In Lomellina la siccità costringe a ripensare le risaie
Nei campi in provincia di Pavia vengono mantenute asciutte per gran parte del tempo, ma se l’acqua è poca è controproducente
di Isaia Invernizzi
Il fosso accanto alla risaia di Alberto Fusar Imperatore è quasi vuoto. Da un rigagnolo emergono i sassi coperti da uno strato di alghe verdi, ai bordi i cespugli sono gialli, le zolle di terra secche e rigate. La poca acqua che passa attraverso la chiusa, il sistema idraulico che regola le fasi dell’irrigazione, allaga la risaia soltanto per una ventina di metri quadrati, in un periodo in cui tutto il campo dovrebbe essere sommerso.
Come gli agricoltori dei terreni vicini, qui in Lomellina, Fusar Imperatore non sa ancora quanto riso raccoglierà tra settembre e ottobre, ma sa già che sarà meno di quanto vorrebbe. «Per come stanno le cose oggi, prevedo perdite tra il 30 e il 100 per cento. Se va male, non raccoglierò niente», dice con un certo fatalismo. Senz’acqua non è possibile coltivare. Nel Nord Italia ce n’è sempre stata in abbondanza, un vantaggio che si è gradualmente ridotto negli ultimi anni: ora che la siccità è diventato un problema enorme, con conseguenze molto evidenti e gravi per gli agricoltori, in molti chiedono di gestirla meglio di come sia stato fatto finora.
Ottobiano è un piccolo comune in Lomellina, un territorio nella zona occidentale della provincia di Pavia. Si trova all’incrocio di due strade provinciali, la 16 e la 183: a poche centinaia di metri dalla piazza principale del paese, in qualsiasi direzione, ci sono campi coltivati a riso. Fusar Imperatore ne possiede 230 pertiche milanesi, per usare l’unità di misura adottata in zona: poco più di 150mila metri quadrati. In primavera le sue risaie non vengono allagate come nelle zone più a Nord, nel Novarese e nel Vercellese. In Lomellina, infatti, quasi tutti gli agricoltori coltivano il riso con la semina chiamata “in asciutta”, mentre a Nord è ancora diffusa la tecnica tradizionale a sommersione che in aprile trasforma il paesaggio: l’acqua nelle risaie si riflette nel cielo e crea un effetto visivo conosciuto come “mare a quadretti”.
Si potrebbe pensare che l’utilizzo di tutta quell’acqua sia eccessivo, per certi versi uno spreco. In realtà le risaie fanno parte di un vasto e complesso sistema idrico che parte dal lago Maggiore e arriva fino al fiume Po. Negli ultimi due decenni, anche per via delle nuove tecniche di semina come l’asciutta, solo all’apparenza più parsimonioso nella gestione dell’acqua, si è alterato l’equilibrio che era stato creato in due secoli di sviluppo risicolo.
Oggi il flusso di acqua immesso nei canali, nei fossi, trattenuto dalle dighe e dalle chiuse, ricevuto dai fontanili e infine dai fiumi è molto diverso rispetto al passato. Quando l’acqua c’è, i problemi non si vedono. Con la siccità di quest’anno, invece, le ripercussioni interessano non soltanto le risaie, ma tutta l’agricoltura di una parte significativa della pianura Padana.
Fino alla fine degli anni Novanta Fusar Imperatore era un fotogiornalista come suo padre Evaristo, che oggi ha 88 anni e dagli anni Cinquanta in poi realizzò decine di copertine per settimanali come l’Europeo e la Domenica del Corriere. Alberto ha ancora la passione per la fotografia, ma il suo lavoro ora è coltivare riso biologico, senza l’utilizzo di diserbanti chimici. È la prima settimana di luglio e il vento inganna: fa un gran caldo, non piove da troppo tempo. Nei suoi campi, tra una fila e l’altra di piantine, si nota la terra spaccata dalla siccità. «Negli anni finora considerati molto siccitosi, come il 2003, erano stati imposti turni di irrigazione ogni quindici o al massimo venti giorni», dice. «Qui ci sono zone che non vedono acqua da due mesi. Vuol dire perdere i raccolti».
Oltre a limitare la crescita del riso, la mancanza di acqua causa la crescita di erbe infestanti come l’Abutilon theophrasti, una pianta della famiglia delle Malvacee, da queste parti conosciuto come “cenciomolle”. L’acqua, scaldata dal sole, lo farebbe marcire. Fusar Imperatore fa qualche passo in una delle risaie in cattive condizioni, proprio accanto alla sua azienda, si china e ne strappa un esemplare. Ogni pianta ha diverse infiorescenze che producono fino a tremila semi. Se non viene rimossa dai campi, il fusto cresce in diametro fino a rendere complicato il passaggio della mietitrebbia. Può moltiplicarsi per due o tre anni. È soltanto uno dei tanti problemi causati dalla siccità.
