Cosa significa “parlamentarizzare” la crisi
Succede quando si porta nelle aule parlamentari una crisi di governo che era nata fuori: quella in corso sta un po' a metà
Giovedì pomeriggio il presidente del Consiglio Mario Draghi si è dimesso in seguito a un voto di fiducia sul decreto legge Aiuti in Senato a cui il Movimento 5 Stelle aveva deciso di non partecipare. Il decreto è passato lo stesso, quindi formalmente la fiducia il governo l’ha ottenuta, ma Draghi è andato lo stesso al Quirinale per dimettersi ritenendo che con l’astensione del M5S il «patto di fiducia alla base dell’azione di governo» sarebbe venuto meno. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, però, ha respinto le dimissioni e in serata ha diffuso un comunicato in cui invitava Draghi «a presentarsi al Parlamento» per valutare la situazione: suggerendo quella che in gergo viene definita “parlamentarizzazione” della crisi.
In sostanza significa portare dentro le aule parlamentari una crisi di governo che era nata fuori, per esempio in seguito all’iniziativa dei ministri o di leader politici (o dello stesso presidente del Consiglio, come in questo caso). Nel caso di Draghi le cose stanno un po’ a metà, perché la crisi si è tecnicamente sviluppata in Parlamento col voto di fiducia sul decreto Aiuti, ma in realtà il governo non ha mai perso la maggioranza numerica: in questo senso, è stato Draghi che ha valutato fosse opportuno dimettersi, senza essere costretto.
Anche durante la crisi del precedente governo, il secondo di Giuseppe Conte, era avvenuta una “parlamentarizzazione”: la crisi era stata innescata da Matteo Renzi, leader di Italia Viva, che aveva ritirato la sua delegazione al governo, e Conte aveva deciso di portarla in Parlamento chiedendo un voto di fiducia. La ottenne con un margine troppo basso per continuare l’azione di governo e successivamente andò a dimettersi.
Le crisi di governo, in sintesi, possono essere parlamentari o extraparlamentari. Quelle parlamentari si verificano quando viene meno la maggioranza, quando cioè, voti alla mano, si certifica che il governo non ha più la maggioranza in una delle due camere. Questo può avvenire principalmente in due casi: quando il governo subisce una mozione di sfiducia o quando va in minoranza dopo aver posto la questione di fiducia su un provvedimento, o sul proprio operato.
Le crisi extraparlamentari invece non iniziano in seguito a un voto del Parlamento, ma vengono formalizzate con le dimissioni spontanee del presidente del Consiglio. Può succedere, per esempio, quando una coalizione di governo subisce una grossa sconfitta in un giro di elezioni e ritiene opportuno dimettersi, come nel caso del secondo governo di Massimo D’Alema dopo le regionali del 2000 o del governo Renzi dopo il referendum del 2016.
Il contenuto del comunicato del Quirinale è piuttosto vago e non è chiaro se mercoledì si terrà un voto di fiducia oppure no, che da prassi non è obbligatorio: dipenderà principalmente da cosa deciderà di fare Draghi, se cioè manterrà la decisione di dimettersi o se si farà convincere da quei partiti che hanno già proposto di provare a ricompattare la maggioranza che sostiene il governo, anche con il M5S. Secondo i politologi, comunque, in assenza di un voto la crisi sarebbe “parlamentarizzata” solo per metà.
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