Levi’s non sarà più solo quella dei jeans
A un certo punto la compravano soprattutto uomini di mezza età, poi ha saputo rilanciarsi
Levi’s è probabilmente il marchio di jeans più famoso e riconoscibile al mondo: nato come simbolo di indipendenza e trasgressione, negli anni è diventato un grande classico dell’abbigliamento casual (cioè informale). Ora ha in programma di espandersi: la dirigenza dell’azienda ha detto che nei prossimi cinque anni la trasformerà in un gruppo che investirà in altri settori di abbigliamento, acquisendo marchi che non vendono solo denim (cioè il tessuto con cui sono fatti comunemente i jeans, che sono invece un particolare tipo di pantaloni inventati proprio dal fondatore di Levi’s).
A inizio giugno, nonostante il momento di incertezza economica internazionale, l’amministratore delegato di Levi’s Chip Bergh ha presentato agli investitori un piano di crescita molto ambizioso, con un obiettivo di 10 miliardi di dollari di vendite entro il 2027 (nel 2021 erano 5,8). Ha detto di voler trasformare Levi’s in un gruppo che gestisce molti altri marchi, pur continuando a lavorare sulla notorietà di quello originale, e che aprirà centinaia di nuovi negozi in tutto il mondo.
La storia di Levi’s iniziò nel 1853 con la fondazione dell’azienda da parte di Levi Strauss, immigrato tedesco negli Stati Uniti. Il fatturato raggiunse il picco nel 1996, con oltre 7 miliardi di dollari di allora, ma all’inizio degli anni Duemila la crescita si fermò e le vendite si stabilizzarono. Nel 2011 Chip Bergh diventò amministratore delegato dell’azienda e poco dopo la crescita riprese, soprattutto grazie alla scelta di rivenditori di alto livello e di collaborazioni con marchi di lusso, come per esempio Miu Miu, il marchio del gruppo italiano Prada.
Fino a qualche anno fa compravano jeans Levi’s soprattutto uomini che erano adolescenti negli anni ’80 e ’90. Bergh ha cercato di invertire la rotta puntando sui jeans da donna e in dieci anni, dal 2011 al 2021, è riuscito ad aumentarne i ricavi netti dal 26 al 33 per cento. Intervistato dal sito di moda Business of Fashion ha detto che non c’è motivo per cui le vendite da donna e da uomo non dovrebbero avere la stessa percentuale.
Una delle decisioni più azzeccate di Levi’s è stata mantenere sempre i prezzi dei jeans abbastanza contenuti da restare competitivi sia rispetto ai modelli molto più costosi dei marchi di lusso, sia rispetto a quelli dei marchi economici, che costano solo poco di meno ma non hanno la storia e la qualità dei Levi’s.
La strategia di acquisire nuovi marchi indica la volontà di intervenire in modo molto più radicale. Levi’s possiede già un altro marchio di abbigliamento casual da uomo, Dockers (fondato nel 1986), e lo scorso agosto aveva acquisito Beyond Yoga, un marchio di abbigliamento sportivo, per 400 milioni di dollari. Harmit Singh, direttore finanziario di Levi’s, ha detto che comprerà altre aziende della stessa dimensione o poco più grandi per farle crescere rapidamente, una strategia simile a quella dei grandi gruppi del lusso, come LVMH (che controlla tra gli altri Louis Vuitton, Christian Dior, Bulgari, Fendi e Celine) o Kering (che possiede per esempio Gucci, Yves Saint Laurent, Balenciaga e Bottega Veneta). L’interesse è rivolto soprattutto verso marchi che producano magliette, abbigliamento da donna, scarpe, giacche e cappotti.
Tra l’altro il marchio Levi’s era riuscito ad avere successo non solo con il denim nel 2018, quando le sue t-shirt tinta unita con il marchio stampato grande sul petto avevano avuto un picco di diffusione e visibilità.
Un altro obiettivo dell’azienda per i prossimi anni è di aumentare le vendite fatte attraverso l’e-commerce e i negozi del marchio, senza intermediari. Oggi questi canali coprono circa il 36 per cento di tutte le vendite, ma l’obiettivo è arrivare al 55. Per farlo verranno aperti centinaia di nuovi negozi mediamente più piccoli di quelli che ci sono già: un centinaio saranno negli Stati Uniti e gli altri nel resto del mondo.
La strategia generale è di competere con aziende molto più grosse, come per esempio Gap, che ha un fatturato annuale di 16 miliardi di dollari e che, oltre all’omonimo marchio, possiede anche Banana Republic, Old Navy, Intermix, Athleta e Janie and Jack.