Anche Fusar Imperatore, come quasi tutti i coltivatori di riso della Lomellina (oltre il 90%), semina in asciutta. È una tecnica che si è diffusa soprattutto negli ultimi 20 anni. Dopo la concimazione, l’erpicatura, cioè lo sminuzzamento del suolo in zolle, e il livellamento della risaia, il seme del riso viene interrato in lunghi filari con il terreno asciutto. Con la semina a sommersione, la tecnica tradizionale, la risaia viene prima allagata fino a un’altezza di 5 centimetri e solo a quel punto il riso viene seminato.
Semina in asciutta non significa coltivazione in asciutta: la sommersione che avviene normalmente in primavera, viene sostituita da irrigazioni più frequenti a partire da maggio. Le rese sono molto buone, dice Fusar Imperatore, e ci sono diversi vantaggi rispetto alla semina in sommersione: servono meno macchine agricole e meno manodopera, quindi meno investimenti. Inoltre i trasferimenti da un campo all’altro sono più veloci perché i mezzi non devono muoversi con ruote dentate di metallo costruite appositamente per passare in un terreno allagato. Lui, essendo da solo, non ha molte alternative.
È piuttosto spontaneo pensare che irrigare le risaie in ritardo rispetto al solito, senza sommergerle, consenta di gestire meglio l’acqua e di consumarne meno, ma in realtà non è così. Le risaie italiane, quando sono allagate, sono infatti come una grande spugna che trattiene l’acqua e la rilascia pian piano nell’enorme falda freatica sottostante.
L’acqua penetra nel terreno permeabile, attraversa i diversi strati e si arresta sul fondo impermeabile della falda. Scorre verso valle e viene ripresa nei canali e nei pozzi, riutilizzata più volte da monte a valle, fino alla restituzione finale nel fiume Po. «La falda freatica è il più grande serbatoio regolato d’Europa e contiene circa un miliardo di metri cubi di acqua», spiega Alberto Lasagna, direttore di Confagricoltura Pavia. «L’acqua nelle risaie tra Vercelli, Novara, Pavia e Milano non è persa o sprecata, al contrario, serve a mantenere un equilibrio essenziale che oggi invece è alterato dalla siccità e dalla scarsa programmazione».
Lasagna in passato era stato, per diversi anni, direttore del consorzio Est Sesia, l’ente che gestisce l’acqua in un territorio di circa 300mila ettari diviso in 254 comuni e cinque province: Novara, Vercelli, Pavia, Alessandria e Verbano Cusio Ossola. Ogni sera, da due anni, va al pozzo di casa sua, a Sartirana Lomellina, e misura l’altezza della falda. Ha installato alcuni sensori, ma non si fida totalmente: preferisce controllare lui stesso con un galleggiante. I risultati vengono annotati giorno per giorno e inviati ogni due settimane nella newsletter dell’associazione.
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Grazie a un sistema di punteggi – 5 punti per il livello della neve, 5 per i laghi e altri 5 per l’altezza della falda – Lasagna ha creato un meccanismo di allerta semplice e piuttosto efficace per mettere in guardia gli agricoltori dalla siccità. A febbraio aveva già raggiunto 13 punti su 15. Nelle ultime settimane non è mai sceso sotto i 15. «Probabilmente i danni ci sarebbero stati comunque, in questa situazione», dice. «Però con una maggiore consapevolezza dei problemi e decisioni più tempestive avremmo potuto gestire diversamente l’emergenza per arrivare più preparati all’estate».
La programmazione si può distinguere in interventi nel breve e nel lungo periodo. Nel breve periodo serve osservare costantemente i dati dell’accumulo di neve e delle precipitazioni per capire se è necessario conservare o rilasciare l’acqua dai laghi artificiali alpini o dal lago Maggiore, a seconda delle necessità.
Nelle ultime due settimane Confagricoltura Pavia ha chiesto più volte di bilanciare la distribuzione della poca acqua all’interno del consorzio Est Sesia privilegiando i territori a valle, come la Lomellina, oggi più in difficoltà, e di rilasciare più acqua dal lago Maggiore. La richiesta era stata pensata per «attenuare gli effetti delle perdite distribuite in logica solidaristica e consortile». Confagricoltura Novara, però, si è schierata contro l’interruzione momentanea delle forniture nel suo territorio. «La chiusura totale arrecherebbe ulteriori gravissimi danni alla produzione interrompendo la disponibilità di acqua nel delicatissimo periodo di fioritura e botticella», ha detto il presidente della sezione novarese, Giovanni Chiò, in un confronto che alcuni giornali hanno chiamato “la guerra dell’acqua” tra Novarese e Lomellina.
