Cosa succede ora al governo
Molto dipenderà da cosa vorrà fare Draghi, ma anche da come si muoveranno M5S e Lega: una breve guida per orientarsi
La crisi politica innescata dalla decisione del Movimento 5 Stelle di non votare la fiducia al governo sul cosiddetto decreto Aiuti ha portato giovedì alle dimissioni presentate dal presidente del Consiglio Mario Draghi al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Per conoscere i prossimi sviluppi della crisi bisognerà però attendere qualche giorno: Mattarella ha respinto le dimissioni di Draghi e lo ha invitato a parlare alle Camere per una «valutazione della situazione». Il discorso di Draghi avverrà mercoledì 20 luglio al Senato, dopo che tornerà da una visita di stato in Algeria, che è stata accorciata rispetto ai programmi originari e durerà un solo giorno, lunedì 18 luglio.
Da qui a mercoledì mancano cinque giorni, un periodo lunghissimo per i tempi della politica italiana. Saranno giorni di trattative, negoziati e pagine e pagine di retroscena politici sui giornali. Al momento è difficile prevedere come andranno a finire.
Molto dipenderà dalle decisioni di Draghi: se cioè alle Camere si limiterà a spiegare le ragioni delle sue dimissioni, senza alcun voto sul suo discorso, oppure se cercherà di ottenere un nuovo mandato politico chiedendo un voto di fiducia e presentando una specie di programma per gli ultimi mesi di governo prima della scadenza naturale della legislatura, prevista per i primi mesi del 2023. Diversi commentatori hanno notato che nei due colloqui che ha avuto con Mattarella, Draghi non ha usato la formula rituale delle dimissioni «irrevocabili», che non avrebbe lasciato alcuno spazio per ripensamenti e ricomposizioni.
I giornali però rimangono convinti che i margini perché Draghi resti presidente del Consiglio siano molto ridotti. Secondo Marzio Breda, rispettato cronista del Corriere della Sera ritenuto molto vicino a Mattarella, Draghi avrebbe detto a Mattarella di avere la «intima convinzione» che se rimanesse presidente del Consiglio il suo governo sarebbe paralizzato dalle minacce e dalle richieste pressanti di diversi partiti della coalizione, non solo del Movimento 5 Stelle, desiderosi di farsi notare e distinguersi dagli alleati di governo in vista delle elezioni politiche. «Non avrei più agibilità politica», avrebbe detto Draghi a Mattarella secondo la Stampa.
A sperare in un ripensamento di Draghi c’è soprattutto Mattarella. Breda riporta un presunto suo virgolettato, che in sostanza dice di capire le difficoltà e le ragioni ma lo invita a pensarci ancora, non essendo stato sfiduciato dal Parlamento. Addirittura, sempre secondo Breda, Mattarella avrebbe detto a Draghi di sperare che cambi idea.
Nel comunicato diffuso da Mattarella si legge che la «sede propria» per queste «valutazioni» di Draghi è il Parlamento: i cronisti politici ritengono che con questa indicazione Mattarella voglia anche invitare i partiti a dire chiaramente cosa intendono fare nel corso di un dibattito parlamentare.
Il Presidente #Mattarella ha ricevuto al #Quirinale il Presidente del Consiglio Mario #Draghi, il comunicato: pic.twitter.com/WGRQUnnOQL
— Quirinale (@Quirinale) July 14, 2022
Il partito che ha la linea più chiara è il Partito Democratico. Giovedì sera il segretario Enrico Letta ha twittato che la decisione di Mattarella di respingere le dimissioni di Draghi lascia «cinque giorni per lavorare affinché il Parlamento confermi la fiducia al governo Draghi». Il PD cercherà quindi di convincere gli alleati del Movimento 5 Stelle a votare una eventuale fiducia a Draghi. «Altre soluzioni non sono alle viste», scrive Repubblica: «i Democratici non starebbero in un esecutivo il cui asse fosse spostato a destra», cioè sostenuto soprattutto da Lega e Forza Italia, senza il M5S.
