I collage che anticiparono Picasso
Nell'Ottocento le donne britanniche li facevano per intrattenere gli ospiti, oggi sono stati riscoperti come forma d'arte
Nella storia dell’arte studiata a scuola e all’università i primi esperimenti con la tecnica del collage – l’accostamento tra pittura, foto, ritagli di giornale e pezzi di carta e cartone – vengono fatti risalire al secondo decennio del Novecento e attribuiti in particolare ai cubisti Pablo Picasso e Georges Braque. La comparsa dei primi collage, però, risale a decenni prima, alla metà dell’Ottocento, in un contesto e con finalità molto diverse da quelli delle avanguardie artistiche: le donne aristocratiche dell’Impero britannico, infatti, li realizzavano quotidianamente per passare il tempo e intrattenere gli ospiti.
L’abitudine di incollare le fotografie su fondali colorati ad acquarello e di combinarle con altre immagini, spesso con risultati spiritosi, sovversivi o addirittura inquietanti, era molto diffusa nei salotti aristocratici britannici dell’Ottocento ma venne dimenticata e ancora oggi è poco conosciuta. Molti collage sono andati dispersi o dimenticati e quelli rimasti sono piuttosto difficili da recuperare e catalogare, ma negli ultimi anni sono stati riscoperti e hanno fatto nascere un certo interesse in ambito artistico e accademico, rivelando un aspetto sconosciuto e affascinante della vita delle donne dell’alta società vittoriana (quella cioè sotto il regno della regina Vittoria, che durò dal 1837 al 1901).
Tra gli anni ’60 e ’70 dell’Ottocento la stampa fotografica cominciò a diventare più economica e tra gli aristocratici britannici diventò di moda l’uso delle cartes de visite (carte da visita), cioè piccole fotografie con ritratti di famiglia che venivano scambiate, regalate agli ospiti; alcune, come per esempio quella dei reali, potevano anche essere acquistate. I primi collage nacquero da qui: le carte da visita venivano collezionate dalle donne (ma non solo) aristocratiche, ritagliate e incollate su sfondi colorati e illustrati da loro, che ricreavano scenari realistici o ispirati a immaginari fantastici delle fiabe popolari. Questi lavori venivano poi raccolti in album da mostrare agli ospiti come forma di intrattenimento.
Quando le fotografie diventarono accessibili anche alla classe media, il tempo libero per dedicarsi ai collage restò però una prerogativa delle donne dell’alta società che li consideravano un modo per distinguersi, per rendere le fotografie più raffinate e uniche e per trasformare un prodotto di massa in un lavoro artigianale.
Nel 2010 alcuni di questi lavori sono stati raccolti in un libro (Playing with pictures: the art of victorian photocollage) dalla curatrice dell’Art Institute of Chicago, Elizabeth Siegel, e sono stati esposti successivamente negli Stati Uniti, tra cui al Metropolitan Museum di New York, e in Canada. Nel Regno Unito però non è mai stata allestita una mostra del genere e l’interesse per i collage è ancora un fenomeno recente. Inoltre, nonostante alcuni mostrino un interessante impegno creativo, allora non venivano considerati opere d’arte ma solo uno dei tanti compiti delle donne dell’alta società per divertire gli ospiti.
Secondo Elizabeth Siegel, invece, alcuni di quei collage possono essere considerati una forma d’arte che rifiutava la rappresentazione della realtà senza difetti dei dipinti e delle fotografie dell’epoca e che valorizzava il contrasto grottesco tra fotografia e illustrazione. Secondo Siegel far conoscere questi lavori può cambiare la percezione che c’è oggi delle donne dell’epoca, considerate passive e austere. Pur non arrivando a sostenere che ci sia un collegamento diretto tra i collage vittoriani e le opere dei cubisti e dei surrealisti, Siegel li ritiene comunque un’espressione artistica in anticipo sul loro tempo e per questo particolarmente interessante.