Intervenire in momenti critici è sempre complicato. Per essere più preparati servirebbero misure di lungo periodo, in particolare con una migliore gestione delle risaie per garantire più equilibrio tra gli ettari seminati con le diverse tecniche. La semina in asciutta, infatti, ritarda le irrigazioni e fa accumulare l’acqua nella falda più tardi rispetto al solito. L’acqua viene rilasciata in un periodo in cui ne serve in abbondanza anche per la coltivazione del mais, creando una sorta di competizione.
Più agricoltori scelgono di seminare in asciutta e meno acqua può essere riutilizzata in tempo utile perché manca l’effetto spugna delle risaie: l’acqua va molto più velocemente nel Po verso il mare Adriatico, senza riempire la falda. Con la grave siccità di quest’anno un maggiore ricorso alla semina in sommersione non avrebbe risolto tutti i problemi, ma le conseguenze della mancanza di acqua sarebbero state meno pesanti.
«La diffusione delle tecniche è cambiata, il territorio no», spiega Paolo Carrà, presidente dell’Ente Nazionale Risi, che si occupa della tutela del settore risicolo. «Servirebbe un maggiore equilibrio tra la tecnica della semina in asciutta e a sommersione per bilanciare l’attuale sproporzione. Il meccanismo si è interrotto». Un’altra possibile soluzione consiste nel sommergere il terreno anche in inverno per avere più acqua a disposizione in primavera, ma questo sistema comporta più lavoro nei mesi meno impegnativi per gli agricoltori.
Già dallo scorso anno il Parco del Ticino, un ente che tutela un territorio di quasi 100mila ettari dove lavorano 1.250 aziende agricole, ha finanziato in collaborazione con la fondazione Cariplo alcuni incentivi economici per spingere gli agricoltori della Lomellina a scegliere la semina a sommersione invece che l’asciutta.
Nel 2022, nonostante il sostegno economico della fondazione Cariplo sia venuto meno, il Parco ha confermato gli incentivi che probabilmente continueranno anche nel 2023. «Sono state individuate circa dieci aziende a cui è stato dato un contributo per coprire i maggiori costi dovuti alla semina a sommersione», dice Silvia Bernini, consigliera del Parco del Ticino con delega all’Agricoltura. Lei stessa ha un’azienda agricola a Mezzanino, vicino al ponte della Becca, sul Po, in provincia di Pavia, e conosce bene le difficoltà dei suoi colleghi.
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Negli ultimi due anni ha incontrato quasi tutti gli agricoltori che lavorano nel territorio del parco del Ticino e di questi tempi il suo telefono squilla spesso perché lei è il punto di riferimento per diverse questioni, dalla siccità alla diffusione dei cinghiali che causano molti danni alle coltivazioni. «Usare l’acqua in primavera e non disperderla verso il Po è molto importante per conservarla in vista delle coltivazioni estive e in questo modo combattere i cambiamenti climatici. Il Parco del Ticino da tempo prova a incentivare la tecnica a sommersione in territori dove ormai è prevalente la semina in asciutta, come la Lomellina. I risultati del progetto sono molto incoraggianti: gli agricoltori che hanno aderito hanno usato meno acqua e in generale hanno avuto problemi di gestione minori rispetto al passato».
Tra le altre cose, il Parco ha chiesto alla Regione Lombardia di prevedere un incentivo stabile nel PSR, il piano di sviluppo rurale che regolerà lo sviluppo dell’agricoltura lombarda dal 2023 al 2027. La Regione ha previsto un investimento complessivo di 150 milioni di euro distribuiti nei diversi settori agricoli. Gli incentivi introdotti dal Parco del Ticino e forse in futuro anche dalla Regione dimostrano la frammentarietà delle decisioni che riguardano l’agricoltura e la gestione dell’acqua. Il territorio è diviso in consorzi di bonifica, parchi, autorità di bacino, province, regioni e ministeri, ognuno con diverse competenze e responsabilità.
Secondo gli agricoltori e le associazioni che li rappresentano le decisioni dovrebbero essere prese con più velocità nel breve periodo e un maggiore coordinamento tra i diversi territori nel lungo. «Lo schiaffone che abbiamo ricevuto quest’anno può anche fare bene», dice Lasagna. «L’importante è rendersi conto che non si può andare avanti così perché altrimenti l’anno prossimo sarà peggiore. Il sistema deve essere ripensato tenendo conto della complessità dell’intero bacino idrografico padano, con una migliore osservazione dei dati, decisioni più veloci e programmazione più efficace e condivisa in vista del futuro, che sarà difficile».