Cosa può succedere ora con la crisi politica
L'unica cosa sicura sono le comunicazioni di Draghi mercoledì in Parlamento: il resto dipende soprattutto da lui
Mercoledì Mario Draghi parlerà al Senato e alla Camera, dopodiché in entrambe le aule, come deciso questa mattina dalla Conferenza dei capigruppo, dovrebbe svolgersi una discussione e un voto di fiducia: giovedì 14 luglio Draghi aveva presentato le proprie dimissioni da presidente del Consiglio a Sergio Mattarella, che le aveva respinte invitandolo «a presentarsi al parlamento» per valutare la situazione: a fare cioè quella che in gergo viene definita “parlamentarizzazione” della crisi.
Va tenuto conto che l’attuale crisi politica si è tecnicamente sviluppata in parlamento (in seguito a un voto di fiducia sulla conversione in legge del decreto Aiuti in Senato a cui il Movimento 5 Stelle aveva deciso di non partecipare), ma che il governo non ha mai perso la maggioranza numerica: è stato Draghi che ha valutato fosse opportuno dimettersi, perché era venuto meno uno dei criteri da lui ritenuti essenziali, il fatto che il governo potesse essere definito di unità nazionale. E, dunque, quello che accadrà dipenderà ora soprattutto da lui.
Mercoledì alle 9.30 Draghi farà le proprie comunicazioni sulla crisi politica in entrambe le aule del parlamento. Durante la riunione dei capigruppo che si è tenuta oggi è stato deciso che Draghi tenga quelle che nel gergo parlamentare si chiamano «comunicazioni fiduciarie»: un intervento, cioè, seguito da una discussione e da un voto di fiducia.
Si comincerà dal Senato – dall’aula cioè dove il governo ha ottenuto la prima volta la fiducia e dove si sono manifestate le condizioni della crisi – a seguito di un accordo tra la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, e il presidente della Camera, Roberto Fico.
Draghi si dimette di nuovo
Non è però chiaro se dopo l’intervento di Draghi ci sarà il voto di fiducia stabilito dalla Conferenza dei capigruppo. Draghi potrebbe infatti decidere di confermare le proprie dimissioni e quindi di ripresentarle al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che difficilmente le respingerebbe una seconda volta (anche durante la crisi del 2019, Giuseppe Conte, dopo gli interventi, era salito direttamente al Quirinale e in aula non si era svolto alcun voto di fiducia).
A quel punto, Mattarella potrebbe affidare a qualcun altro il compito di provare a formare un governo, iter disciplinato dall’articolo 92 della Costituzione. Nella prassi, ci si arriva attraverso un processo articolato che prevede diverse fasi: le consultazioni, quella fase di incontri e colloqui tra presidente della Repubblica e leader politici e istituzionali che ha l’obiettivo di capire se il Parlamento sia ancora in grado di esprimere una maggioranza oppure no; l’assegnazione di un incarico, spesso preceduta dal mandato esplorativo; la nomina, il giuramento e infine la fiducia, come stabilito dagli articoli 93 e 94 della Costituzione.
Durante e dopo le consultazioni Mattarella potrebbe anche avere un ruolo attivo, e sondare i partiti sulla possibilità di sostenere un governo non politico: e cioè un governo tecnico (affidato per esempio a economisti o professori e sostenuto da quasi tutti i partiti), un governo istituzionale (sempre sostenuto dalla maggioranza dei partiti ma guidato da una figura delle istituzioni) o un governo di scopo (con un compito ben preciso e quindi una scadenza: in questo caso, il compito potrebbe essere quello di gestire le scadenze di fine anno come la Legge di Bilancio).
L’altra possibilità è che, non esistendo un’altra maggioranza possibile in questo parlamento, il presidente della Repubblica sciolga le camere: il primo passo verso le elezioni politiche. Giuristi e analisti politici stanno ipotizzando che la prima data utile per le elezioni potrebbe essere domenica 2 ottobre.
Draghi ci riprova
Draghi potrebbe però presentarsi in parlamento, non confermare le proprie dimissioni, seguire il dibattito, replicare e sottoporre il governo al voto di fiducia per verificare la sussistenza o meno di una maggioranza. Di fatto, anche senza il M5S l’attuale governo avrebbe già la maggioranza e potrebbe dunque proseguire fino alla naturale scadenza della legislatura. Draghi, nel comunicato con cui aveva presentato le dimissioni, aveva però escluso questa ipotesi, appunto perché riteneva che il suo governo potesse esistere soltanto come governo di unità nazionale.
In questi ultimi giorni le trattative per ricomporre la crisi, e dunque per riportare il M5S nella maggioranza, si sono complicate. Benché i negoziati tra partiti siano ancora in corso, ieri Forza Italia e Lega hanno pubblicato una nota escludendo la possibilità di governare ancora con il Movimento 5 Stelle.
All’interno del partito di Conte, però, è possibile che si concretizzi una nuova scissione, dopo quella di Luigi Di Maio, e che dunque parte dei parlamentari decida di proseguire l’esperienza con il governo Draghi. La scissione potrebbe risolvere sia il problema posto da Forza Italia e Lega, sia quello di Draghi che potrebbe considerare ancora valido l’appoggio trasversale del parlamento al proprio governo e dunque non dimettersi.