Le persone che vanno a teatro aumentano, ma non abbastanza
Il pubblico non è tornato ai livelli del 2019 e bisogna risolvere anche problemi precedenti alla pandemia
di Rachele Protasi
Come tutti i settori culturali, anche il teatro durante la pandemia ha subito grandi perdite economiche, dalle quali non si è ancora completamente ripreso: secondo un rapporto dell’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali della School of management del Politecnico di Milano, gli ingressi agli spettacoli teatrali nel 2021 sono stati il 23% in più rispetto rispetto al 2020, ma i numeri del 2019 sono ancora lontani. Gli addetti ai lavori sperano in un ritorno alla stessa partecipazione del periodo prepandemico entro il 2023, considerata anche una visibile crescita delle vendite dei biglietti per tutti gli altri tipi di spettacoli dal vivo.
I problemi del teatro, d’altra parte, precedono la pandemia. Il pubblico teatrale, composto prevalentemente da persone con più di cinquant’anni, risente da tempo di barriere economiche e culturali: il teatro è spesso ritenuto troppo costoso, anche se, come ha fatto notare Filippo Fonsatti, direttore del Teatro Stabile di Torino, “i quarantamila che sono andati a sentire Vasco Rossi pagando 70 euro, e i settantamila che sono andati al concerto dei Guns N’Roses a San Siro con biglietti da 80 euro non hanno rinunciato per i prezzi alti”, suggerendo che il costo dei biglietti sia solo un pezzo delle ragioni della crisi. Una crisi di cui si parlava già prima della pandemia: fra gli spettacoli audiovisivi (cinema, musei, mostre, concerti) quelli teatrali erano i meno frequentati, mostra un’analisi Doxa pubblicata nel 2019. Il Covid ha penalizzato ulteriormente il settore. L’industria culturale, nel suo complesso, solo nel 2020 ha perso 8 miliardi di euro; nel primo anno di pandemia, i teatri italiani hanno avuto una diminuzione delle entrate del 78,45%, relative a un 70,71% in meno di ingressi rispetto all’anno precedente.
La gravità della situazione ha portato alla nascita di nuove associazioni di categoria: al già esistente Sindacato Attori Italiani si sono affiancate piccole organizzazioni locali e grandi associazioni come UNITA (Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo), a cui viene dato il merito di aver mantenuto alta l’attenzione sulle necessità del settore. Per venire incontro a queste necessità, il ministero della Cultura ha stanziato nel 2020 circa 9 miliardi di euro per il sostegno a lavoratori e imprese nella cultura e nel turismo, dei quali inizialmente non potevano però usufruire i lavoratori autonomi e i teatri privati. Nel 2021, con il cosiddetto Decreto Sostegni bis, sono stati stanziati 252 milioni di euro per estendere le indennità di seicento e mille euro anche ai lavoratori autonomi e intermittenti del mondo dello spettacolo, e per incrementare di 50 milioni di euro il Fondo Unico per lo Spettacolo (FUS). Altri 90 milioni di euro hanno integrato il fondo emergenze per lo spettacolo e il cinema.
Ma i teatri non sono rimasti chiusi solo a causa del Covid. Un’inchiesta del programma televisivo Report andata in onda nell’aprile del 2022 ha raccontato che in Italia ci sono 428 teatri chiusi, metà dei quali di proprietà pubblica. È impossibile sapere quanti di questi teatri abbiano chiuso durante la pandemia, perché l’ultimo censimento risale al 2008, ma le ragioni sono diverse: inadeguatezze strutturali, lavori mai finiti, cambi d’uso o costi di mantenimento insostenibili; problemi poi aggravati dai rincari energetici e dalla diminuzione delle entrate degli ultimi due anni. Per tentare di affrontare il problema, il governo ha investito 420 milioni di euro per la ripresa degli spettacoli; inoltre alcuni teatri, fra quelli di proprietà dello Stato, sono coinvolti nei piani di efficientamento energetico su cui sono indirizzate molte delle risorse economiche del PNRR, il piano preparato dal governo per finanziare la ripresa economica dopo la pandemia. I lavoratori dello spettacolo sostengono che tutto questo non basti: sarebbe necessaria una politica culturale di lungo periodo, capace di tenere conto delle specificità del settore e di attirare un pubblico più ampio.
Sempre secondo gli addetti ai lavori, i modi per stimolare e mantenere la ripresa ci sarebbero: applicare sgravi fiscali sui biglietti, favorire ingressi a prezzi ridotti per i più giovani o investire su nuove sceneggiature. Soprattutto, si potrebbe ripartire dagli strumenti utilizzati durante la fase peggiore della pandemia: i teatri come lo Stabile di Torino o il Piccolo Teatro di Milano avevano tentato di sopperire alle limitazioni già all’inizio dei lockdown caricando online video di interventi e spettacoli, e sono successivamente stati imitati da molti altri.
Come avvenuto in tanti altri settori, infatti, la pandemia ha dato una forte spinta alla digitalizzazione delle attività dei teatri. Dai dati dell’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali emerge che la vendita di biglietti online, possibile nel 78% dei teatri, genera oggi l’11% dei ricavi totali e che altri intermediari online aggiungono un ulteriore 12%. Da qui la scelta del 59% dei teatri di investire anche nella pubblicità online. Michela Arnaboldi, responsabile dell’Osservatorio, nota infatti come le organizzazioni culturali «stiano cercando, e in alcuni casi sperimentando, nuovi modelli di business in grado di favorire il ritorno in presenza senza perdere i risultati positivi che a fatica si sono raggiunti con la transizione in digitale di molte attività durante i due anni di pandemia trascorsi». Nei prossimi due anni, il 40 per cento dei fondi del PNRR destinati ai teatri saranno investiti in marketing, comunicazione e assistenza digitali, il 18% nella vendita di biglietti, nella gestione delle prenotazioni e nella sicurezza informatica. In questo momento solo un teatro su cinque ha un piano strategico e del personale dedicato all’innovazione digitale, e uno su due non ha nessuna risorsa dedicata a questo genere di attività.
Un’altra idea per alimentare il ritorno nelle sale teatrali è puntare sulla fidelizzazione del pubblico. Generalmente le programmazioni seguono una linea coerente nella proposta delle rappresentazioni teatrali, ma solo il 10% degli spettatori ricorda di essere stato ricontattato dopo la partecipazione a uno spettacolo, nonostante nei sondaggi venga dichiarata una buona propensione ad acquistare un abbonamento o un biglietto per un altro evento. I teatri potrebbero puntare sulle caratteristiche che differenziano la loro offerta da quella degli altri luoghi di cultura, come il cinema: per esempio il fatto che propongano eventi visibili solo in un certo luogo e in un certo momento. Inoltre gli stessi teatri, nelle loro strutture, spesso hanno da soli un notevole valore artistico che può contribuire ad attrarre visitatori. Il patrimonio culturale da conservare e valorizzare in questo settore è quindi sia immateriale che materiale.
Questo e gli altri articoli della sezione Tra cultura e pandemia sono un progetto del workshop di giornalismo 2022 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.