Una canzone di Beth Orton

E le etichette che mettono sui generi musicali

(Kevin Winter/Getty Images)
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I soliti Coldplay che fanno la solita Fix you , una settimana fa, in mezzo a un mare di lucine che cantano con loro.
(in tutto questo, vedo che venerdì saranno dieci anni dalla trasmissione di quella puntata di The newsroom )
Springsteen ha annunciato le date del tour americano del 2023 che precederà quello europeo con cui poi arriva in Italia: metti che non riuscite ad aspettare.
C’è una canzone nuova degli A-ha , nientemeno: non brutta , ma inutile, direi. Un po’ Coldplay in un giorno noioso.
Scusate, a volte mi capita quando finisco a fare la newsletter all’ultimo momento: ieri ho sbagliato il link alla canzone di Markéta Irglová, che non se lo meritava: è qui .

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Beth Orton

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La passione per le etichette e le categorie tipica del giornalismo musicale deriva da una necessità reale: ovvero dal fatto che – la solita battuta – “scrivere di musica è come ballare di architettura”, e non potendo rendere a parole come suonino una canzone o una band, si cerca di associarle a qualcosa di comprensibile, un “genere” in cui chi legge riconosca qualcosa di familiare. Il problema nasce – spesso – quando chi legge invece non sa capire cosa diavolo voglia dire quel nome di categoria (“la trap”, “il prog”???) e il linguaggio finisce per essere oscuro e gergale invece che chiarificatore.
Altre volte invece funziona, e le etichette si riferiscono a significati e suoni più immediatamente riconoscibili: è il caso di “folktronica”, che non è un termine che conoscono in molti, ma la sua natura è facilmente individuabile, e i generi originari a cui attinge sono piuttosto familiari. Il folk, un po’ lo sanno tutti cosa sia, e l’elettronica anche: e qualcuno a un certo punto ha coniato il genere “folktronica” per alcuni musicisti creativi che hanno provato a fare canzoni del primo genere con arrangiamenti del secondo, e non soltanto acustici come è nel folk. Per esempio, i Tunng, se ve li ricordate . O alcune cose dei Bon Iver .

O Beth Orton, che è una cantautrice inglese 52enne che avevo citato due mesi fa perché c’è una sua canzone nuova non male, e si aspetta il disco nuovo. Questa invece è del 2005, e vanno d’accordo in modo speciale la canzone cantautorale un po’ Suzanne Vega che parla di tormenti e di visioni del futuro tra il fatalista e il rassegnato, e il ritmo ballabile downtempo e allegro.
Some of the time the future
Comes right round to haunt me
Some of the time the future
Comes round just to see
That all is as it could be
Like it’s there to remind me
We’ve got to wait and see

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