Il “tradimento dei curdi”, ancora
L'accordo con la Turchia per l'ingresso di Finlandia e Svezia nella NATO potrebbe mettere in pericolo le comunità curde: non è la prima volta, né la più grave
di Eugenio Cau
Il recente accordo per superare il veto della Turchia all’ingresso di Finlandia e Svezia nella NATO ha preoccupato molto le comunità curde che risiedono nei due paesi nordici: per togliere il proprio veto, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha chiesto che i due paesi ritirino le protezioni concesse ai dissidenti curdi, e che avviino le procedure per l’estradizione di decine di persone che la Turchia considera appartenenti a organizzazioni terroristiche.
Anche se non è ancora chiaro il modo in cui i governi di Finlandia e Svezia agiranno nei prossimi mesi, c’è il rischio che i due paesi, che finora avevano accolto e protetto moltissimi dissidenti curdi, smettano di farlo pur di entrare nella NATO. Per questo si è tornato a parlare dell’ennesimo “tradimento dei curdi” da parte dell’Occidente: con questa espressione si intende una serie di eventi con cui, nell’ultimo secolo, l’Occidente ha dapprima alimentato le speranze di libertà e autonomia della popolazione curda, per poi tradirle spesso con conseguenze catastrofiche.
I curdi
I curdi sono una popolazione di circa 40 milioni di persone che vive in un’ampia area nell’intersezione tra Turchia, Siria, Iran e Iraq. Pur essendo uno dei gruppi etnici più grandi di tutto il Medio Oriente, non hanno uno stato proprio, e sono divisi tra questi quattro paesi in comunità che hanno vari gradi di autonomia (soprattutto per quanto riguarda il Kurdistan iracheno) e che partecipano in vari gradi alla vita politica del paese che li ospita. Come è comprensibile, i curdi vorrebbero costruirsi un loro stato, ma per oltre un secolo i quattro paesi in cui si trovano i territori in cui vivono gliel’hanno impedito.
L’Occidente si è spesso approfittato di queste dinamiche, appoggiando e sostenendo il nazionalismo curdo per raggiungere i suoi obiettivi di politica estera, per poi abbandonare i curdi quando questi obiettivi erano raggiunti, o quando era sconveniente mantenere il sostegno alla loro causa. Questi abbandoni, che sono stati numerosi, costituiscono il grosso dei “tradimenti” compiuti dall’Occidente nei confronti dei curdi.
Un’avvertenza: è un discorso che contiene ovviamente ampi elementi di semplificazione, a partire dal fatto che intendere i curdi come un’entità unica e il nazionalismo curdo come un movimento univoco è una grossa generalizzazione. Può essere utile però a capire a grandi linee il contesto storico.
Kissinger, Bush e gli altri
Il primo tradimento avvenne dopo la Prima guerra mondiale, che ebbe come conseguenza lo smembramento dell’Impero ottomano nei vari paesi del Medio Oriente. Inizialmente, negli accordi di pace era stata prevista anche la creazione di un Kurdistan per il popolo curdo, ma alla fine le potenze occidentali vincitrici, Francia, Regno Unito e Stati Uniti, acconsentirono a eliminarne la presenza su richiesta della Turchia. I curdi nel frattempo avevano tentato di creare un piccolo stato curdo, e poi un regno del Kurdistan all’inizio degli anni Venti, ma furono distrutti rapidamente dall’esercito britannico.
Dopo la Seconda guerra mondiale, i curdi furono più volte usati dagli Stati Uniti nell’ambito della Guerra fredda, perché la peculiare condizione del popolo curdo, presente in quattro grossi paesi mediorientali e pronto ad accettare l’aiuto e le armi di chiunque si fosse reso disponibile, lo rendeva lo strumento perfetto di varie operazioni di destabilizzazione compiute nel corso della Guerra fredda nella regione. Le conseguenze del fallimento o dell’abbandono di queste operazioni, però, furono subite esclusivamente dai curdi.
All’inizio degli anni Settanta, l’amministrazione americana di Richard Nixon, con il segretario di Stato Henry Kissinger, sostenne un piano dell’Iran, che al tempo era un paese alleato, per armare i curdi iracheni contro il regime di Saddam Hussein. L’obiettivo era armare i curdi a sufficienza da indebolire l’esercito iracheno, ma non abbastanza da sconfiggerlo, per non rischiare che anche i curdi iraniani si ribellassero. Per tre anni Stati Uniti e Iran sostennero la rivolta curda in Iraq, con migliaia di perdite curde, ma nel 1975 Iran e Iraq trovarono un accordo. Il sostegno americano e iraniano ai curdi si interruppe improvvisamente, e i curdi si trovarono da soli ad affrontare la repressione di Saddam Hussein: migliaia di persone furono uccise.
Quando negli Stati Uniti si cominciò a parlare del fatto che il paese aveva tradito i curdi, e cominciarono a diffondersi immagini dei civili massacrati, i media attribuirono a Kissinger questa frase: «Le operazioni sotto copertura non devono essere confuse con il lavoro dei missionari».
Negli anni Ottanta la situazione si ribaltò: in Iran aveva preso il potere una dittatura teocratica. Agli occhi degli Stati Uniti il regime dittatoriale ma laico di Saddam Hussein in Iraq sembrò il male minore, e lo sostennero quando questi dichiarò guerra all’Iran. Nel corso della guerra, Saddam mise in atto un genocidio contro la popolazione curda, che aveva ripreso a ribellarsi. Nella seconda metà degli anni Ottanta le forze irachene uccisero tra le 50 mila e le 180 mila persone curde, spesso con metodi terribili come l’ampio uso di armi chimiche. L’amministrazione di Ronald Reagan sapeva che Saddam usava il gas nervino contro i civili curdi, ma continuò a sostenerlo e mandargli aiuti militari contro l’Iran.
