Venezia contro gli affitti brevi
Per evitare lo spopolamento il comune vuole impedire di affittare le case ai turisti su piattaforme come Airbnb per più di 120 giorni all'anno
Nel decreto Aiuti approvato giovedì al Senato c’è un emendamento che consentirà a Venezia di limitare gli affitti brevi offerti ai turisti da piattaforme online come Airbnb. Da tempo il comune e diverse associazioni cittadine chiedevano di poter introdurre regole per governare un mercato che negli ultimi anni si è sviluppato in modo incontrollato e ha contribuito a trasformare molte città italiane, le cui case sono sempre più adibite agli affitti brevi con molte conseguenze per i residenti.
L’approvazione di una legge nazionale era necessaria perché gli enti locali non hanno il potere di limitare il mercato degli affitti brevi: il Parlamento ha concesso questo privilegio soltanto a Venezia, anche se Bologna e Firenze avevano chiesto di essere comprese nella legge. Prima di estendere questa possibilità ad altre città verrà probabilmente valutato l’esito dell’esperimento a Venezia: finora, le limitazioni introdotte da altre città europee hanno avuto solo in parte gli effetti sperati.
L’emendamento non contiene direttive precise, ma dà la possibilità al comune di studiare un nuovo regolamento che conterrà gli obiettivi generali e i dettagli dei singoli vincoli. Le limitazioni potranno essere introdotte in diversi periodi dell’anno e in diverse zone della città: di fatto, il comune potrà decidere se limitare le autorizzazioni nei quartieri (a Venezia chiamati sestieri) dove gli alloggi e i posti letto nelle case per i turisti sono troppi rispetto agli abitanti, oppure nei periodi di alta stagione.
Il regolamento, a cui il comune sta già lavorando, dovrà comunque rispettare i «principi di proporzionalità, di trasparenza, di non discriminazione e di rotazione, tenendo conto della funzione di integrazione del reddito esercitata dalle locazioni brevi». Nel testo dell’emendamento, già approvato alla Camera, c’è un solo limite esplicito: chi affitta la propria casa per più di 120 giorni all’anno dovrà cambiare destinazione d’uso, da residenziale a turistico-ricettiva, e categoria dell’immobile, cioè la classificazione che serve a stabilire quante tasse pagare.
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L’obiettivo generale di queste regole è distinguere tra chi affitta per arrotondare il proprio reddito grazie all’affitto di una stanza o di una porzione di casa da chi, invece, possiede più proprietà immobiliari e sfrutta in modo intensivo il business che le piattaforme hanno creato. «Vogliamo aumentare il livello della proposta turistica per impedire gli abusi e rendere più trasparente l’offerta a beneficio di tutti», ha detto il sindaco Luigi Brugnaro. «Ascolteremo tutti i soggetti coinvolti per arrivare a una sintesi che sia la più condivisa ed equilibrata: sarà fondamentale avere un regolamento efficace».
Molto prima che la pandemia bloccasse l’arrivo di turisti da tutto il mondo, a Venezia molte associazioni di residenti avevano denunciato l’aumento significativo di appartamenti in affitto a breve termine. Oltre a fare concorrenza agli alberghi, gli alloggi messi a disposizione su Airbnb hanno contribuito ad aumentare il costo degli affitti, con una dinamica analoga a quelle di molte altre città europee. Oggi vivere a Venezia è molto più costoso di quanto non fosse dieci anni fa, cosa che ha contribuito in parte allo spopolamento e di conseguenza a trasformare i negozi, i servizi e più in generale la città.
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Nel 2008 gli abitanti del centro storico di Venezia erano 60mila, oggi secondo le ultime rilevazioni sono circa 50mila, soglia sotto la quale si potrebbe scendere quest’estate. «Il problema più importante della città è l’eccesso di turismo: 20mila residenti hanno lasciato il centro tra il 2000 e il 2019», ha detto il prefetto di Venezia Vittorio Zappalorto durante un’audizione alla commissione ambiente della Camera in cui si discuteva dell’emendamento per limitare gli affitti brevi. «Se Venezia è un patrimonio dell’Umanità non si può continuare a pensare che l’utilizzo di queste proprietà sia nella piena disponibilità dei privati».
I dati pubblicati da Inside Airbnb, un progetto indipendente che misura l’impatto degli affitti brevi in molte città, dicono che il 5 giugno in tutta la città erano disponibili 7.780 alloggi su Airbnb, di cui il 77% intere case, il 20,1% camere, il 2,6% alberghi che mettono le camere anche sulla piattaforma e lo 0,3% camere condivise. Il prezzo medio per notte è di 243 euro e il reddito medio annuale degli affittuari è poco più di 11mila euro.
Sono oltre 800 gli alloggi occupati per oltre 240 giorni in un anno. Poco più del 20 per cento degli affittuari attivi gestisce il 60 per cento degli annunci, addirittura il 5 per cento gestisce oltre il 30 per cento degli annunci. In questa mappa, realizzata grazie ai dati diffusi da Inside Airbnb, è possibile consultare i dati di tutti gli alloggi disponibili.
