Le indagini sull’incendio di Malagrotta
Ancora non si conoscono le cause dei roghi che hanno distrutto un impianto della discarica di Roma, ma sono ben chiare le conseguenze sulla raccolta dei rifiuti
L’inchiesta per individuare le cause dell’incendio del 15 giugno nella discarica di rifiuti di Malagrotta, a Roma, è solo agli inizi. La Procura ha formulato l’ipotesi di incendio doloso, non perché propenda per questa teoria rispetto a quella dell’incidente ma perché un’ipotesi di reato più ampia permette di effettuare maggiori perizie. L’impianto si trova nel Municipio XII di Roma, nella riserva naturale statale Litorale romano, tra il comune di Roma e quello di Fiumicino, e a essere distrutto dall’incendio è stato il Tmb (Trattamento meccanico biologico) Malagrotta 2.
In particolare i carabinieri del Noe, Nucleo operativo ecologico, incaricati delle indagini, dovranno verificare se il contenuto delle vasche di Cdr (Combustibile derivato dai rifiuti) fosse quello stabilito dai regolamenti e se le vasche fossero presidiate, così come dovrebbe essere. Dovrà essere inoltre verificato se i sistemi d’allarme fossero correttamente in funzione e se ci siano state inosservanze dei protocolli stabiliti.
Il Cdr, principalmente composto da gomma, plastica o altri derivati dal petrolio, è il prodotto finale di un processo di lavorazione dei rifiuti non pericolosi, che li trasforma in una fonte di energia a basso costo. Durante questo processo gli elementi combustibili vengono separati dagli altri, e prima di essere portati negli stabilimenti dove serviranno alla produzione di energia vengono stoccati in apposite vasche.
Secondo le prime ricostruzioni l’incendio dell’impianto di Malagrotta avrebbe avuto origine da due roghi distinti: uno nella vasca di stoccaggio del Cdr, che è altamente infiammabile, l’altro nell’area di accumulo dei rifiuti ancora da trattare, cioè non ancora trasformati in Cdr.
I tecnici dei vigili del fuoco dovranno stabilire i tempi di innesco dei due focolai per capire se un rogo – quello nella vasca di stoccaggio – abbia innescato l’altro. Nel caso invece che le fiamme siano scaturite contemporaneamente, prenderebbe maggiore rilevanza l’ipotesi dell’incendio doloso. Qualunque sia l’ipotesi più verosimile, l’indagine deve stabilire anche se l’impianto antincendio abbia funzionato correttamente, ma è complicata dal fatto che l’incendio ha distrutto le videocamere di sorveglianza. I tecnici del Racis, Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche, proveranno comunque a estrarre immagini dall’impianto distrutto.
Nella puntata di questa settimana della trasmissione Report in onda su Rai 3 sono stati trasmessi alcuni audio registrati dopo lo scoppio dell’incendio. Nel primo audio un lavoratore dice ad altri: «È proprio nero nero. È dalle 5 e mezza che stiamo qua. Ha preso fuoco alle 5 e mezza, non si riesce a capire come ha preso fuoco da qua». In un altro audio si sente un operaio che dice: «L’incendio ha iniziato dal gassificatore e da lì ha preso tutto». Il gassificatore è spento dal 2011 ma viene utilizzato per lo stoccaggio del combustibile. Infine, un altro lavoratore dice: «Oh è pieno… è pieno dentro. Ieri stavo là a lavorare ed era pieno di spazzatura dentro. È gonfio di mondezza. Immagina che ci può stare là dentro. È colmo proprio, gonfio proprio, tantissima ce n’era dentro di mondezza».
La storia della discarica di Malagrotta e degli impianti di trattamento meccanico biologico dei rifiuti è lunga e complessa. Si tratta della più grande discarica d’Europa, 240 ettari, definita «la grande buca» dei rifiuti di Roma. Venne chiusa nel 2013: da allora nell’area, nonostante le procedure d’infrazione dell’Unione Europea, non è mai stata avviata la bonifica. A realizzarla, e quindi a pagarla, avrebbe dovuto essere la società proprietaria del sito, la E. Giovi di Manlio Cerroni, che però dal 2018 è in amministrazione giudiziaria e non ha i fondi per sostenere un’opera di enormi dimensioni e costi. Cerroni fu arrestato nel 2014 con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al traffico dei rifiuti. Fu poi assolto dalle accuse nel novembre 2018.
Il ministero della Transizione ecologica ha stanziato ora 250 milioni di euro prelevati dai fondi europei per la coesione e lo sviluppo delle regioni. La bonifica dovrà essere effettuata dalla regione Lazio. Per i lavori ci sarà tempo fino al 2026. L’unico progetto esistente è quello della E . Giovi di Cerroni che prevede che per la copertura della discarica venga utilizzata anche la Fos, e cioè Frazione organica stabilizzata. La Fos, come spiega in un articolo Il Foglio, è uno dei materiali prodotti dai Tmb: il residuo umido del trattamento dei rifiuti “stabilizzato”, e cioè inodore e incapace di produrre percolato, che è il liquido inquinante prodotto naturalmente dai rifiuti umidi.
