Perché euro e dollaro hanno raggiunto la parità
Per la prima volta in vent'anni: è un segnale di pessimismo verso l'economia europea, ma le conseguenze sono difficili da valutare
Per la prima volta dal 2002, questa settimana l’euro e il dollaro hanno raggiunto la parità, ponendo fine a un lungo periodo in cui l’euro era sempre stato la moneta più forte: il picco era stato nel 2008, quando un euro valeva 1,6 dollari, ma ancora all’inizio di quest’anno un euro valeva 1,15 dollari circa. Attualmente, invece, le due valute hanno raggiunto la parità.
La parità di euro e dollaro dipende da vari fattori, a partire da come le banche centrali hanno reagito all’aumento dell’inflazione, da eventi esterni come la guerra in Ucraina e dalle prospettive delle economie di Stati Uniti e zona euro.
In generale, il rafforzamento del dollaro e l’indebolimento dell’euro è stato interpretato come un segnale di pessimismo per l’economia dell’Unione Europea, e di relativa fiducia nei confronti di quella americana. Ma gli effetti di una valuta più debole su un’economia sono complessi da valutare, soprattutto nella zona euro, dove la valuta è la stessa ma le caratteristiche delle economie dei singoli paesi europei sono assai diverse: alcuni paesi molto votati alle esportazioni potrebbero beneficiare di una valuta debole, perché i prezzi dei beni che vendono diventano più convenienti all’estero, e questo fornisce un vantaggio competitivo.
Ma un dollaro forte è anche un problema per l’Europa e per gli altri partner commerciali degli Stati Uniti, soprattutto perché il dollaro è la valuta con cui si commercia in varie materie prime e fonti d’energia, a partire dal petrolio: semplificando molto, più il dollaro è forte e più per gli europei il petrolio è costoso. Già adesso, l’aumento del costo dell’energia è la causa principale dell’aumento dell’inflazione, e questo potrebbe portare a ulteriori problemi.
La ragione principale della parità tra euro e dollaro dipende soprattutto dal rafforzamento di quest’ultimo: negli ultimi mesi, il dollaro è diventato sui mercati internazionali la principale valuta rifugio, cioè la valuta su cui è considerato preferibile investire in periodi di difficoltà e incertezze finanziarie perché la si considera più stabile e solida rispetto alle altre. Oltre all’euro, anche la sterlina britannica e lo yen giapponese hanno perso molto valore rispetto al dollaro.
Per anni, in alcuni contesti una valuta rifugio in casi di incertezze nell’economia mondiale era stato l’euro, ma le cose sono cambiate per varie ragioni. Anzitutto la banca centrale statunitense, la FED, si è dimostrata più reattiva nell’alzare i tassi d’interesse per cercare di contrastare l’inflazione: li ha già alzati tre volte nel corso di quest’anno e intende farlo almeno altre quattro in futuro. Questo è stato un segnale per gli investitori che la FED è molto decisa nel contrastare l’inflazione e nel sostenere l’economia e la valuta americane.
Al contrario, e per varie ragioni, la Banca centrale europea (BCE) è stata più timida: ha annunciato più tardi che avrebbe alzato i tassi d’interesse, e ancora non ha cominciato a farlo davvero. Non è necessariamente una strategia peggiore di quella della FED, ma lo è stata per gli investitori, che sono interessati soprattutto a trovare la valuta rifugio con più possibilità di rimanere stabile e mantenere il suo valore.
La guerra in Ucraina, inoltre, con le sue grosse conseguenze economiche soprattutto in campo energetico, ha reso più probabile una recessione economica in Europa: gli investitori vedono le economie europea e britannica come più deboli rispetto a quella americana, e hanno scommesso sulla possibilità che negli Stati Uniti non finiscano in recessione, o ne siano meno danneggiati.
Gli analisti ritengono comunque che la parità tra euro e dollaro sia un momento notevole ma non sia un evento economico epocale: queste fluttuazioni esistono da sempre, ed è troppo presto per dire se costituiscano un trend che è destinato a durare. Il Wall Street Journal ha fatto notare anzi che sul medio periodo è interesse degli Stati Uniti riabbassare il valore della propria valuta, perché un dollaro troppo forte potrebbe creare problemi alle esportazioni americane e danneggiare troppo le economie dei paesi alleati.
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