Come siamo arrivati a questa possibile crisi di governo

Un riepilogo per chi era distratto, per capire perché il voto di giovedì al Senato è così importante

(ANSA/MASSIMO PERCOSSI)
(ANSA/MASSIMO PERCOSSI)
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Negli ultimi giorni le tensioni interne alla maggioranza che sostiene il governo di Mario Draghi sono progressivamente aumentate, e potrebbero culminare giovedì in una crisi durante la discussione del cosiddetto decreto legge Aiuti in Senato, che prevede un voto di fiducia: cioè, in sostanza, una verifica che in Senato la maggioranza dei parlamentari sostenga il governo. La crisi in realtà non dovrebbe essere parlamentare, cioè legata al venir meno della maggioranza numerica, bensì politica: ma ci arriviamo.

Molte di queste tensioni nei partiti che sostengono il governo Draghi ruotano intorno al Movimento 5 Stelle, che lunedì non ha partecipato al voto finale alla Camera sul decreto Aiuti e che ha annunciato di voler fare lo stesso giovedì, quando però sarà posta la questione di fiducia. Diverse componenti del partito spingono infatti perché il suo presidente, Giuseppe Conte, faccia uscire il partito dalla maggioranza. Il presidente del Consiglio Mario Draghi e diverse altre forze di maggioranza hanno detto esplicitamente al Movimento 5 Stelle che nel caso non votasse la fiducia giovedì il governo cadrebbe, e si andrebbe a elezioni anticipate.

È un’ipotesi che sulla carta al Movimento 5 Stelle non andrebbe troppo bene, dati i consensi molto bassi a cui viene accreditato dai sondaggi, e infatti si ipotizza anche che Conte possa proporre una qualche soluzione creativa per non votare la fiducia giovedì, accordandola però in un secondo momento, in modo da dare un qualche tipo di segnale ai propri elettori senza far cascare tutto. Non sembra però per il momento che Draghi voglia seguire questo percorso, preferendo invece dimettersi dopo il voto di giovedì.

Draghi è un presidente del Consiglio piuttosto popolare, e Conte e il M5S dovrebbero assumersi la responsabilità politica di averlo di fatto rimosso dal suo incarico. È proprio a questa responsabilità che nei giorni scorsi hanno cercato di appellarsi gli altri leader politici, come Enrico Letta del Partito Democratico, che hanno ribadito che il governo attuale esiste in quanto governo di unità nazionale, e che se dovesse venire meno un pezzo importante del suo sostegno parlamentare, con l’uscita del M5S dalla maggioranza, finirebbe il suo scopo. Questo anche se, in teoria, il governo potrebbe rimanere in carica anche senza i voti del M5S, perché avrebbe comunque la maggioranza alle Camere.

Il Movimento 5 Stelle ha avuto una legislatura molto movimentata, in cui ha governato ininterrottamente con tre diversi governi ma al contempo ha perso circa la metà dei suoi parlamentari per via di dissidi interni e idee diverse fra le varie fazioni sulla direzione che dovrebbe prendere il partito. L’ultima scissione rilevante è avvenuta a fine giugno, quando il ministro degli Esteri ed ex capo politico del Movimento Luigi Di Maio è uscito dal partito in dissenso con la linea di Conte (con cui aveva sostanzialmente perso la battaglia politica per la leadership del partito).

Dopo la scissione interna al M5S seguita all’uscita del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, avvenuta peraltro dopo un risultato molto deludente alle elezioni amministrative di giugno, le tensioni tra Conte e Draghi erano aumentate per via delle dichiarazioni del sociologo Domenico De Masi, considerato vicino a Conte, secondo cui Draghi avrebbe chiesto al fondatore del M5S Beppe Grillo di rimuovere Conte da leader. Queste accuse erano state estesamente smentite, ma avevano creato qualche sommovimento nella maggioranza.

Conte ha cercato quindi di far riguadagnare una qualche centralità al Movimento avanzando al governo Draghi una serie di proposte politiche vagamente identitarie del partito: su tutte il rinnovo del Superbonus edilizio, un rafforzamento del reddito di cittadinanza, lo stralcio dal decreto Aiuti di una norma che consentirebbe la costruzione di un termovalorizzatore per rifiuti a Roma (a cui il M5S si oppone molto duramente). La settimana scorsa Conte aveva parlato con Draghi e subito dopo aveva definito le proposte del Movimento come delle «urgenze che non richiedono una pronta risposta». La crisi, insomma, sembrava tutto sommato rientrata.

Nell’ultima settimana però sembra siano aumentate le pressioni su Giuseppe Conte perché decida di far uscire il Movimento dalla maggioranza: sui giornali sono uscite sempre più interviste di deputati e senatori del Movimento critiche contro Draghi, mentre quasi quotidianamente i sondaggi registrano cali di consenso per il partito. Sembra che sempre più persone intorno a Conte, insomma, si siano convinte che l’unico modo per riguadagnare qualche consenso perduto è proprio quello di assumersi la responsabilità di avere fatto cadere il governo Draghi. Il Partito Democratico ha avvertito il M5S che in caso di uscita dalla maggioranza una eventuale alleanza alle prossime elezioni politiche sarebbe a rischio: ma non è chiaro quanto pesi una minaccia del genere all’interno del Movimento.

A un pezzo del centrodestra inoltre non dispiacerebbe andare un eventuale voto anticipato. Fratelli d’Italia, che sta all’opposizione, viene dato da tutti i sondaggi come il partito più popolare e vorrebbe capitalizzare il prima possibile questi consensi. Matteo Salvini ha vissuto il periodo più fortunato della sua carriera politica nella lunga campagna elettorale prima delle ultime elezioni politiche, quelle del 2018, e potrebbe tentare di riguadagnare consensi più o meno con le stesse modalità di allora, insistendo sulla percezione di insicurezza e sulla traballante situazione economica.

Nel frattempo Draghi ha provato a disinnescare la crisi lunedì, quando durante una conferenza stampa al termine di un incontro coi sindacati ha spiegato che alcune proposte che il governo sta studiando contro l’aumento del costo della vita sono simili a quelle avanzate dal Movimento. Ma sembra che Conte e il Movimento 5 Stelle non abbiano considerato sufficiente l’apertura di Draghi, e che si aspettassero risposte e impegni maggiori da parte del presidente del Consiglio.

Le prossime settimane saranno poi verosimilmente le ultime in cui sarà possibile provocare una crisi che comporti un voto anticipato in autunno. Ad agosto l’attività parlamentare rallenta e poi viene sospesa per le ferie, anche se nel 2019 il primo governo Conte cadde nei giorni immediatamente precedenti a ferragosto, con una tempistica piuttosto inconsueta. Se il governo cadesse a settembre, fra tempi tecnici e la necessità di approvare una legge di bilancio, per quanto schematica, probabilmente non si riuscirebbe a votare prima del 2023.