La famiglia che controllava lo Sri Lanka
I Rajapaksa hanno dominato la politica e il governo del paese per vent'anni, con populismo e politiche economiche scriteriate
Le proteste contro il governo e la crisi economica in Sri Lanka, che nel fine settimana hanno portato a enormi manifestazioni, all’invasione dei palazzi governativi e all’annuncio delle dimissioni di presidente e primo ministro, sono soprattutto proteste contro la famiglia Rajapaksa, che da circa vent’anni domina la politica dell’isola di 22 milioni di abitanti al largo del subcontinente indiano.
I Rajapaksa, i cui esponenti fino a pochi mesi fa detenevano le cariche di presidente e primo ministro, oltre che vari ministeri e ruoli nell’esercito, sono considerati i responsabili della grave crisi economica che sta colpendo lo Sri Lanka, dove lo stato è di fatto in bancarotta e dove la carenza di generi di prima necessità, alimentari, carburante e medicinali sta provocando un disastro economico e umanitario, con milioni di persone che rischiano la povertà e la fame.
I Rajapaksa sono una dinastia politica di lunghissimo corso: il padre e lo zio dell’attuale capo della famiglia erano stati politici di alto rilievo nella metà del Novecento. Ma la famiglia acquisì davvero il potere a partire dal 2005, quando Mahinda Rajapaksa fu eletto presidente, e nominò altri esponenti della famiglia in incarichi di governo, tra cui il fratello minore Gotabaya come ministro della Difesa.
Tra il 2005 e il 2015, i Rajapaksa avviarono un’ampia serie di iniziative economiche per trasformare lo Sri Lanka in una “seconda Singapore”, come si diceva al tempo: cioè in un importante centro economico e finanziario, ricco e sviluppato. Lo fecero tuttavia costruendo enormi progetti infrastrutturali, spesso poco utili, e creando un gigantesco debito pubblico. Da decenni l’economia dell’isola è stata sbilanciata, con il paese che importava più di quanto esportasse e il governo che finanziava un avanzato sistema di welfare accumulando grandi debiti internazionali. Ma i Rajapaksa peggiorarono tutte queste dinamiche.
Nel 2009, il governo dello Sri Lanka pose fine a una lunghissima guerra civile, durata 26 anni, contro i separatisti di etnia tamil, e in particolare il gruppo noto come Tigri Tamil. Nelle sue fasi finali, la guerra fu eccezionalmente dispendiosa e soprattutto sanguinosa: secondo varie organizzazioni per i diritti umani l’esercito srilankese compì crimini di guerra, e le accuse toccarono anche l’allora ministro della Difesa Gotabaya Rajapaksa.
Vari scandali, legati ai crimini di guerra e alla corruzione del governo dei Rajapaksa, portarono alla caduta della presidenza di Mahinda, che fu sostituito da una persona non appartenente alla famiglia, Maithripala Sirisena. Il nuovo governo, che rimase in carica tra il 2015 e il 2019, fu tuttavia impopolare e fallimentare. Sirisena cercò di ridurre l’enorme debito creato dai Rajapaksa, e ci riuscì in buona parte, ma lo fece mettendo in atto misure di austerity molto sgradite tra la popolazione. Intanto, il giorno di Pasqua del 2019 lo Sri Lanka fu colpito da una serie di attentati del gruppo terroristico dello Stato Islamico, che provocarono la morte di oltre 250 persone.
Il governo di Sirisena fu accusato, a ragione, di aver sottovalutato la minaccia e di non aver fatto niente per limitare la corruzione e l’inefficienza diffuse tra le forze di sicurezza, che consentì ai terroristi di colpire quasi indisturbati.
Nel frattempo, i Rajapaksa avevano preparato per anni il loro ritorno al potere: la figura principale della famiglia divenne Gotabaya, un austero militare, che seppe presentarsi come un politico forte e deciso che avrebbe riportato il paese alla sicurezza e alla prosperità di un tempo.
Alle elezioni del novembre 2019 Gotabaya Rajapaksa ottenne il 52 per cento dei voti, con un’affluenza dell’84 per cento, e grazie ad alcune alleanze con partiti minori riuscì a ottenere i due terzi dei seggi del parlamento srilankese, necessari per modificare la costituzione. A quel punto, la famiglia Rajapaksa occupò di fatto il governo dello Sri Lanka.
