In Argentina non c’è fine alle crisi
L'economia è disastrata da un pezzo, ora lo scontro nel governo tra il presidente e la vicepresidente sta peggiorando la situazione
Lo scorso fine settimana il ministro dell’Economia argentino, Martín Guzmán, ha dato le proprie dimissioni aggravando la difficile situazione politica del paese già complicata dalla crisi economica e sociale in corso da tempo. Guzmán era vicino al presidente Alberto Fernández, peronista moderato, ed era stato invece criticato e ostacolato dall’area più radicale del governo guidata dalla vicepresidente Cristina Fernández de Kirchner, che fu presidente tra il 2007 e il 2015 e che molti analisti politici ritengono essere ancora molto influente.
«Le dimissioni del ministro Guzmán svelano le lacerazioni interne al governo», ha detto al New York Times Eugenio Marí, economista della Fundación Libertad y Progreso, un centro di ricerca privato e indipendente del paese. Il suo posto è stato occupato da Silvina Batakis, vicina alla corrente kirchnerista: la nomina di Batakis mostra come gli equilibri di potere, in vista delle presidenziali che si terranno nel 2023, si stiano di fatto spostando a favore della vicepresidente.
Guzmán aveva annunciato le dimissioni su Twitter, accompagnandole con un documento di sette pagine in cui si augurava che la scelta del nuovo ministro o della nuova ministra dell’Economia si basasse su un «accordo politico all’interno della coalizione di governo», in modo che chiunque avesse preso il suo posto potesse avere quel margine di manovra su cui lui stesso non aveva potuto contare.
Il tweet di rinuncia, avevano notato in molti, era arrivato proprio mentre Cristina Fernández de Kirchner stava parlando a una manifestazione per i 48 anni dalla morte di Juan Domingo Perón, il generale e ex presidente argentino che fondò il peronismo, e mentre stava criticando, davanti a centinaia di persone, le politiche economiche di Guzmán.
Con la profunda convicción y la confianza en mi visión sobre cuál es el camino que debe seguir la Argentina, seguiré trabajando y actuando por una Patria más justa, libre y soberana. pic.twitter.com/rJQ5w0argQ
— Martín Guzmán (@Martin_M_Guzman) July 2, 2022
La crisi politica tra il presidente Fernández e la vicepresidente Cristina Fernández de Kirchner era iniziata a causa dell’accordo, chiuso da Guzmán, con il Fondo Monetario Internazionale (FMI). Nel 2019 l’Argentina era andata tecnicamente in default a causa di un mancato pagamento di bond, e da allora i tentativi di stabilizzare l’economia erano stati in gran parte inefficaci. Nel 2020 l’economia argentina aveva risentito più di molte altre per la crisi provocata dalla pandemia da coronavirus: il PIL del paese era sceso di oltre l’11 per cento e il calo si era andato a sommare a quello degli anni precedenti.
Alberto Fernández, arrivato alla presidenza nel dicembre del 2019, si era dunque trovato ad affrontare una doppia crisi: un’economia già debole e fortemente indebitata — a tal punto che il suo predecessore, Mauricio Macri, nel 2018, aveva chiesto un prestito da 57 miliardi di dollari, circa 51 miliardi di euro, al Fondo monetario internazionale (FMI) per evitare il default — e, nel giro di qualche mese, l’inizio di una pandemia globale.
A maggio del 2020 il paese era andato di nuovo in default perché non era riuscito a ripagare in tempo alcuni debiti. A causa dell’impossibilità di finanziarsi sui mercati, il governo aveva cominciato a stampare moneta provocando un aumento dell’inflazione, che aveva finito per danneggiare cittadini e aziende. Il governo era stato costretto a ristrutturare il debito, cioè a modificare le condizioni per la sua restituzione, prima con i privati e poi, all’inizio del 2022, col Fondo Monetario Internazionale: l’accordo con l’FMI sospendeva la rata da 700 milioni di dollari che il governo avrebbe dovuto restituire a breve, e congelava i futuri pagamenti, in cambio della riduzione graduale, da parte dell’Argentina, del proprio rapporto tra deficit (cioè tra il disavanzo annuale tra entrate e uscite dello stato) e PIL, dal 2,5 per cento attuale allo 0,9 per cento nel 2024.
Fernández de Kirchner aveva criticato Guzmán accusandolo di aver condannato il paese a una riduzione drastica della spesa pubblica a fronte di un tasso di povertà che colpiva il 37 per cento della popolazione. La vicepresidente aveva poi attribuito a queste politiche economiche la sconfitta della sua coalizione alle elezioni legislative di metà mandato, quando il Frente de Todos (FdT) era stato superato dalle opposizioni di centrodestra riunite in Juntos por el Cambio (JxC) nella maggior parte delle province del paese e aveva perso il controllo del Senato.
Le dimissioni di Guzmán sono arrivate dopo quelle di inizio giugno del ministro per lo Sviluppo produttivo, Matías Kulfas, altro uomo vicino al presidente che aveva criticato la vicepresidente e che era stato sostituito dal peronista Daniel Scioli, vicino invece a Fernández de Kirchner. Il posto di Guzmán è stato ora preso da Silvina Batakis: ha 53 anni e è stata ministra dell’Economia della provincia di Buenos Aires tra il 2011 e il 2015, proprio durante il mandato di Daniel Scioli.
A un anno e mezzo dalle prossime presidenziali, queste nuove nomine sono state interpretate come un segnale della fragilità del presidente e del peso sempre maggiore che il campo kirchnerista sta invece guadagnando nella coalizione dell’attuale governo.
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Uno dei primi impegni della nuova ministra potrebbe essere l’incontro con il Club di Parigi, un gruppo informale di creditori composto da paesi economicamente avanzati con cui l’Argentina dovrebbe rinegoziare un debito pari a 2 miliardi di dollari, la cui ristrutturazione è considerata fondamentale per riattivare l’accesso del paese ai fondi esteri necessari per fare investimenti in infrastrutture ed energia.