Perché Shinzo Abe è stato così importante per il Giappone
È stato il più longevo primo ministro del paese, fu un nazionalista spesso controverso ma anche un grande riformatore economico
Venerdì l’ex primo ministro giapponese Shinzo Abe è stato ucciso mentre stava tenendo un discorso pubblico a Nara, vicino a Kyoto. L’attentatore è un uomo che gli ha sparato con una pistola che si era costruito da sé, e che poi è stato arrestato.
Abe aveva 67 anni ed era stato uno dei politici giapponesi più importanti del Secondo dopoguerra: fu un conservatore e un nazionalista, che cercò più volte di cambiare la Costituzione “pacifista” del Giappone e che rese più assertiva e decisa la politica estera del paese. Fu anche un importante riformatore soprattutto nel campo dell’economia, benché sull’efficacia delle sue riforme ci siano ancora ampie discussioni.
Abe nacque in una famiglia con una lunga tradizione politica: suo nonno materno fu uno dei politici più influenti del Giappone di metà Novecento, e benché fosse stato accusato di crimini di guerra durante la Seconda guerra mondiale, divenne primo ministro alla fine degli anni Cinquanta. Suo padre fu ministro degli Esteri negli anni Ottanta. Abe faceva parte del partito di centrodestra dei Liberal Democratici giapponesi (PLD), che domina la politica del paese quasi ininterrottamente dal 1955.
L’importanza di Abe nella politica e nella storia recente del Giappone si deve anche al fatto che è stato il politico che ha ricoperto la carica di primo ministro più a lungo, per due periodi separati da un intervallo: tra il 2006 e il 2007 e poi tra il 2012 e il 2020. Si era dimesso nell’agosto del 2020 per via di una rettocolite ulcerosa, una malattia infiammatoria cronica intestinale di cui soffriva da anni, che non gli consentiva di dedicarsi alle funzioni di primo ministro.
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La longevità di Abe come primo ministro è un fatto piuttosto anomalo nella politica giapponese, dove i capi di governo solitamente non durano molto e si avvicendano spesso in base a logiche interne al partito che ha la maggioranza in parlamento. Ma nel corso della sua carriera, Abe mantenne sempre un ruolo di primo piano nel PLD, anche grazie alla sua grande popolarità tra i giapponesi, che gli permise di resistere alle correnti opposte alla sua.
Fu eletto in parlamento per la prima volta nel 1993 e negli anni successivi divenne il più fidato collaboratore di Junichiro Koizumi, presidente del PLD e primo ministro tra il 2001 e il 2006. Proprio nel 2006 prese il posto di Koizumi alla guida del partito e alla guida del governo. Rimase in carica per poco più di un anno, e si dimise dopo la sconfitta del PLD alle elezioni per la camera alta del parlamento.
Nel 2009 andò al potere il Partito Democratico giapponese, di centrosinistra, che però ebbe diversi problemi: in quegli anni il Giappone dovette affrontare, tra le altre cose, i primi effetti della grossa crisi economica che colpì tutto il mondo e il disastro dello tsunami a Fukushima. Nel 2012 quindi si andò ad elezioni anticipate e il PLD guidato da Abe ottenne un importante successo.
Il suo secondo mandato da primo ministro andò decisamente meglio del primo, e in quegli anni Abe poté avviare un importante progetto di riforme chiamato Abenomics, con l’obiettivo di risollevare l’economia giapponese, che era una delle più grandi del mondo (è tuttora la terza) ma era stagnante da oltre un decennio.
L’Abenomics prevedeva una serie di politiche monetarie espansive, stimoli fiscali e riforme strutturali per rilanciare i consumi e aumentare l’inflazione (che nel caso del Giappone era un bene, perché uno dei problemi principali era la diminuzione dei prezzi). Nei primi anni del secondo mandato queste misure ottennero alcuni risultati immediati, che fecero crescere notevolmente l’economia nazionale: nel 2013 ci fu un deprezzamento del 25 per cento dello yen nei confronti del dollaro e il ritorno dell’inflazione in Giappone, dopo più o meno vent’anni di deflazione quasi senza interruzione.
Gli effetti sul lungo termine di queste riforme furono tuttavia molto minori: la crescita del PIL fu tutto sommato modesta, il tasso di inflazione rimase più basso di quanto fosse stato sperato, e il paese mantenne un grosso debito pubblico.
Per quanto riguarda le riforme politiche, Abe cercò di rafforzare la posizione del Giappone nella politica estera. Strinse solidi rapporti con alleati stranieri importanti, in particolare gli Stati Uniti e l’Australia, e fu tra i primi leader giapponesi ad adottare una posizione critica nei confronti dell’espansionismo della Cina, e a considerarlo come una minaccia alla sicurezza nazionale.
Per gran parte dei suoi due mandati, Abe cercò inoltre di cambiare l’articolo 9 della Costituzione, scritta dalle forze occupanti americane sbarcate in Giappone dopo la fine della Seconda guerra mondiale, che proibisce al paese di avere un esercito. Il militarismo è uno degli obiettivi principali dei conservatori e dei nazionalisti giapponesi, benché oggetto di forti controversie: Abe cercò a lungo di modificare la Costituzione per permettere al Giappone di avere un proprio esercito, senza però mai riuscirci.
Inoltre Abe non riuscì a chiudere la contesa con la Russia sulle isole Curili, né a risolvere diplomaticamente i disaccordi con la Corea del Sud sui trattati internazionali firmati dopo la Seconda guerra mondiale: in entrambi i casi, il suo nazionalismo ebbe un ruolo importante, soprattutto per quanto riguarda la questione coreana.
Abe rimase comunque un politico molto controverso, benché sempre molto popolare in Giappone, che in molti casi non si sottraeva alle provocazioni.
Come altri leader del PLD prima di lui, da primo ministro Abe fece visite frequenti al santuario Yasukuni di Tokyo, dove sono sepolti tra gli altri numerosi criminali di guerra della Seconda guerra mondiale. Queste visite, benché molto apprezzate dalla destra giapponese, complicarono inutilmente i rapporti con Cina e Corea del Sud, che erano state occupate dal Giappone durante la guerra, e dove l’esercito giapponese mise in atto terribili crimini.
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