Marta Weiss, responsabile del dipartimento fotografico del Victoria and Albert Museum di Londra e a sua volta autrice di alcuni testi del libro di Siegel, spiega che i collage dell’alta società vittoriana non erano completamente scollegati da alcuni filoni artistici o riferimenti culturali dell’epoca. Riprendono i dipinti di paesaggi e le illustrazioni che accompagnavano i libri di fiabe, come quelli di John Tenniel, che illustrò i due libri di Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll e le vignette satiriche della rivista Punch. In alcuni disegni è evidente anche l’influenza della teoria dell’evoluzione di Charles Darwin, formulata proprio in quegli anni.
Alcuni dei collage ritrovati e catalogati nel libro hanno un valore artistico evidente: quelli più fantasiosi – e a volte sconcertanti – mostrano le teste ritagliate dalle fotografie e incollate su disegni di corpi di animali, oggetti e ambientazioni dettagliate e fantastiche. Alcuni hanno prospettive multiple e accostamenti di rappresentazioni in scale diverse: due tecniche che verranno effettivamente riprese dalle avanguardie artistiche del Novecento. Molti collage contenevano anche giochi visivi con riferimenti che suggerivano storie tra i personaggi: era un modo per le famiglie di dimostrarsi inserite, mostrando di possedere le carte da visita delle altre e prendendosi la libertà di giocare con la loro immagine.
Patrizia Di Bello, docente di storia e teoria della fotografia alla University of London che ha contribuito al libro di Siegel, non esclude che in alcuni casi i collage potessero essere usati in corteggiamenti velati: sia per i messaggi che venivano inseriti, sia perché davano a uomini e donne un’occasione per passare del tempo fianco a fianco mentre sfogliavano gli albi.
Per esempio, Di Bello fa notare due livelli di lettura di un collage realizzato da lady Filmer, moglie del parlamentare Edmund Filmer. Lei si raffigura nel centro del suo salotto a sfogliare l’album di collage mentre il marito e il fratello guardano verso lo spettatore e le sorelle guardano altrove. Il personaggio al centro è il principe del Galles, un noto donnaiolo che in quegli anni spediva ogni giorno le sue foto a lady Filmer; si diceva che avesse addirittura avuto una figlia da lei. In quest’ottica, sembra che lady Filmer rivolga il proprio sguardo verso il principe in un riferimento alla loro relazione amorosa, mentre il marito ignaro guarda “in camera”. Chi conosceva questo pettegolezzo, avrebbe trovato il collage ancora più divertente, mentre chi non lo conosceva avrebbe visto solo un rispettabile salotto vittoriano.
I collage davano alle donne un certo potere sulla narrazione (e sulla creazione) dei loro flirt in un modo sicuro e protetto. Consentiva anche di dare espressione alle loro fantasie e vite interiori, per mettere in scena un racconto e modellare a proprio piacimento una realtà altrimenti piuttosto noiosa. Le donne che realizzavano i collage più belli e divertenti acquisivano anche un po’ di influenza nella corte della regina, dove le persone erano costantemente in cerca di attività per passare il tempo.
Un altro collage di lady Filmer mostra una scena di caccia alla volpe in cui la volpe ha la testa dell’autrice, i cani hanno le teste di vari uomini e il marito è a piedi anziché a cavallo come si vorrebbe in questa situazione, impegnato nel tentativo di domare i cani. Secondo Di Bello ha qualcosa di apertamente femminista: «da un lato mostra che gli uomini vogliono inseguirla, ma dall’altro se la prendono verrà divorata. È divertente finché non realizzi che “oh mio dio, è abbastanza inquietante”».
Diversamente da quanto sostenuto da Siegel, per Di Bello i collage in epoca vittoriana non avevano alcuno scopo artistico ed erano semplicemente un modo per divertirsi e combattere la noia della realtà giocando con immagini e significati.
I collage venivano fatti anche dagli uomini, anche se quasi sempre con lo scopo di documentare le proprie imprese militari, i propri affari, o hobby come la caccia e le corse di cavalli, più che intrattenere gli altri nei momenti di socialità. Venivano mostrati a possibili partner in affari o ai clienti come una specie di presentazione promozionale per rafforzare la propria credibilità. In altri casi, gli album fatti per girare nei circoli maschili avevano un aspetto molto simile a quello delle vignette satiriche, con le foto di teste incollate sopra corpi caricaturali e grotteschi.