In Italia i servizi telefonici dell’ora esatta ancora resistono
La compagnia francese Orange ha dismesso il suo, ma TIM e Windtre continuano a fornirlo ai pochi che lo usano
Fino a giovedì 30 giugno, in Francia, c’era un numero per sapere che ora era, precisamente. Chiamando il 3699 con l’operatore telefonico Orange, una voce squillante comunicava l’ora esatta di quel momento, un servizio che soprattutto prima di internet e degli smartphone era usatissimo e che era attivo dal 1929. A causa del costante declino dei fruitori del servizio, però, Orange ha deciso di sospenderlo. Come ha raccontato Repubblica, nel 1991 le chiamate annuali erano «alcuni milioni», mentre già nel 1993 si ridussero a un milione per via della diffusione dei primi telefoni cellulari. E quest’anno «sono state poche migliaia», ha detto Catherine Breton, direttrice marketing di Orange.
La maggior parte delle persone oggi guarda l’ora sul proprio smartphone, oppure regola di conseguenza gli orologi analogici e digitali che possiede. Ciononostante, in Italia un servizio analogo a quello appena dismesso in Francia è ancora attivo, offerto dagli operatori TIM e Windtre. Chiamando il primo da fisso, al numero 42161, si spendono un euro e novanta, mentre da mobile costa 30 centesimi. Il servizio di Windtre è al numero 4261 e costa 16,26 centesimi, sempre da mobile. Non è chiaro esattamente quante persone ancora utilizzino questi servizi e perché: le rispettive aziende parlano di poche migliaia, ma comunque avendo costi minimi non è in programma la loro dismissione.
In Francia il servizio telefonico dell’ora esatta fu inaugurato nel 1929. All’epoca erano vere centraliniste che rispondevano alle chiamate, ancora poche rispetto a quelle che sarebbero venute negli anni successivi. Poi nel 1933 fu introdotto un sistema di risposta automatica che nel primo giorno di servizio ricevette ben 140mila chiamate. L’ora esatta comunicata veniva fornita dall’Osservatorio di Parigi, che negli anni perfezionò sempre di più il meccanismo.
In Italia invece l’ora esatta viene diffusa dall’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (INRiM), che ha sede a Torino e ha fornito il segnale orario a televisioni, radio e operatori telefonici sin dalla sua fondazione nel 2006, dalla fusione di due storici enti di ricerca torinesi. Negli anni sono entrati nella memoria collettiva diversi segnali orari con le introduzioni sonore e musicali che li accompagnano, come Segnatempo di Roberto Colombo che ancora oggi precede il telegiornale mattutino di Canale 5 (in una versione rivisitata rispetto a quella mandata in onda fino al 2018). Tra l’altro la canzone dell’ora esatta di Mediaset ebbe un momentaneo giro di popolarità su Internet qualche anno fa, quando una pagina su Facebook che la celebrava accumulò un discreto seguito.
Un altro assai noto è il Segnale orario Rai codificato (SRC), introdotto nel 1979, anche se l’emissione di segnali orari da parte della Rai era iniziata già nel 1945. È quel trillo che tradizionalmente anticipa l’annuncio dell’ora sui canali della Rai, e che può essere decodificato da appositi dispositivi – generalmente orologi radiocontrollati, per l’appunto – in grado di riceverlo e di sincronizzare di conseguenza il proprio orario. Come spiegò Patrizia Tavella dell’INRiM, il codice «in corrispondenza del secondo 52, comunica ora, minuto, secondo, mese, giorno del mese, giorno della settimana ed anche se è in vigore l’ora solare o l’ora estiva».
Fino al 2016 l’SRC era generato dall’INRiM, poi alla fine di quell’anno la Rai annunciò che lo avrebbe dismesso poiché con le trasmissioni digitali, i cui segnali sono a volte in ritardo, non era più possibile garantirne l’accuratezza. Dal primo gennaio 2017 la Rai cominciò a generare in autonomia il proprio segnale orario, introdotto sempre dal caratteristico trillo che continua a sentirsi soprattutto in radio, e che però non garantisce la stessa accuratezza.
Anche i servizi telefonici di orario esatto, oggi, si basano sull’ora fornita dall’INRiM attraverso gli orologi atomici dei laboratori dell’istituto e resa disponibile attraverso i propri server NTP (Network Time Protocol), uno dei protocolli internet più vecchi ancora in uso che serve appunto per sincronizzare gli orologi digitali. L’orologio atomico è particolarmente preciso perché, come suggerisce il nome, sfrutta le proprietà degli atomi per correggere gli oscillatori dei meccanismi al quarzo, che per quanto precisi si perdono per strada in media un miliardesimo di secondo all’ora.
Oggi, grazie ai server NTP, l’INRiM mette a disposizione l’ora esatta che si può consultare su Internet, sui computer e sugli smartphone. Eppure, scrive Repubblica, ancora ogni mese chiamano «alcune migliaia» di persone, probabilmente soprattutto anziani che non hanno a disposizione un telefono collegato a Internet. Nel 1990, quando Telecom Italia si chiamava ancora SIP, vennero dichiarate 150 milioni di chiamate annue per il servizio dell’ora esatta.
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