Una canzone di Loredana Bertè
E sta tutto insieme e non capisci nemmeno bene come
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Nei cinema americani è uscito il documentario su George Michael : le pubblicità dicono “worldwide” ma non mi pare che in Italia ci sia.
Confesso di non aver mai cantato in un karaoke bar: ormai dovrei averla sfangata, ma non è escluso che entri in quel repertorio di “cose che i maschi fanno quando arrivano ai 40/50/60”, insieme a correre la maratona, comprare una spider, iniziare con lo yoga o col deltaplano. Casomai mi segno qui i consigli del New York Times per una resa migliore (il maschio sessantenne si dedica al karaoke solo con infantile spirito competitivo).
Mi ero perso Elvis Costello che fa Here, there and everywhere per il compleanno di Paul McCartney .
A Glastonbury Jack White dei White stripes ha fatto Po-po-po-po-po-po-poo , e si sono tutti divertiti parecchio ( qui tutta la storia ).
Invece qui c’è Nile Rodgers – creatore di discomusic, gran chitarrista, autore di cose che saranno usate ancora tra un secolo – che fa un po’ di meraviglie a un festival olandese e inizia con una “soulfoul intro” di Get lucky , il pezzo dei Daft Punk in cui mise le mani qualche anno fa (e ci sono ragazzini olandesi che ballano Good times e cantano Rapper’s delight , poi dice boomer).
Non sono una signora
Loredana Bertè
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Se le togliete tutto quel contorno di juke-box, anni Ottanta e Festivalbar, e forse pure il sassofono, ma che gran canzone è Non sono una signora ? Poi glielo potete pure lasciare, eh, e resta una gran canzone: ma a volte non ci si fa caso. Sta compiendo quarant’anni, a luglio del 1982 entrò in hit-parade (che era come chiamavano allora la classifica dei 45 giri più venduti, otto o dieci) e ci rimase fino a ottobre, circondata da Avrai di Baglioni, Der kommissar di Falco, Da da da di quei tedeschi, e Un’estate al mare di Giuni Russo: tutto molto Festivalbar, appunto, che lei vinse (insieme a un imparagonabilmente scarso pezzo di Miguel Bosé).
Comunque, l’aveva scritta Ivano Fossati , nel suo migliore periodo di poesia e rock (ovvero tutto il periodo di Ivano Fossati dall’inizio alla fine): e quanto alla musica ci mise un attacco travolgente e una strofa inesorabile ed eccezionale che meriterebbe di proseguire in ripetizione assai più a lungo (il refrain è più povero e proclamato, invece: ma appunto, è tutto nella strofa), e quanto alle parole ci mise una serie di versi tutti belli e tutti apparentemente sconnessi (se li prendete uno per uno, a cominciare dai primi: boh) ma che funzionano come quando ti stacchi un po’ dal quadro per vederlo tutto insieme, e sta tutto insieme e non capisci nemmeno bene come. E sono diventati elementi della letteratura: “è un volo a planare” – con tutto quello che dice sia di volo che di planare – se la batte con “si sta come d’autunno”.
E poi c’è lei che fa il resto, non vi venga in mente di pensare nemmeno da lontano che è tutto merito di Fossati: e in ogni verso ci mette qualcosa, non vi venga in mente di pensare che le canzoni si cantano e basta. È un volo a planare.
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