Cosa potrà far dimettere Boris Johnson?
Il primo ministro britannico non ha intenzione di rinunciare all'incarico benché ormai il suo governo sia debolissimo, colpito da scandali e dimissioni
La posizione politica del primo ministro britannico Boris Johnson, già colpito da vari scandali e sconfitte elettorali, si è indebolita eccezionalmente tra martedì e mercoledì. Prima, nella serata di martedì, due dei più importanti ministri del suo governo hanno dato le dimissioni criticando il suo l’atteggiamento e accusandolo di non agire nell’interesse nazionale. Dopodiché, stando a quanto scritto da siti e giornali britannici, nella serata di mercoledì una delegazione di membri del governo di Johnson è andata da lui nella residenza di Downing Street, a Londra, con l’intento di convincerlo a dimettersi. Pare però che Johnson abbia rifiutato la proposta, nonostante si trovi in una condizione che per molti dei suoi predecessori sarebbe stata considerata insostenibile.
Gli eventi degli ultimi giorni si aggiungono e accentuano un crescente malcontento nei confronti di Johnson sia all’interno del Partito Conservatore che del paese, un malcontento tale che secondo molti analisti il suo governo è ormai vicino alla fine.
Di recente, a compromettere la posizione di Johnson sono state le dimissioni di Rishi Sunak, il cancelliere dello Scacchiere (cioè il ministro dell’Economia) e Sajid Javid, ministro della Salute, oltre a quelle di diversi altri membri del suo esecutivo. In più, nella serata di mercoledì Guardian e BBC hanno scritto che Johnson ha chiesto le dimissioni di Michael Gove, Segretario del suo governo e uno degli esponenti più influenti del suo partito, alla cui guida si era candidato già nel 2019. Gove è ritenuto uno dei promotori della richiesta di dimissioni di Johnson.
Negli ultimi mesi il suo governo è stato colpito dal cosiddetto “partygate”, cioè lo scandalo delle feste private organizzate nella residenza del primo ministro durante il lockdown, e più di recente il Partito Conservatore ha perso delle importanti elezioni locali, oltre che il voto per sostituire due deputati Conservatori che si erano dimessi a seguito di scandali sessuali. Negli ultimi giorni, poi, si è scoperto che Johnson aveva nominato il deputato Chris Pincher come vice whip del partito (cioè una delle persone che devono radunare i voti necessari alla Camera, una specie di vice capogruppo) pur sapendo che era stato accusato di molestie sessuali.
Le dimissioni di Sunak e Javid sono arrivate dopo quest’ultimo scandalo, a dieci minuti di distanza l’una dall’altra, anche se i due – che sono alleati politici – sostengono di non essersi coordinati. Nessuno dei due fa riferimento al caso specifico di Pincher, anche se Javid nella sua lettera di dimissioni ha scritto che «il popolo britannico si aspetta integrità dal suo governo». Sunak ha parlato invece soprattutto di differenze in politica economica.
Mercoledì mattina il governo di Johnson ha subìto altre perdite. Prima ha dato le dimissioni Will Quince, sottosegretario per i Bambini e le Famiglie, che ha accusato Johnson di avergli mentito: lunedì Quince aveva difeso pubblicamente il governo dallo scandalo Pincher, dicendo che Johnson non sapeva delle accuse, per poi scoprire che Johnson sapeva, e che aveva mentito anche a lui. Dopo quelle di Quince, sono arrivate le dimissioni di una decina di altri sottosegretari e di altri collaboratori.
Le dimissioni di Sunak e Javid, le due più importanti, sono state considerate un modo per accelerare la crisi del governo e possibilmente approfittarne: entrambi i politici Conservatori, secondo varie analisi dei giornali britannici, ambiscono a occupare il posto di Johnson una volta che questi si sarà dimesso.
Johnson, tuttavia, non ha intenzione di dimettersi, pur avendo affrontato vari scandali e subìto numerose sconfitte che avrebbero danneggiato irreparabilmente molti dei suoi predecessori. Pur avendo perso due dei suoi ministri più importanti, e due delle personalità più grosse del Partito Conservatore, Johnson li ha già sostituiti con Nadhim Zahawi, che è diventato Cancelliere dello Scacchiere, e con Steve Barclay, che era il suo ex capo di gabinetto ed è diventato ministro della Salute.
Il governo è ormai svuotato di gran parte delle sue personalità di rilievo, ma Johnson ha intenzione di rimanere in carica finché non sarà costretto alle dimissioni.
Il fatto è che, benché la maggior parte dei cittadini britannici vorrebbe le sue dimissioni (il 69 per cento, di cui il 54 per cento degli elettori del suo partito), e benché sia molto probabile che la maggioranza dei deputati Conservatori non lo appoggi più, attualmente non ci sono nel sistema britannico strumenti per rimuoverlo: appena il mese scorso Johnson è sopravvissuto a stento a un voto di sfiducia all’interno del partito, e questo significa che, secondo le regole, non possono essere indette votazioni simili almeno per un altro anno.
Secondo Politico, non è escluso che pur di cacciare Johnson i parlamentari Conservatori cambino questa regola, e indìcano un nuovo voto di sfiducia nei prossimi giorni. Johnson inoltre sarebbe costretto a lasciare l’incarico se i ministri del suo governo si dimettessero in massa, o se perdesse un voto di fiducia alla Camera dei Comuni (procedura differente rispetto al voto di sfiducia all’interno del partito).
Per ora queste opzioni sono tutte abbastanza improbabili. Ma è davvero difficile immaginare che Boris Johnson riuscirà ad arrivare alla scadenza del suo mandato, prevista per il 2024. Secondo i giornali britannici, anche i suoi ministri si stanno preparando alla competizione per sostituirlo: Sunak e Javid, con le dimissioni, hanno scommesso che sia politicamente più conveniente distanziarsi da Johnson, mentre altri, come la ministra degli Esteri Liz Truss, ritengono che le loro possibilità di succedere a Johnson saranno maggiori se rimarranno nel governo fino alla fine.