Mahinda, che non poteva correre di nuovo per la presidenza perché la costituzione glielo impediva, fu fatto primo ministro. Un altro fratello, Basil, divenne ministro dell’Economia (per ammetterlo al governo fu fatto un emendamento costituzionale, perché Basil ha doppia cittadinanza statunitense-srilankese). Un altro fratello ancora, Chamal, fu fatto ministro dell’Irrigazione. Il figlio di Chamal, Shasheendra, fu fatto ministro «delle risaie e dei cereali, del cibo biologico, delle verdure, della frutta, dei peperoncini, delle cipolle e delle patate, della produzione dei semi e dell’agricoltura ad alta tecnologia». Un figlio di Mahinda, Namal, fu fatto ministro dello Sport, mentre un altro ancora divenne capo di gabinetto del padre.
Ottenuto un potere eccezionalmente solido, i Rajapaksa tornarono alle politiche di debito e ai grandi progetti, attuando tra le altre cose alcune misure economiche scriteriate: un grosso taglio delle tasse nel 2019, subito prima dell’inizio della pandemia da coronavirus, e un divieto totale di utilizzo dei fertilizzanti chimici nei campi agricoli, che di fatto rovinò i raccolti e diede inizio alla grave crisi alimentare del paese.
Negli ultimi anni il debito pubblico dello Sri Lanka ha continuato ad aumentare, fino a diventare insostenibile. Il governo tentò di trovare fondi all’estero, ma senza successo: due grandi paesi tradizionalmente creditori dello Sri Lanka, come Cina e India, si mostrarono più restii a prestare denaro al paese, e imposero condizioni estremamente dure per ripagare il prestito. I Rajapaksa considerarono la possibilità di chiedere l’aiuto al Fondo monetario internazionale, ma la scartarono perché avrebbe comportato l’obbligo di fare riforme economiche impopolari.
Dapprima la crisi provocata dalla pandemia e poi quella più recente provocata dalla guerra in Ucraina hanno peggiorato definitivamente le cose.
All’inizio del 2022, le riserve monetarie del paese erano praticamente a zero, e il suo debito estero ammontava a 51 miliardi di dollari, di cui quasi sette da pagare entro l’anno. Senza valuta straniera e con un’inflazione altissima, lo Sri Lanka è di fatto andato in bancarotta, e ha perso i mezzi per approvvigionarsi di risorse anche basilari, come le derrate alimentari. Nel paese, attualmente scarseggiano i generi di prima necessità, il carburante e le medicine, e i prezzi sono aumentati a tal punto che il costo della vita è diventato insostenibile per ampie fasce della popolazione.
A partire dall’inizio dell’anno sono cominciate le proteste da parte della popolazione, che si sono ingrossate e sono diventate più violente con il passare dei mesi e con il peggiorare della crisi economica.
La crisi è avvenuta in un contesto di dissidi e litigi all’interno della famiglia Rajapaksa, che hanno via via alimentato le proteste pubbliche: per cercare di placarle, ad aprile il presidente Gotabaya aveva chiesto a tutti i membri della famiglia di dimettersi, con l’eccezione del primo ministro Mahinda. A maggio, poi, anche Mahinda si era dimesso, a seguito di ulteriori proteste. Nessuna di queste mosse tuttavia è riuscita a placare i manifestanti: dopo l’invasione del palazzo presidenziale, anche Gotabaya ha annunciato che si dimetterà.
Non tutti sono convinti che lascerà davvero il suo incarico. La costituzione dello Sri Lanka prevede che in caso di dimissioni sia del presidente sia del primo ministro l’incarico di presidente sia assegnato per un mese al presidente del Parlamento. Al momento però questa persona, Mahinda Yapa Abeywardena, non ha ancora assunto il ruolo di presidente e non è nemmeno chiaro se lo farà, dato che è molto vicino al presidente in carica Gotabaya Rajapaksa.
L’opposizione ha genericamente parlato della necessità di formare un governo di unità nazionale, ma senza conseguenze concrete. Attualmente non si sa dove siano né Gotabaya né Mahinda Rajapaksa: secondo alcuni srilankesi potrebbero trovarsi su una nave della Marina, in attesa che la situazione si calmi (e pronti a lasciare il paese se peggiorerà).
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