la scritta “all natural”, completamente naturale, sulle sue confezioni.