Le incertezze di Netflix dopo la pandemia
Ha cominciato per la prima volta a perdere abbonati, e sarà costretta a introdurre annunci pubblicitari
di Luigi Gioja
Dopo anni di forte crescita, favorita anche dalla pandemia da coronavirus, quest’anno il numero degli abbonamenti a Netflix, la piattaforma di streaming video più usata al mondo, è calato per la prima volta. Durante i mesi della pandemia, tra il 2020 e il 2021, gli abbonamenti a Netflix erano aumentati di 54 milioni, fino a raggiungere un picco di quasi 222 milioni di account in tutto il mondo. La robusta crescita degli ultimi due anni – spinta dai lunghi periodi in cui le persone sono state costrette a casa dalle limitazioni dovute alla pandemia – si è interrotta ad aprile, quando Netflix ha riportato una perdita di circa 200 mila abbonamenti, cosa che non era mai accaduta negli ultimi 10 anni.
Per far fronte alle difficoltà, Netflix ha quindi annunciato che per la prima volta introdurrà un nuovo piano di abbonamento che include annunci pubblicitari e questa settimana ha fatto un accordo con la multinazionale di informatica Microsoft per la gestione della parte tecnologica. Al momento non si sa ancora quanto costerà questo diverso tipo di abbonamento, né quando verrà introdotto.
Tra gennaio e marzo del 2020, in concomitanza con l’introduzione delle prime restrizioni che hanno costretto a casa milioni di persone in tutto il mondo, gli abbonamenti a Netflix erano aumentati di più del doppio (quasi 16 milioni di nuovi account) rispetto alle previsioni dell’azienda. Netflix aveva previsto una crescita anche per quest’anno, ma il calo degli abbonamenti ha sorpreso l’azienda e gli investitori, tanto che il giorno dell’annuncio il titolo in borsa è arrivato a perdere il 35 per cento del suo valore.
Secondo Netflix ci sono quattro principali ragioni all’origine dei risultati negativi. Anzitutto, l’azienda cita «fattori macroeconomici», come la guerra in Ucraina, il generale aumento dei prezzi, e le difficoltà nella produzione di nuovi film e serie tv provocate dalla pandemia.
Netflix ritiene inoltre che ci sia un grosso problema legato alle persone che condividono le credenziali per accedere alla piattaforma con amici e parenti: l’azienda stima che ci siano circa 100 milioni di case in cui vengono guardati film e serie tv sfruttando account di altri utenti. Questo fenomeno era già noto, tanto che a marzo Netflix ha avviato una sperimentazione in alcuni mercati per contrastare la condivisione degli abbonamenti.
La causa più importante del calo degli abbonati, anche secondo gli analisti, è la sempre più intensa concorrenza da parte di altri servizi di streaming video a pagamento come Disney Plus, Amazon Prime Video, Hulu e HBOMax (queste ultime attive nel mercato americano), ma anche di YouTube. Disney Plus, per esempio, è stato introdotto negli Stati Uniti a novembre 2019, mentre in Italia è arrivato a fine marzo 2020, nel pieno della pandemia. Ad aprile 2022 il servizio Disney aveva già raggiunto quasi 140 milioni di abbonamenti, e l’azienda prevede di averne tra i 230 e i 260 milioni entro l’autunno del 2024.
La maggiore concorrenza comporta nella gran parte dei casi una scelta sui servizi a cui abbonarsi, dato che i costi per la sottoscrizione a più piattaforme sono notevoli. Come spiega Antonio Filoni, della società di ricerche di mercato Doxa, la crescente concorrenza ha portato a una «grande frammentazione» nella distribuzione dei contenuti: «Oggi servono potenzialmente 3-4 abbonamenti diversi» per poter avere accesso ai film e alle serie più popolari, dice. «Questo genera frustrazione e complessità soprattutto tra gli utenti che preferiscono la comodità di un’unica soluzione attraverso cui poter accedere a tutto».
Un recente studio di Deloitte sul pubblico statunitense ha registrato un progressivo aumento del churn rate – cioè il tasso di abbandoni di un servizio in abbonamento – soprattutto nelle fasce più giovani della popolazione. Tra alcuni esperti l’opinione diffusa è che Netflix faccia sempre più fatica a produrre film e serie tv di qualità e capaci di raggiungere un ampio pubblico, nonostante le numerose produzioni con registi e attori di alto livello. Solo nel 2021, Netflix ha investito 17 miliardi di dollari per nuovi contenuti originali, ma non ha ottenuto i ritorni – economici e di pubblico – che si aspettava.
Secondo Jacopo Genovese, della società britannica di analisi sui media Ampere Analysis, «c’è stato un percepibile e misurabile calo della qualità dei contenuti di Netflix, […] che aveva inizialmente adottato una strategia legata soprattutto alla quantità». Parte del successo iniziale di Netflix non era necessariamente legato alle sue produzioni originali, ma a serie tv e film di altre case di produzione. Quando queste società hanno introdotto sul mercato le loro piattaforme di streaming proprietarie, i loro contenuti sono stati rimossi da Netflix per essere offerti in esclusiva nei propri cataloghi: è il caso, negli Stati Uniti, della popolarissima sit-com Friends.
Netflix si è trovata a dover gestire la perdita di serie tv e film molto amati e, racconta Genovese, ha puntato su contenuti sempre più vicini a quelli che si possono già trovare sulla tv generalista, perdendo l’originalità dei primi anni.
Ci sono ancora ampie eccezioni, come i successi delle serie tv Stranger Things, Bridgerton e La casa di carta. In una inchiesta di inizio giugno, il magazine del settore Hollywood Reporter, sentite varie fonti dentro e fuori Netflix, ha provato a descrivere i tratti principali della nuova strategia artistica e commerciale della piattaforma con una formula sintetica: Bigger, fewer and better, cioè meno film, ma di più alta qualità e più importanti, anche in termini di investimento.
Inoltre i concorrenti di Netflix possono contare su una maggiore flessibilità economica, garantita: nel caso di Disney, per esempio, dagli introiti dei botteghini dei cinema, dai parchi divertimento e da numerosi altri prodotti in vendita. Al contrario Netflix può fare affidamento solo sugli abbonamenti. L’azienda sta quindi cercando di adottare una gestione finanziaria più accorta: tra maggio e giugno ha licenziato 450 dipendenti, soprattutto negli uffici statunitensi, benché i ricavi siano aumentati, anche se molto al di sotto delle aspettative.
L’introduzione della pubblicità – compresa in un abbonamento più economico di quelli offerti attualmente – rientra in un più ampio piano di rinnovamento di Netflix. È un cambiamento notevole, perché l’assenza di qualsiasi forma di pubblicità era stata una delle ragioni del successo iniziale della piattaforma.
Questa scelta era «quasi prevedibile», spiega Genovese, secondo il quale Netflix, almeno nel breve periodo, potrebbe beneficiarne. Con un nuovo piano di abbonamento più conveniente potrebbe trattenere gli abbonati attuali, aumentando però il ricavo medio grazie alla pubblicità. Genovese fa l’esempio di Hulu, piattaforma streaming statunitense e di proprietà di Disney, il cui ricavo medio per utente è aumentato dopo l’introduzione della pubblicità.
Altri esperti sono meno ottimisti. Nat Schindler, analista di Bank of America, in un’intervista per CNBC, ha detto che gli utenti di Netflix potrebbero approfittare degli abbonamenti più convenienti per iscriversi anche ad altre piattaforme, favorendo queste ultime sul lungo periodo.
Questo e gli altri articoli della sezione Tra cultura e pandemia sono un progetto del workshop di giornalismo 2022 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.