Quando crollò il campanile di San Marco
La mattina del 14 luglio di centoventi anni fa Venezia si svegliò senza il suo “padrone di casa”
di Pietro Cabrio
Nel lungo processo che portò alla costruzione di quella che oggi è la città di Venezia fu fondamentale una scoperta fatta nel corso dei secoli dai primi abitanti del luogo. Questi infatti si accorsero che, piantando dei pali di legno nel fango emerso della laguna, l’assenza di ossigeno non solo li proteggeva dall’erosione, ma li pietrificava, rendendo possibile costruirci sopra.
Si dice che nelle fondamenta che sostengono la chiesa della Salute, costruita nel Seicento come voto per la liberazione della città dalla peste, ci siano all’incirca un milione di pali in legno. Molti di meno — qualche migliaio — sono invece quelli a sostegno del campanile di San Marco, che la mattina del 14 luglio 1902 crollò su sé stesso lasciando Venezia senza il suo “parón de casa” (il “padrone di casa”), come viene chiamato per la sua imponenza.
Di quel crollo si hanno soltanto alcune foto di piazza San Marco ricoperta di detriti, quasi fossero stati scaricati più o meno ordinatamente nello stesso punto, e poi quelle scattate in lontananza al profilo della città. Dopo quasi dieci secoli, Venezia aveva infatti perso la sua costruzione più caratteristica, che giusto poco prima di crollare aveva fatto in tempo a ispirare gli architetti che progettarono la MetLife Tower di New York, l’edificio più alto al mondo dal 1909 al 1913.
Il crollo fu un evento difficile da immaginare. Quel giorno a Venezia erano le nove di mattina passate, in piazza San Marco c’era poca gente e quelli che si trovavano lì erano stati fatti allontanare per gli evidenti segnali di cedimento, iniziati giorni prima. In pochi secondi oltre cento metri e più di un milione di pietre si sbriciolarono su sé stesse, un crollo tanto imponente e fragoroso quanto ordinato. Incredibilmente non ci furono vittime e i danni agli edifici circostanti furono tutto sommato contenuti: venne distrutta soltanto la loggetta che si trovava ai piedi del campanile e un angolo della Biblioteca Nazionale Marciana. Sarebbe però bastata una piccola inclinazione e un pezzo della Basilica di San Marco sarebbe andato distrutto, ma i detriti del campanile arrivarono soltanto a sfiorare il colonnato esterno.
Sul momento vennero accusati del crollo i responsabili della manutenzione, il custode che si era fatto costruire un cucinino all’interno e chi in precedenza aveva installato un montacarichi. Il comune, però, parlò fin da subito di «imprevedibilità dell’evento» e nella relazione finale pubblicata dieci anni dopo scrisse di «responsabilità larghe, commiste, collettive, che avevano riguardato parecchi decenni o meglio parecchie generazioni». La relazione proseguiva sostenendo che «il campanile era ormai da tempo in pericolo, e a questo avevano contribuito gli originari difetti statici, grevi aggiunte posteriori, squarci reiterati di fulmini, brecce imprudenti aperte per qualche pratica comodità e inserzioni di materiali non bene legati con il resto della muratura».
Era una delle costruzioni più vecchie della città. Nella sua forma primitiva viene fatta risalire all’epoca romana, mentre l’origine più recente della struttura che poi divenne campanile è compresa tra l’888 e il 1032. Servì da vedetta, da torre campanaria, da punto di avvistamento per i frequenti incendi in città e anche da punto di riferimento per la vita quotidiana, dato che scandiva il passare del tempo e riuniva sotto di sé le principali attività commerciali e anche amministrative di Venezia.
Nel corso dei secoli, di pari passo con l’arricchimento della città e i grandi investimenti che i suoi abitanti fecero per farla diventare ciò che è ora, il campanile di San Marco iniziò però a essere un problema sia architettonico che decorativo, essendo sempre un passo indietro rispetto all’evoluzione del resto della città e di aspetto più tozzo se paragonato agli edifici con cui condivideva la piazza: la sfarzosa basilica di San Marco e il raffinato Palazzo Ducale.