Il Movimento 5 Stelle invece sembra ancora molto incerto su come comportarsi. Fino a giovedì il presidente Giuseppe Conte e diversi parlamentari hanno cercato di distinguere la decisione di non votare la fiducia sul decreto Aiuti dal sostegno, più in generale, al governo Draghi. Nei giorni precedenti alla crisi l’obiettivo di Conte, non dichiarato ma piuttosto evidente, era quello di aumentare la pressione su Draghi con alcune richieste identitarie – su tutte il rinnovo del Superbonus edilizio e lo stralcio dal decreto Aiuti di una norma sul nuovo termovalorizzatore di Roma – in modo da far riguadagnare al M5S una qualche centralità nel dibattito politico. Conte, insomma, contava di poter trasformare il M5S in una forza di opposizione pur rimanendo dentro alla maggioranza, scommettendo sul fatto che Draghi non si sarebbe dimesso.
Dopo la decisione di non votare il decreto Aiuti, però, sembra che il clima dentro al Movimento stia cambiando. «Giuseppe Conte ha la tentazione di andare fino in fondo, cioè di mettersi davvero all’opposizione», scrive il Fatto Quotidiano, il giornale notoriamente più vicino al M5S. «Rispetto a ieri molti si sono sentiti liberati, e la base ci chiede di rompere», ha spiegato sempre al Fatto una fonte descritta come vicina a Conte. Secondo alcuni commentatori uscire dalla maggioranza e provocare di fatto la caduta del governo Draghi sarebbe uno dei pochi modi con cui il partito può sperare di riguadagnare consensi in vista delle prossime elezioni politiche, soprattutto fra lo zoccolo duro degli elettori più antisistema. Venerdì mattina era circolata la notizia che il M5S stava valutando di ritirare i propri ministri dal governo, notizia poi smentita da fonti vicine al partito.
Esiste ancora la possibilità che il M5S voti una eventuale fiducia a Draghi. «Il M5S si tiene aperta ogni strada», scrive ancora il Fatto Quotidiano, aggiungendo però che in cambio di un voto favorevole alla fiducia Conte vorrebbe «risposte» sul Superbonus, il reddito di cittadinanza e il salario minimo. E al momento sembra difficile che Draghi faccia ulteriori aperture al M5S dopo quelle dei giorni scorsi, che non sono servite a evitare la crisi politica.
Anche nel centrodestra circola una discreta incertezza. Nei giorni scorsi Forza Italia aveva auspicato la possibilità di andare a elezioni anticipate, ma più di recente è sembrata disposta a continuare a sostenere Draghi. Il segretario della Lega Matteo Salvini «è stretto tra la spinta di Berlusconi ad andare avanti con Draghi e la convinzione di Meloni nel chiedere le urne», ha sintetizzato efficacemente Stefano Cappellini su Repubblica. Ieri in un comunicato la Lega aveva parlato di elezioni, ma in una maniera meno perentoria rispetto a Fratelli d’Italia, il partito che certamente più di tutti vuole andare alle elezioni, visti i sondaggi che lo danno al primo posto.
Oggi Lega e Forza Italia hanno diffuso un comunicato stampa congiunto piuttosto interlocutorio, in cui dicono che «ascolteremo con rispetto e attenzione le considerazioni del Presidente Mario Draghi», «non avendo certamente timore del giudizio degli italiani».
Di nuovo, molto dipenderà da quello che deciderà di fare Mario Draghi. Se mercoledì accetterà di sottoporre il suo governo a un voto di fiducia, partiti come PD e Forza Italia potrebbero cercare di convincere rispettivamente il M5S e la Lega a continuare a sostenere il governo.
Se invece Draghi si limiterà a spiegare le sue motivazioni e a dimettersi, le opzioni più plausibili sembrano due: un voto anticipato fra fine settembre e inizio ottobre, in modo che il nuovo governo abbia il tempo di insediarsi e approvare la Legge di Bilancio, che potrebbe essere preparata per la maggior parte dal governo dimissionario; oppure la nascita di un governo tecnico che approvi la Legge di Bilancio e rimanga in carica per gli affari correnti fino a febbraio, alla scadenza della legislatura.
Il nome che circola come eventuale primo ministro di questo governo, scrive il cronista politico Francesco Verderami sul Corriere della Sera, è quello del ministro dell’Economia Daniele Franco. «I partiti fanno già i conti senza Draghi, perché Draghi — tranne improbabili colpi di scena — non c’è già più», osserva proprio Verderami.