Il progetto per riqualificare l’ex parco olimpico di Londra non è andato come doveva
Era basato sull'inclusione sociale, ha raccontato il Guardian, ma i sindaci che si sono succeduti sono andati in ordine sparso
Con la costruzione del parco olimpico per i Giochi di Londra 2012, l’amministrazione locale della capitale britannica puntava a riqualificare un’ampia area nella parte orientale della città, con l’idea che dopo la fine della manifestazione sarebbe diventata un modello di inclusione sociale. I piani di riqualificazione però hanno incontrato una lunga serie di modifiche e intoppi, e dieci anni dopo la conclusione delle Olimpiadi le promesse sono state disattese, con grosse perdite di denaro pubblico e parecchi disagi per i residenti.
Secondo un’approfondita inchiesta del Guardian, c’entrano progetti probabilmente troppo ambiziosi, ma anche i cambi di visione dei sindaci che si sono succeduti negli anni, compreso l’attuale primo ministro, Boris Johnson.
Nel corso degli anni, molte città che hanno ospitato le Olimpiadi sono state profondamente cambiate dalle infrastrutture costruite per i Giochi, che spesso, una volta finiti gli eventi, sono rimaste inutilizzate, oppure hanno favorito la speculazione edilizia e la gentrificazione. Secondo i piani degli organizzatori di Londra 2012, e secondo il governo locale, le cose a Londra dovevano andare diversamente. Sebastian Coe, il presidente del Comitato organizzatore dei Giochi, aveva detto che la riqualificazione dell’area del parco olimpico (il cui nome ufficiale è Queen Elizabeth Olympic Park) avrebbe portato migliaia di posti di lavoro e la costruzione di 30-40mila nuovi alloggi, con «benefici diretti per chiunque ci abitasse».
Poi però qualcosa è andato storto.
Adesso nell’area che aveva ospitato i Giochi sono state costruite solo 13mila case, più o meno un terzo di quelle previste, e solo l’11 per cento di queste è abbastanza a buon mercato perché se le possano permettere anche le persone con un reddito medio-basso. Intanto nei quattro distretti (borough) di Londra su cui era stato costruito il sito – Tower Hamlets, Waltham Forest, Hackney e Newham, una tra le aree più densamente popolate della città – ci sono quasi 75mila famiglie che stanno aspettando l’assegnazione di un alloggio popolare.
Nick Sherman, che per sei anni è stato responsabile dell’ente incaricato di seguire la pianificazione urbanistica dell’area dopo la fine dei Giochi (la London Legacy Development Corporation, LLDC), ha detto al Guardian che oggi «non c’è neanche più la pretesa» di dire che il vero obiettivo dell’amministrazione cittadina fosse trovare buone soluzioni per gli abitanti dell’East End, il nome che indica genericamente l’area a nord del Tamigi e est della City.
Sherman ha definito il progetto «un fallimento enorme sotto ogni punto di vista», sostenendo che complessivamente non abbia affatto migliorato le possibilità dei residenti nella zona, ma abbia anzi creato enormi divisioni.
Per fare spazio a quelle che nella gran parte dei casi sono diventate residenze di lusso, come il complesso chiamato “East Village”, sono state distrutte centinaia di abitazioni, cosa che ha costretto migliaia di persone a trasferirsi altrove. Chi vuole vivere in questa zona oggi deve essere disposto a pagare un affitto mensile che va dalle 1.750 sterline per un monolocale (circa 2mila euro) a più di 4mila (più di 4.500 euro) per un attico; per comprare un bilocale servono almeno 465mila sterline, l’equivalente di 540mila euro, senza contare i costi di manutenzione molto elevati e vari difetti di costruzione che si sono accumulati come conseguenza dell’accelerazione dei lavori.
Un residente di Newham che ha parlato col Guardian l’ha definito un progetto di «gentrificazione su scala industriale». Come ha fatto notare Sherman, per poter vivere in questi alloggi «accessibili» bisogna generalmente guadagnare almeno 60mila sterline all’anno. In media le famiglie che vivono attorno a queste zone ne guadagnano 27mila.