Fu quindi soggetto a numerosi interventi nel corso dei secoli, che accumulandosi iniziarono a costituire lentamente le ragioni del crollo del 1902. Dal Cinquecento in poi, inoltre, gli elementi in ferro applicati al campanile — soprattutto il pinnacolo — attirarono fulmini e nuovi danni. Il singolo evento dagli effetti più devastanti si verificò il 23 aprile del 1745, quando un intero angolo fu squarciato da un fulmine e la caduta delle macerie uccise quattro commercianti tra quelli che all’epoca avevano ancora le botteghe lì sotto.
Nell’Ottocento, dopo la caduta della Repubblica Serenissima e tutti gli eventi che continuarono a susseguirsi, la città passò il suo periodo più difficile e così i suoi edifici, che caddero nella trascuratezza fino a Novecento inoltrato. Si legge nella relazione dell’epoca: «L’inerzia poteva essere, se non pienamente giustificata, certo spiegata e incoraggiata dall’aspetto quotidiano delle cose circostanti. L’abitudine genera l’indifferenza, l’insensibilità, o almeno la persuasione che ciò che fu, ciò che è, continuerà naturalmente ad essere».
Le reazioni della città al crollo del suo simbolo, invece, ebbero presto conseguenze concrete. «Lo sfacelo del campanile di San Marco fu l’allarme che svegliò da quel torpore e distrusse per sempre l’illusione che lo aveva provocato» scrisse il comune, che la sera stessa del crollo si riunì d’emergenza e ne deliberò la ricostruzione immediata stanziando 500 mila lire dell’epoca. Ci furono poi discussioni su come sarebbe dovuto essere il campanile — non solo a Venezia — e arrivarono le opinioni più disparate: alcuni proposero anche di non ricostruirlo perché secondo loro piazza San Marco era più bella, spaziosa e armoniosa senza quel pesante intralcio verticale.
Il 25 aprile 1903 — nel giorno di San Marco — l’allora sindaco Filippo Grimani tenne il celebre discorso in occasione della posa della prima pietra nel quale pronunciò il famoso «dov’era e com’era», riferito alla ricostruzione, che divenne un motto per la città e tornò valido novant’anni dopo per la ricostruzione del Teatro La Fenice. Il nuovo campanile venne inaugurato il 25 aprile del 1912.
Se l’aspetto rimase grossomodo lo stesso, i metodi di costruzione furono ben diversi. Vennero usati materiali nuovi e nel complesso più leggeri, soprattutto nella cosiddetta “canna” del campanile, un tempo fatta perlopiù di pietre — cosa che le dava una colorazione irregolare — e poi ricostruita completamente in muratura. Vennero ampliate le fondamenta da 220 a 410 metri quadrati per distribuire il peso su una base più ampia, e ai vecchi pali piantati nel terreno ne vennero aggiunti 3mila, ciascuno dei quali lungo 4 metri. Lo spazio tra un palo e l’altro venne inoltre riempito con gettate di cemento e pietrisco.
A dimostrazione del peso della struttura e dell’inevitabilità del crollo dopo decenni di trascuratezza, anche oggi, dopo una ricostruzione il più possibile moderna e attenta alla stabilità della piazza, il campanile deve essere monitorato di frequente perché le fondamenta lagunari sono instabili per definizione, motivo per cui tanti dei campanili che si vedono a Venezia sono storti. Anche quello di San Marco è inclinato, ma di un’angolazione impercettibile ad occhio nudo.
La maggior parte dei detriti della vecchia costruzione vennero scaricati nel mare Adriatico. Negli ultimi anni alcune spedizioni hanno rintracciato e recuperato parte di quei materiali, ritenuti ancora utili per conoscere meglio la storia del campanile e anche quella della città. Inoltre, con le mareggiate stagionali, spesso alcuni di questi vecchi pezzi di muratura vengono ritrovati lungo le spiagge del Lido.
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