È stato fissato un tetto alle commissioni sui buoni pasto
I commercianti pagheranno al massimo il 5% alle società che li emettono: ma per ora la norma riguarda solo i dipendenti pubblici
Nel cosiddetto “decreto Aiuti”, approvato definitivamente giovedì scorso, è stata inserita una norma che fissa un tetto massimo del 5 per cento alle commissioni che gli esercenti devono pagare alle società che emettono buoni pasto per i dipendenti pubblici (anche chiamati ticket).
È un tema di cui si è discusso molto negli ultimi anni, con grandi proteste da parte degli esercenti (bar, ristoranti, esercizi di vicinato, supermercati e ipermercati), secondo cui le commissioni erano diventate sempre più alte, fino a toccare picchi del 20 per cento. Proprio queste commissioni erano state la causa di un grosso sciopero delle principali associazioni di categoria di supermercati, ristoranti e bar, lo scorso 15 giugno.
I buoni pasto sono un servizio riservato ai lavoratori dipendenti del settore pubblico o privato o a collaboratori esterni, che funziona come alternativa alla fornitura di un servizio mensa per il personale. A fornirli sono alcune società specializzate che stipulano con le singole aziende contratti di fornitura. Le società di buoni pasto firmano poi delle convenzioni con gli esercenti. In base a queste convenzioni, gli esercenti inviano i buoni pasto che ricevono dai loro clienti alle società che li hanno emessi per ottenere il rimborso, che però non è pari al valore nominale sul ticket, ma un po’ inferiore. Il motivo è che c’è una commissione che viene trattenuta dalle società che emettono i buoni in cambio del servizio di intermediazione.
Inizialmente questa commissione era molto bassa, intorno al 3 per cento del valore del buono pasto, ma col tempo era aumentata notevolmente a causa delle gare d’appalto indette da Consip, la centrale acquisti per la pubblica amministrazione, per l’assegnazione dei servizi di buoni pasto alle aziende pubbliche.
Consip assegnava i suoi grossi contratti di fornitura a chi di volta in volta faceva l’offerta economica più bassa. In sostanza, quindi, per vincere le gare le società che forniscono buoni pasto dovevano fare offerte al ribasso, proponendo ingenti sconti per assicurarsi la vittoria della gara (alle società conviene partecipare alle gare di Consip, perché i lavoratori del settore pubblico rappresentano una quota enorme del mercato dei buoni pasto in Italia).
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Gli sconti stabiliti nella vendita dei buoni pasto nelle gare di Consip sono però diventati negli anni uno standard anche per il settore privato. La conseguenza è che i buoni pasto vengono comprati da Consip e dalle aziende private a una cifra sensibilmente inferiore al loro valore nominale, ma la differenza finisce per essere pagata dai commercianti che incassano dalle aziende di buoni pasto meno di quello che incasserebbero se i clienti pagassero in denaro.
Con la nuova norma del “decreto Aiuti”, dopo la prossima gara di Consip per assegnare i buoni pasto per i dipendenti pubblici, gli esercenti dovranno quindi pagare una commissione massima del 5 per cento su ogni ticket. La norma riguarda solo i buoni pasto delle aziende pubbliche, ma è comunque una novità importante, dato che è presumibile che le gare d’appalto per i buoni pasto delle aziende private si adatteranno agli sconti applicati in futuro dalla Consip.
Giancarlo Banchieri, presidente di Fiepet-Confesercenti, la federazione dei pubblici esercizi, ha commentato la norma dicendo che «il prossimo obiettivo è quello della riforma strutturale del sistema dei buoni pasto, per intervenire anche sulle gare private che oggi non sono interessate dal provvedimento appena approvato e che, tuttavia, valgono due terzi del mercato. Occorre adottare modelli di regolazione mutuati da altri paesi europei, mettendo al centro la salvaguardia del valore reale del buono pasto, da quando viene acquistato dal datore di lavoro a quando viene speso dal lavoratore».