Il tradimento più celebre avvenne negli anni Novanta, quando la situazione si ribaltò di nuovo: gli Stati Uniti entrarono in guerra contro l’Iraq, nella Prima guerra del Golfo, per difendere il Kuwait invaso da Saddam. Le forze americane spinsero rapidamente l’esercito iracheno fuori dal Kuwait, e a quel punto George H. W. Bush pronunciò una frase che sarebbe rimasta storica: «L’esercito iracheno e il popolo iracheno [devono] prendere in mano la situazione e obbligare Saddam Hussein, il dittatore, a ritirarsi».
I curdi iracheni (oltre che vari gruppi sciiti repressi dal regime) credettero che la dichiarazione costituisse una garanzia che gli Stati Uniti avrebbero aiutato chiunque si fosse ribellato contro il dittatore, e iniziarono una grande rivolta armata sperando nell’intervento americano. Ma l’aiuto non arrivò: ancora una volta, migliaia di curdi furono uccisi dalla brutale repressione irachena, senza che nessuno si muovesse in loro soccorso.
Trump e la Siria
L’ultimo tradimento risale a meno di un decennio fa: nel 2014 il gruppo terroristico dello Stato Islamico (ISIS) conquistò la gran parte di Siria e Iraq, e non c’era nessuno nella regione che potesse contrastarlo sul campo, o per mancanza di volontà politica (come nel caso di Stati Uniti o Turchia) o per mancanza di forze (come nel caso del debolissimo governo iracheno). L’amministrazione di Barack Obama fece ancora una volta ricorso ai curdi che divennero, soprattutto in Siria, i “boots on the ground” dell’Occidente, cioè “gli scarponi sul terreno”, i soldati sul campo: per anni furono i curdi la forza principale che combatté e infine sconfisse l’ISIS sul campo, armati dagli Stati Uniti e sostenuti dai bombardamenti dell’aviazione americana.
I curdi siriani si erano dimostrati molto abili in battaglia e dopo aver riconquistato dall’ISIS ampi territori nel nord della Siria – parte dei loro territori storici – avevano iniziato a governarli in sostanziale autonomia. Speravano che avere l’appoggio di un paese potente come gli Stati Uniti li avrebbe aiutati nella loro causa per la creazione di uno stato curdo, o per lo meno di un territorio in Siria con grande autonomia dal governo centrale. Dopo la sconfitta dell’ISIS, gli Stati Uniti mantennero un contingente di circa 1.000 soldati nella regione, per sorvegliare l’area ma anche, indirettamente, per proteggere i curdi.
L’alleanza di fatto tra curdi e Stati Uniti era però un problema per il presidente turco Erdogan, che temeva che la creazione di un’entità politica curda forte nel nord-est della Siria, giusto al confine con la Turchia, avrebbe creato sommovimenti anche tra i curdi turchi, con cui Erdogan è in guerra da anni.
La vittoria elettorale di Donald Trump fu l’occasione che Erdogan aspettava. Nel 2019 propose a Trump la creazione di una “safe zone”, una specie di zona cuscinetto, nel nord della Siria, la cui sicurezza sarebbe stata garantita dall’esercito turco: si trattava di un pezzo consistente dei territori dei curdi siriani. Trump accettò, soddisfatto di scaricare ad altri i gravosi impegni militari in Siria, e la Turchia invase il nord-est del paese, dove si trovavano le forze curde.
– Leggi anche: Il tradimento di Trump verso i curdi, spiegato
Il ritiro delle truppe americane fu particolarmente ignobile perché, tra le altre cose, prima di andarsene i soldati avevano convinto i curdi a smantellare le proprie posizioni difensive a nord, che avrebbero potuto intralciare l’invasione turca, promettendo in cambio che li avrebbero protetti. Ma Trump abbandonò queste promesse e lasciò i curdi a Erdogan. L’arrivo delle truppe turche nel nord della Siria provocò la fuga di decine di migliaia di persone, e grosse violenze contro i curdi.
La decisione di Trump fu eccezionalmente criticata, anche dai suoi alleati, oltre che dalle truppe americane che avevano combattuto assieme ai curdi negli anni precedenti: «I curdi sono la forza più motivata e capace assieme a cui abbia mai combattuto, hanno combattuto fino alla morte. E adesso si trovano ancora a dover affrontare il peggio», disse a Rolling Stone un veterano americano della campagna contro l’ISIS.
L’ultimo tradimento
Se paragonato a questi eventi tragici, l’ultimo tradimento contro i curdi è relativamente più moderato, perché potrebbe riguardare alcune decine di dissidenti di cui la Turchia ha chiesto l’estradizione a Finlandia e Svezia, perché accusati di essere terroristi o fiancheggiatori del terrorismo. Non è ancora nemmeno sicuro che le estradizioni avverranno, e a che condizioni: i governi di Finlandia e Svezia hanno promesso di aiutare la Turchia nella «lotta al terrorismo», ma non hanno preso impegni sulle estradizioni di specifici individui.
Tuttavia, c’è la possibilità che i due paesi smettano di essere un luogo sicuro per i rifugiati politici che arrivano dalla Turchia: soprattutto in Svezia, la comunità curda è molto ampia e florida, e alcune persone curde sono perfino diventate membri del parlamento svedese. Questa comunità, ora, si sente più a rischio.