È per l’utilizzo della Fos che il Movimento 5 Stelle si oppone al progetto. Il piano di Regione e Comune sarebbe quello di portarne a Malagrotta fino a 300 tonnellate, per risolvere due problemi: la bonifica della discarica e lo smaltimento di un po’ di rifiuti di Roma. La legge consente che la Fos venga utilizzata per la copertura delle discariche, solo che il Movimento 5 Stelle sostiene che quella prodotta dal Tmb del Lazio non sia stabilizzata e produca percolato.
A complicare la vicenda c’è anche il fatto che, sempre durante la trasmissione Report, è stata letta un’informativa scritta a marzo dal generale Luigi Vadalà, commissario straordinario di nomina governativa per la bonifica di Malagrotta. Nel documento letto in trasmissione è scritto:
«Dagli approfondimenti condotti sono state rilevate cointeressenze e messi in evidenza collegamenti che lo storico responsabile della discarica, Manlio Cerroni, ha intessuto con la criminalità organizzata, anche tramite soggetti a lui strettamente connessi e con ulteriori soggetti oggi attivi nei cantieri della bonifica».
Alessandro Diddi, avvocato di Manlio Cerroni, ha ribattuto: «Già qualche anno fa la Procura di Roma aveva ipotizzato collegamenti di Manlio Cerroni con la criminalità organizzata. L’inchiesta è finita come era ovvio con una richiesta di archiviazione».
A tutto questo si aggiunge ora l’incendio dell’impianto Tmb Malagrotta 2, che ritarderà ulteriormente le operazioni di bonifica dell’ex discarica.
Intervistato dal Corriere della Sera Carlo Barbetta, fino al 2018 direttore dell’impianto che è andato distrutto, ha detto che il disastro di Malagrotta era, secondo lui, ampiamente annunciato: «Impianti a pezzi, lasciati in mano a incompetenti, e conseguente incendio. Danni gravissimi recuperabili non in uno ma in dieci anni. E serie responsabilità della parte pubblica, dello Stato». Dice ancora l’ex direttore: «Tutta l’impiantistica di Malagrotta è affidata alla gestione della magistratura di Roma».
Carlo Barbetta poi dà al Corriere la sua opinione sulle cause dell’incendio:
«Ritengo ci sia stata una sorta di autocombustione per la presenza di parte organica del Css (combustibile solido secondario, ndr) in quantitativi elevatissimi. Oppure, seconda ipotesi, un intervento di manutenzione poco curata sul nastro superiore di adduzione e scarico del Css, nella vasca dove ha avuto inizio e si è sviluppato l’incendio. «Lo stesso nastro trasportatore ha poi divulgato ed esteso il fuoco in tutti i reparti del Tmb, probabilmente perché il sistema di aspirazione aria e abbattimento polveri è rimasto acceso. Deve esserci stata imperizia, imprudenza o negligenza da valutarsi in rapporto alla qualifica e all’attività in concreto svolte da ogni addetto facente capo all’organigramma tecnico-gestionale scelto dall’amministratore».
Intanto a Roma le conseguenze dell’incendio all’impianto si sentono molto. I rifiuti che in questo momento non vengono trattati dal Tmb chiuso per l’incendio sono dirottati ad altri impianti (è stato riaperto anche l’impianto Tmb Malagrotta 1) che però non sono sufficienti a coprire tutte le esigenze.
A Roma vengono prodotte circa 4850 tonnellate di rifiuti al giorno che ancora non hanno una raccolta adeguata. Il caldo di questi giorni non aiuta certo: gli abitanti dicono che in alcune zone l’odore dovuto ai rifiuti non raccolti è insopportabile. Secondo i sindacati degli operatori ecologici ogni giorno rimangono a terra per le strade della città almeno mille tonnellate di rifiuti.
Intanto il sindaco di Fiumicino Esterino Montino ha firmato un’ordinanza per annullare quelle emesse nei giorni scorsi. Il livello di diossina è tornato alla normalità. Resta la raccomandazione di lavare con attenzione la frutta e la verdura che provengono dalla zona colpita. Subito dopo l’incendio erano state buttate, per il rischio di contaminazione, in particolare da diossina, frutta, ortaggi e latte prodotti nella zona nelle 48 ore successive all’incendio. La Coldiretti ha chiesto aiuti immediati per gli agricoltori colpiti, già in difficoltà per la siccità e i rincari di carburante e materie prime.