Le trattative sul governo non sono davvero partite
E non è detto che partiranno: i partiti stanno discutendo internamente su cosa provare a fare nei prossimi giorni
A due giorni dalle dimissioni presentate dal presidente del Consiglio Mario Draghi e momentaneamente respinte dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, le trattative per ricompattare la maggioranza o formarne una nuova permettendo al governo di rimanere in carica non sono davvero partite. E non è detto che partiranno: i partiti stanno discutendo internamente di cosa vogliono fare e di quale sia la soluzione preferibile a questa crisi politica, ma l’impressione è che in diversi casi non ce l’abbiano chiaro.
Mancano quattro giorni a quando, mercoledì, Draghi passerà dalle camere, almeno dal Senato, per spiegare in un discorso la sua decisione. L’opinione degli analisti politici è che se per allora tutte le principali forze politiche gli chiederanno esplicitamente di rimanere in carica, lui possa cambiare idea e accettare; ma questa prospettiva al momento sembra lontana, visto lo stato del dibattito interno ai partiti: e i retroscena apparentemente più informati raccontano che se Draghi era già poco disposto a considerare questa possibilità, si sta convincendo sempre di più.
Il partito da cui è dipesa la crisi, il Movimento 5 Stelle, è anche quello da cui dipende molto di quanto succederà nei prossimi giorni. Il leader Giuseppe Conte sta provando a tenere insieme una parte di parlamentari convinti dell’uscita dalla maggioranza, quelli più radicali e che vogliono riportare il partito alle posizioni degli inizi, e quelli invece che non condividono le scelte di questi giorni, di cui fanno parte i ministri al governo come Federico D’Incà, ministro per i Rapporti con il Parlamento, descritto dalle cronache come molto agitato. Venerdì si è parlato della possibilità che il M5S ritirasse la delegazione al governo, ma per il momento sembra non succederà, principalmente perché i ministri non ne vogliono sapere.
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Il partito si riunirà ancora, ma la situazione è piuttosto caotica. Il capogruppo alla Camera Davide Crippa ha convocato un’assemblea senza il consenso di Conte, che non sembra l’abbia presa molto bene. Non sembra per ora che verrà proposto agli iscritti al partito un sondaggio online per decidere cosa fare, nel quale con ogni probabilità vincerebbe l’opzione di uscire dalla maggioranza. Un’ipotesi che circola è che, da qui a mercoledì, la parte dei parlamentari più governisti possano uscire dal M5S, forse per unirsi al gruppo nato dopo la scissione guidata dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio.
Il Partito Democratico nel frattempo è a sua volta in difficoltà. Le cronache dicono che tutti i dirigenti sono arrabbiati con Conte e il M5S, anche quelli più a favore dell’alleanza politica tra i due partiti (il “campo largo”, come viene chiamato). Il segretario Enrico Letta è descritto come intento a provare a riportare il M5S nella maggioranza, ma non sembra un tentativo con molte possibilità di successo: in questo momento sembra che l’unica alternativa presa in considerazione siano le elezioni anticipate, e non un eventuale governo con il centrodestra senza il M5S. «Gli italiani non vogliono questa crisi, tantomeno andare a votare. Il M5s mercoledì sia piuttosto della partita per il rilancio, altrimenti, in caso di chiamata alle urne, noi saremo pronti a lottare» ha detto sabato.
Il problema per il PD sarà decidere cosa fare eventualmente con l’alleanza con il M5S, alle elezioni politiche ma ancora prima a quelle regionali in Sicilia, per le quali sono previste primarie comuni il prossimo weekend.
Al centro c’è Matteo Renzi di Italia Viva che ha fatto una piuttosto insolita “petizione online” per chiedere che si continui con il governo Draghi, senza il M5S. È una possibilità che piace a Forza Italia, che l’ha già sostenuta, e forse perfino alla Lega: il segretario Matteo Salvini ieri ha ripetuto più volte che «faremo quello che serve al paese». La Lega è comunque un po’ combattuta: Salvini sembra disposto ad andare a votare ma non entusiasta, perché sa che Fratelli d’Italia diventerebbe probabilmente il principale partito della destra. Ci sono poi alcuni importanti dirigenti – tra cui i presidenti delle regioni del Nord – che avrebbero voluto preservare il governo Draghi. Ma i giornali descrivono una certa rassegnazione all’idea che sia finito.