Secondo i dati di Ocio – che vuol dire “occhio” in veneziano, ma è anche la sigla dell’Osservatorio CIvicO sulla casa e la residenza, un gruppo che dal 2018 monitora la situazione abitativa di Venezia – nella Venezia insulare (la città storica e le vicine isole come Murano e Burano) i posti letto nelle strutture ricettive del settore non alberghiero erano meno di 12mila nel 2008. Nel 2019 erano diventati quasi 40mila. Sul sito del progetto c’è anche una mappa che mostra come in certe zone di Venezia, in particolare in quelle del sestiere di San Marco, uno dei sei quartieri in cui è divisa la città, ci siano più di venti posti letto turistici per ogni abitante.
Le limitazioni agli affitti brevi che saranno decise dal comune non sono l’unica contromisura pensata per contenere quella che viene definita disneyzzazione di Venezia, cioè la trasformazione di calli, campi e canali in un parco a tema, a uso e consumo dei turisti. All’inizio di luglio l’amministrazione ha annunciato che dal 16 gennaio del 2023 i turisti che visiteranno Venezia senza pernottare almeno una notte dovranno pagare un “contributo d’accesso” che andrà dai 3 ai 10 euro.
Alcuni dettagli devono ancora essere definiti e la norma andrà poi approvata formalmente dal consiglio comunale, ma per ora si sa che la tassa d’accesso potrà essere pagata online, su una piattaforma su cui i turisti dovranno obbligatoriamente registrare in anticipo la loro visita a Venezia, ricevendo un QR code da esibire.
Verranno poi svolti controlli da una squadra di 15-20 funzionari distribuiti su tutto il centro storico, isole comprese. In futuro potrebbero anche essere installati alcuni varchi, per esempio alla stazione ferroviaria, ma non c’è ancora nulla di concreto in questo senso. Chi non prenoterà la propria visita e non sarà quindi in grado di esibire il proprio QR code nell’eventualità di un controllo dovrà pagare l’importo massimo della tassa d’accesso alla città, cioè 10 euro: nel caso in cui si rifiuti di farlo, riceverà una multa che andrà dai 50 ai 300 euro.
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Dal pagamento della tassa sono esclusi i residenti a Venezia, i loro parenti, gli studenti, i lavoratori pendolari e i residenti nel resto del territorio veneto (che dovranno però registrarsi obbligatoriamente sulla piattaforma di prenotazione nel caso in cui abbiano in programma di visitare la città). Verranno escluse anche le persone che possiedono immobili a Venezia, e il loro nucleo familiare. Sono previste anche esenzioni per alcune categorie di persone, tra cui i bambini con meno di 6 anni, chi è nato a Venezia, chi fa visita a detenuti, chi partecipa a un funerale, le persone disabili e i loro accompagnatori, o chi partecipa a competizioni sportive sul territorio.
Queste due misure sono uniche soprattutto per il contesto in cui verranno introdotte: Venezia non è una città come tutte le altre. Non è escluso che il mercato degli affitti brevi, che finora ha sfruttato tutte le possibilità consentite dalle leggi, riesca a trovare un espediente per annullare le limitazioni. Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia, un’associazione che rappresenta i proprietari di case, ha detto al Sole 24 Ore che gli affitti a lungo termine andrebbero favoriti senza penalizzare gli affitti brevi, per esempio attraverso incentivi, eliminando l’IMU (un’imposta patrimoniale) per i contratti di lunga durata e consentendo agli affittuari di recuperare più facilmente l’immobile in caso di morosità.
Dario Pileri, presidente di Prolocatur, un’associazione che tutela i diritti dei proprietari di immobili affittati per brevi periodi, prevede che le limitazioni indurranno molti proprietari di immobili a concentrare l’offerta nei periodi più redditizi dell’anno. In questo modo si aggraverebbe il fenomeno del cosiddetto overtourism, il sovraffollamento turistico che Venezia sta cercando di contenere soprattutto in alcuni periodi dell’anno.
Altre città europee in passato hanno introdotto limiti simili a quelli previsti a Venezia e alla lunga gli effetti non sembrano essere stati risolutivi. Nel centro storico di Amsterdam gli appartamenti non possono essere affittati per più di 30 giorni all’anno, a Ginevra per più di 60 giorni, mentre a Londra e Madrid il limite è di 90 giorni all’anno.
Già dal 2017, a Parigi, il comune ha imposto ai proprietari di affittare case o stanze al massimo per 120 giorni all’anno. Ogni alloggio, inoltre, è stato registrato con un codice per evitare che la soglia massima venisse superata ricorrendo ad annunci pubblicati su diverse piattaforme. Finora nelle principali città europee dove sono state introdotte limitazioni, però, i problemi non sono stati risolti del tutto perché è complicato applicare queste regole.
A Parigi il comune ha creato un ufficio per la protezione dei locali residenziali (BPLH, Bureau de la Protection des Locaux d’Habitation) formato da funzionari che spesso fanno sopralluoghi nei quartieri della città per individuare gli alloggi abusivi. Nel 2021 Airbnb ha pagato una multa da 8 milioni di euro per aver pubblicato mille annunci senza numero di registrazione. Più di 200 proprietari sono stati inoltre condannati per inosservanza del codice urbanistico o del codice del turismo. «Bisogna fare di tutto per evitare che il ritorno dei turisti, che è gradito, porti a un ritorno degli affitti turistici abusivi a scapito delle abitazioni dei parigini», ha detto il vicesindaco di Parigi con delega all’edilizia privata, Ian Brossat. Nonostante il limite di 120 giorni sia stato introdotto da cinque anni, a Parigi il problema rimane.