Un altro problema riguarda il modo in cui erano state concepite le infrastrutture per rispettare i criteri dettati dal Comitato Olimpico Internazionale. Per esempio, per facilitare la circolazione del traffico, era stata costruita una fitta rete di strade a più corsie, che a detta di vari residenti separa ulteriormente dal resto della città un’area che già era isolata per via dei vari fiumi, canali e delle linee ferroviarie.
«Non si può discutere sul fatto che le Olimpiadi abbiano portato alcuni benefici economici a Londra», ha detto al Guardian Paul Regan, rappresentante dei cittadini durante la candidatura per l’assegnazione dei Giochi della città: «il grosso fallimento è che abbiamo comunque la situazione abitativa peggiore della città».
Londra vinse l’organizzazione dei Giochi nel 2005 e cominciò a pianificare la costruzione del parco olimpico sotto la guida di Ken Livingstone, il primo sindaco di Londra, ex membro del Partito Laburista. Secondo alcune fonti del Guardian, Livingstone era ossessionato dall’idea di aggiudicarsi i Giochi per poter riqualificare e sviluppare l’East End, in particolare la zona vicina al Tamigi, che era considerata un’area di degrado ambientale, economico e sociale.
Livingstone spinse molto per accelerare la costruzione del villaggio olimpico, finanziata da una società australiana, espropriando vari terreni e facendo demolire decine di case con la promessa che la metà degli alloggi sarebbe poi stata accessibile alle famiglie con reddito medio-basso. A causa delle conseguenze della crisi globale del 2008, però, il governo del Regno Unito dovette intervenire con un piano di aiuti da 1 miliardo di sterline (circa 1,43 miliardi di oggi, più o meno 1,7 miliardi di euro), contando poi di rientrare dai costi rivendendo gli appartamenti.
Alla fine recuperò solo circa la metà dei soldi investiti. In ogni caso, perché il progetto fosse sostenibile a livello economico, la quota di alloggi a prezzi popolari fu abbassata al 30 per cento di quelli totali.
– Leggi anche: Che cos’è la gentrificazione
I piani comunque cambiarono dal 2008, quando fu eletto sindaco il conservatore Johnson, confermato per un secondo mandato proprio nel 2012, l’anno dei Giochi.
Secondo alcune persone informate sui fatti, per Johnson il progetto di unità abitative ad alta densità di Livingstone era «troppo europeo». La sua amministrazione spinse per far costruire case ispirate a quelle vittoriane, a pochi piani, anziché grossi complessi, limitando ulteriormente la disponibilità di alloggi popolari e facendone aumentare i prezzi.
Johnson volle anche far costruire un’attrazione turistica che incuriosisse i visitatori durante i giochi: commissionò quindi The Orbit, una torre con una specie di percorso di montagne russe che le si attorciglia attorno, che nella sua idea doveva diventare la Tour Eiffel di Londra. Tra il relativo disinteresse dei turisti e gli elevati costi di manutenzione, negli ultimi anni la torre ha fato accumulare almeno 13 milioni di sterline di debiti (più di 15 milioni di euro).
Con la rielezione del 2012, Johnson rafforzò ancora di più il proprio controllo sullo sviluppo dell’area, senza curarsi troppo dei costi, secondo un ex membro del consiglio di amministrazione dell’LLDC.
Due anni dopo la conclusione dei Giochi, quando per riqualificare l’area erano già state spese alcune centinaia di milioni di sterline, Johnson stabilì che, nonostante The Orbit, alla zona mancasse un vero elemento di attrattiva. Fu allora che nacque l’idea di un enorme centro culturale e artistico che mettesse insieme una sede del Victoria & Albert Museum e una del London College of Fashion, teatri, poli universitari e uno studio della BBC. Originariamente il progetto per la megastruttura, che è ancora in costruzione, era stato chiamato “Olympicopolis”; nel 2018 è stato ribattezzato “East Bank”.
Il timore, sostiene il Guardian, è che anche questo progetto possa diventare un «buco nero finanziario» sulle spalle dell’amministrazione cittadina, come era successo allo stadio olimpico: per costruirlo ci vollero 486 milioni di sterline e per riconvertirlo in via definitiva a stadio calcistico ce ne vollero altri 274 milioni. Attualmente la sua manutenzione continua a costare circa 10 milioni di sterline all’anno.
– Leggi anche: Il modello della “città da quindici minuti”